Su Netflix cinque episodi con un cast stellare guidato da Julianne Moore. Molta ansia, un sapore misterioso e drammi familiari per un prodotto anomalo da vedere tutto d'un fiato. E capire se convince davvero

"Sirens", quella strana serie tra incanto e inganno

Uno strano oggetto si aggira su Netflix. Trattasi di “Sirens”, miniserie in cinque episodi che naviga a vista, tra dramma e commedia, dolore privatissimo ed esternazioni pubbliche, alla fine della quale è difficile dire se si è appena concluso un piccolo capolavoro oppure una bolla inconsistente che lascia le dita sporche di sapone.

 

Dalla sua parte c’è un cast inaudito, a partire da Julianne Moore diafana, diabolica e divina che si aggira sulla sua isola avvolta in abito evanescenti di sartoria eccellente e mescolandosi alle reminiscenze di “Rebecca la prima moglie” sussurra disprezzo, potere e fragilità endemica. Un po’ la figurina della ricca dama viziata stile di Panarea, ma senza un Nanni Moretti pronto a deriderla. 

 

Suo marito è Kevin Bacon, uno di quegli uomini multimiliardari che si mostrano democratici solo perché dicono grazie alla servitù. Le due sorelle protagoniste sono Meghann Fahy, alcolista e maledetta, che vuole portare tutto il peso delle vite altrui sul giubbotto di pelle e che cede alla tentazione irresistibile dell’autocommiserazione spinta. E la piccola Milly Alcock, biondina strappacuori, efficiente e insopportabile in parti uguali, dibattuta tra la coda di cavallo e gli attacchi di panico alla ricerca ostinata del successo a tutti i costi. Manca Nicole Kidman, che su quell’isola delle tentazioni in cui il tradimento e lo spreco inusitato di denaro sono pane quotidiano sarebbe stata perfettamente a suo agio. 

 

Così le antieroine che riempiono la scena si muovono tra sesso, noia, traumi infantili e classi sociali, famiglie disfunzionali e buffet impeccabili, in un’aria cupa, ansiogena quanto basta e sostanzialmente depressa nonostante il bagliore dei tramonti dalla scogliera. 

 

Non c’è un personaggio che convinca sino alla fine, i cattivi sono migliori di quel che sembrano, i buoni non esistono, l’amore neppure e la convenienza la fa da padrona. Ma soprattutto, nessuno riesce a salvarsi e nessuno vuole essere salvato, aspettando che si bruci il desiderio di afferrare la mano tesa, nel trionfo del non detto. 

 

E quando i sogni si abbattono come falchi impazziti sui vetri delle finestre chiuse, questo mélo nutrito di simboli termina aprendosi a una seconda stagione, lasciandoti lì confusa e forse felice, incapace di decidere tra il capolavoro e la bolla di sapone. Tanto le sirene hanno smesso di cantare da un pezzo.

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