Il debutto su Rai due del programma in versione cronaca nera poteva essere l’ennesima concessione al circo mediatico. Invece la giornalista fa il suo mestiere. E lo fa bene

Belve crime, Fagnani intervista Bossetti e smonta anni di fuffa show

Terzo grado di giudizio. Scienza. Prove. Indagini.  Io studio accurato del caso, quello che un tempo si chiamava lavoro giornalistico è quello che imbraccia Francesca Fagnani per affrontare il faccia a faccia con Bossetti nella prima puntata di  “Belve Crime”.  Smontando in questo overdose informativa che assilla i media di questi tempi le valanghe invasive di fuffa show. 

Ribatte Fagnani, anche le pause. Non arretra di un millimetro e quella che poteva essere l’ennesima bolla di sapone televisivo, una furbata di risulta da cui si abbevera la televisione con voracità eccessiva, diventa al contrario una messa a nudo, un inesorabile spogliarello del male. Le prove, parliamo di prove. E quando, spesso, Bossetti si crogiola nella possibilità del dubbio altrui la belva fa scattare l’unghiata. “Ma si rende conto che sta giudicando un genitore che ha perso una figlia?”  

E mentre scorrono nell’intervista i dettagli, le celle telefoniche, il dna, l’adattatore del telefono, la depilazione, la fuga, la testa abbassata nella macchina per evitare le foto, ignoto uno, ignoto due e così via, tornano negli occhi le ore del documentario che quel materiale lo ha usato in modo esattamente contrario per un circo di cui si pensava il pubblico fosse avido. Invece in una manciata di inquadrature l’empatia scompare e delle lettere affettuose  e solidali ricevute in carcere non resta niente nella testa di chi guarda, sopraffatto dal duello in cui la padrona di casa imbraccia un fioretto con eleganza per sfoderare il colpo della professionalità impeccabile. 

Alla fine poteva essere una nota stonata nel concerto crime senza fine. E si è trasformata in un’intervista come andrebbe fatta. Perché come sentenzia Fagnani, “Sì, io e lei siamo differenti”. E contano solo le sentenze

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