Visioni
4 novembre, 2025Se ne va al 94 anni il disegnatore che con le sue 14mila vignette ha raccontato il potere senza sconti. Da Paese sera a L'Espresso, da La Repubblica a Il Giornale, l'Italia perde la sua matita affilata
È morto a Milano, a 94 anni, Giorgio Forattini: maestro di satira, testimone implacabile della politica italiana dagli anni Settanta in poi, che ha seguito facendo rumore, come la matita pronta a sfregare sul foglio.
Per quarant’anni le sue vignette sono state un termometro impietoso del potere, lasciato nudo davanti al lettore, come il suo celeberrimo Spadolini, il presidente ritratto senza abiti che alla fine si affezionò talmente a quell’immagine da diventarne amico.
Giorgio Forattini, ha attraversato Repubblica, L’Espresso, Il Male, Il Giornale, La Stampa e Panorama, da destra a sinistra, con quei ritratti sottili, precisi, e rotondi, più incisivi di un articolo di fondo. E furono proprio le sue vignette a sfondare la quarta parete immaginaria del giornalismo, sbarcando in prima pagina su Paese sera, giorno dopo giorno, a partire da quel lontano 1973.
Di quel tempo è una vignetta entrò nella storia comune del Paese. Dopo il referendum sul divorzio, il segretario della Dc Amintore Fanfani si trasformò in un tappo saltato in aria dalla bottiglia di spumante con un bel No sull’etichetta. Da allora in poi, tutto in discesa, tra graffi, colpi di genio e ironia senza sconti: i politici disegnati come marionette, le ideologie ridotte a posture, la vanità smascherata. Se Enzo Biagi raccontava, Forattini sintetizzava: un’immagine, un titolo, e la farsa del giorno diventava documento. «La satira non è fatta per piacere, ma per disturbare» diceva, quando il disturbo era ancora visto come dovere civile.

Sono state 14mila le vignette a sua firma, in cui attribuiva a ogni potente un dettaglio e sempre quello: Bettino Craxi con stivali e camicia nera, Romano Prodi con la tonaca, Enrico Berlinguer in vestaglia da camera, Giuliano Amato come Topolino, Matteo Renzi come Pinocchio. E Giovanni Goria, completamente senza volto, l’uomo invisibile, come il suo governo.
Quando venne insignito dell’Ambrogino d’oro dichiarò senza alcuna falsa modestia: «Dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo». E fu difficile dargli torto.
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