Milano non è soltanto la capitale mondiale del design industriale e delle grandi aziende dell’arredo, ma un ecosistema creativo in evoluzione costante, in cui la scena indipendente, votata alla ricerca, esercita un’influenza crescente sui marchi storici, che oggi sempre di più guardano alle micro-realtà come fonti di ispirazione e innovazione. «Per decenni dire design è significato soprattutto dire progetto industriale, ovvero processi tecnologici caratteristici di aziende di primo piano, brand per intenderci come Kartell, Cassina, B&B Italia», afferma Michael Carion, creative director dello studio di progettazione Stormo, attivo dal Veneto in tutta Italia con un doppio passo, industriale e artigianale allo stesso tempo.
«Poi, mentre il mercato si faceva sempre più globale, si è verificata quella rottura che sembrava avere allontanato definitivamente le aziende dalle realtà dedite alla ricerca, spingendo i designer, specialmente quelli più giovani, a cercare nuove strade. Questi progettisti, affrancati dalle logiche industriali, hanno iniziato così a muoversi su un terreno ancora più sofisticato, proponendo progetti caratterizzati da artigianalità, materiali innovativi e processi produttivi etici». Questo approccio sperimentale, che sfocia in genere nei circuiti delle gallerie, dell’art design e del pezzo da collezione, è oggi uno dei fenomeni più rilevanti della Design Week. Prendiamo il caso di Alessandra Pasqua, fondatrice dell’atelier WanderArt: figura a metà tra design e arte, capace di misurarsi con materiali e tecniche complesse che includono l’uso del micelio, arriva per il secondo anno consecutivo nel gioiello barocco di Palazzo Litta con un’opera che è una sorta di macchina scenica pensata per entrare in risonanza con il pubblico. Oppure Simone Fanciullacci, partito dal lavoro con le aziende del mobile per approdare alle principali gallerie internazionali. «Oggi – dice Carion – questo orientamento alla ricerca riprende quota, registriamo insomma un’ulteriore inversione di tendenza, per cui il dialogo tra designer e realtà produttive sta riprendendo, forse in maniera ancora più incisiva. Per questo noi di Stormo, forti anche delle nostre radici in Veneto, territorio ricco di realtà industriali, abbiamo fondato la nostra pratica proprio sul fungere da tramite tra realtà indipendenti e marchi storici».
Milano è il palcoscenico ideale per rappresentare questo nuovo corso. A giocarsi le sue carte, c’è quest’anno anche una quota crescente di realtà provenienti dal Sud. Come il marchio siciliano Kimano Design guidato da Gabriele D’Angelo, specializzato in oggetti in marmo, o lo studio R+S Design di Stefania Galante e Rosaria Copeta, che, con la loro ricerca su tessuti e rivestimenti, mettono al centro la sostenibilità e il territorio, ridisegnando gli ambienti della casa con stoffe e parati che raccontano storie antiche. «Erbaria, l’ultimo progetto dello studio, è un invito a riflettere sulla minaccia di estinzione a cui sono esposte diverse specie vegetali del Meridione», spiegano le fondatrici. Un caso singolare è poi quello dell’azienda veneta De Castelli, che ha fatto della sperimentazione un mantra fino a distinguersi per la maniera assolutamente unica di lavorare il metallo a metà tra tecnologia e artigianalità, tra fabbrica e atelier. Distretti come Alcova, Isola Design District e 5Vie, infine, ospitano marchi e autori assimilabili a botteghe rinascimentali, piccoli studi di design, collettivi e maker che danno vita a linguaggi e modalità produttive inedite. Alla dimensione alchemica torna, in chiave contemporanea, la veneta Incalmi, che combina materiali diversi per superare i limiti mentali e tecnici che definiscono il repertorio di materie prime. Nel suo manifesto, l’azienda guidata da Patrizia Mian parla del bisogno di «reinventare il lusso attraverso l’artigianalità». Consapevole del patrimonio che abbiamo alle spalle, di cui lo stesso manifesto è una spia nel tacito riferimento alle avanguardie storiche, Incalmi dichiara anche di voler attingere alla tradizione per andare oltre l’estetica e mantenere intatte le funzioni, stravolgendo però la forma.

Un’altra storia assai indicativa è quella di Marco Guazzini, designer che in solitaria ha brevettato Marwoolus, un materiale costituito da marmo, lana e un legante bicomponente: una fusione alchemica di elementi all’apparenza inconciliabili. Marta Abbott, invece, ceco-americana nata ad Amsterdam, porta alla mostra Magnificat di Spazio Vito Nesta, un altro esempio di ricerca che fonde arte, progetto, natura. Vernacular Magic è una serie di opere su carta realizzate con una combinazione di inchiostri naturali prodotti dall’artista a partire da materiali botanici e di sostanze chimiche per la cianotipia. «È uno sforzo fatto dalla mano dell’artista, dalle piante, dalla luce del sole, dalla chimica e dalle conoscenze antiche, per imparare e interpretare la magia vernacolare delle piante», spiega. «È uno studio sui modi in cui la magia si nasconde spesso alla vista». Se fino a poco tempo fa il design circolare, l’uso di materiali rigenerati, l’imperfezione voluta e l’estetica grezza erano prerogative dei piccoli marchi sperimentali, oggi sono la cifra anche di realtà storiche attente alle questioni ambientali. Il paradigma si è dunque rovesciato: non sono più soltanto i designer indipendenti a mirare ai grandi marchi, ma sono questi ultimi ad attingere dal serbatoio dei primi le idee più rilevanti e ardite.
Brand storici come Moroso, Magis e Living Divani collaborano con designer emergenti, spesso scovati alla Milano Design Week per conferire freschezza e originalità alle loro collezioni, proponendo pezzi che, conservando l’anima del progetto indipendente, vengono reinterpretati attraverso i processi industriali di alta gamma. Ne sono un esempio gli arredi a metà tra fabbrica e atelier del duo Zanellato-Bortotto per Moroso, eccellenza friulana ambasciatrice del made in Italy dal respiro più internazionale. Emblematica è anche l’attività di Living Divani che, con ∫, ceo di seconda generazione, ha iniziato ad affiancare all’art direction di Piero Lissoni una serie di creativi sperimentali, come per esempio lo stesso Marco Guazzini. «Ho sempre dato grande valore all’attività di scouting, soprattutto nell’ambito del Fuorisalone, così ho aperto l’azienda a figure come Giacomo Moor, Marco Lavit, Lanzavecchia + Wai, che, in linea con il concept dell’eleganza silenziosa, hanno arricchito il nostro bagaglio creativo con una pluralità di visioni e linguaggi, ampliando vivacemente il nostro catalogo. Quando ho iniziato a guardare al mondo dei creator – aggiunge Bestetti – ho capito che il punto non era cercare di assorbirli, né tantomeno di cannibalizzarli, ma mantenerne l’autonomia e il brio attraverso la costruzione di partnership equilibrate, per farne emergere le voci nell’ambito di processi strutturati e trasformare differenze generazionali e produttive in nuove possibilità e concezioni estetiche del vivere». Viviamo dunque un’epoca di ibridazioni, un momento storico in cui le dicotomie apparenti si sciolgono all’interno di formule inclusive, che provano ad abbattere gli steccati anziché costruirli, mentre gli scenari si fanno cangianti e dinamici, in linea con le analisi sociologiche recenti che attestano il pubblico di consumatori sempre più critico, avvertito, consapevole.