Visioni
11 settembre, 2025Le Torri Gemelle in fiamme, il crollo, la nube di polvere che avvolse Manhattan segnarono la fine di un’epoca e l’inizio di nuove paure globali. Un trauma collettivo che ridisegnò la politica internazionale e resta, a oltre vent’anni di distanza, una memoria incancellabile.
Era l’ora di pranzo in Italia quando la notizia irruppe all’improvviso come un fulmine inaspettato. A Milano, come in molte altre città, un silenzio surreale calò all’improvviso. Le strade, di solito animate, sembravano trattenere il respiro. Dai bar dagli uffici e dalle case usciva un’unica eco: le televisioni accese a volume alto, tutte sintonizzate sulle stesse immagini che arrivavano in diretta da New York. Due aerei si erano schiantati contro le Torri Gemelle del World Trade Center, e l’impossibile stava diventando realtà davanti agli occhi del mondo. Tutto era sospeso: il tempo, le conversazioni, i pensieri. Si aveva la sensazione di assistere a qualcosa di irreparabile.


Alle 8:46, ora americana, il primo aereo si schiantò contro la Torre Nord del World Trade Center. Diciassette minuti più tardi, un secondo velivolo colpì la Torre Sud. La cronaca racconta di orari e numeri, ma chi visse quel momento ricorda soprattutto la sensazione di assistere a qualcosa di impossibile da comprendere. Le Torri Gemelle non erano solo un’icona dello skyline newyorkese: rappresentavano l’idea stessa di potenza economica e modernità. Vederle bruciare, e poi crollare, fu come assistere alla fine di un’epoca. Il cuore di Manhattan si trasformò in un campo di battaglia. Migliaia di persone intrappolate negli uffici, vigili del fuoco che salivano le scale per soccorrere chi scendeva, passanti che correvano coperti dalla cenere. La nube di polvere che avvolse la città dopo il crollo delle torri divenne il simbolo visivo di quel giorno: un velo grigio che inghiottiva tutto, dalla memoria dei sopravvissuti ai volti dei dispersi.



In quelle ore, New York sembrò isolarsi dal mondo. I telefoni cellulari non funzionavano, i ponti e i tunnel vennero chiusi, gli aeroporti bloccati. Eppure, paradossalmente, mai come allora l’umanità fu connessa: miliardi di persone seguivano le stesse immagini in diretta, senza filtri né mediazioni. Il terrorismo aveva scelto non solo di colpire, ma di colpire davanti agli occhi del pianeta. L’11 settembre non cambiò soltanto la storia americana. Fu un trauma globale, che ridisegnò la politica internazionale, introdusse nuove paure, modificò la percezione della sicurezza e riscrisse le regole della convivenza. Nacque un linguaggio fatto di allerta permanente, guerre preventive e controlli serrati. Ma al di là delle strategie geopolitiche, ciò che resta incancellabile sono i frammenti di umanità: gli abbracci tra sopravvissuti, i volti dei pompieri esausti, i volantini con le foto dei dispersi che tappezzarono la città per settimane. Le immagini di quel giorno hanno definito il nuovo secolo. Non furono soltanto documentazione, ma memoria condivisa.



A distanza di oltre vent’anni, l’11 settembre continua a interrogarci. Non è solo l’anniversario di un attentato, ma il simbolo di una svolta epocale. Quel giorno il mondo si è scoperto più fragile e interconnesso, più esposto a minacce invisibili ma capaci di incidere sul quotidiano di tutti. La polvere che avvolse Manhattan si è diffusa come una metafora globale: niente sarebbe e né è tornato com’era prima. E forse è proprio questo il lascito più forte di quelle immagini: l’idea che la storia non sia mai immobile, che in un solo istante possa cambiare direzione. Come accadde in quel martedì di settembre, quando un silenzio irreale fermò il mondo intero.

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