In Tunisia e in Egitto è inevitabile una fase di instabilità. Ma si deve avere fiducia

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Le rivolte in Tunisia e in Egitto sono state due eventi storici straordinari. Dopo la fuga di Ben Ali e il ritiro di Mubarak, il popolo ha preso in mano il proprio destino e cerca di ricostruire paesi che sono stati depredati da individui oggi chiamati a render conto delle loro azioni di fronte alla giustizia.

L'apprendistato della libertà non è un compito facile. Proprio per questo c'è già chi dice che la situazione è confusa, che ovunque regna il disordine e alla fine la delusione prevarrà. Come spiegare a costoro che la democrazia non è un gadget, una pillola che si scioglie nel caffè del mattino? Come convincerli che dopo l'entusiasmo dei giorni e delle notti in cui si è lottato contro la dittatura arriva il tempo della ricostruzione accompagnato inevitabilmente da una fase d'instabilità dovuta a una situazione del tutto nuova, dove tutto è da rifare e serve pazienza e abilità?
Come diceva François Mitterrand: "Bisogna dare tempo al tempo". C'è bisogno di uomini di buona volontà per rimettere in moto un paese. È difficile sanare una situazione deteriorata da una dittatura contraddistinta dal furto e dalla sottrazione di beni pubblici.

Bisogna imparare a convivere secondo nuovi principi. Queste rivolte hanno avuto l'effetto importante di far emergere l'individuo. Prima, il cittadino era un suddito, senza diritto di parola e soprattutto soggetto a una repressione selvaggia quando protestava. La società araba fatica a riconoscere l'individuo come entità unica e singolare. È animata dallo spirito dei clan e delle tribù, come vediamo oggi nel caso dei massacri compiuti quotidianamente da Gheddafi contro il suo popolo, fomentando le rivalità tribali.

L'emergere dell'individuo, che ha trionfato durante la rivoluzione francese del 1789, è una novità per gli arabi e la sua estensione si misura in base alla condizione della donna. Fino a quando viene trattata come un essere inferiore, senza diritti e senza riconoscimento, l'individuo non esiste ancora. Ma come si è visto, le donne hanno partecipato in modo clamoroso alle rivolte. Erano in prima linea. Più ancora degli uomini, sono loro che hanno maggiormente sofferto durante la dittatura, sia in Tunisia, dove c'è stata un'emancipazione femminile sotto il regime di Bourghiba negli anni Sessanta, sia in Egitto, dove l'islamismo ha fatto di tutto per impedire il raggiungimento di una parità con l'uomo.

Un individuo è un cittadino che può far sentire la sua voce quando si vota. Alle prossime elezioni che saranno organizzate nei due paesi vedremo se la democrazia è più di una tecnica e se tutto si svolgerà in modo davvero trasparente.

Le elezioni sono soltanto una fase del processo di democratizzazione della vita politica. Vedremo anche quale ruolo svolgeranno la polizia e l'esercito. Ci vorrà tempo prima che la Tunisia e l'Egitto ritrovino la strada dello sviluppo e della libertà. Vi saranno inevitabilmente delle sbavature, si commetteranno errori e ingiustizie. È umano. Poiché il passaggio da una società chiusa a una aperta e libera non avviene in modo automatico. Ma il fatto incoraggiante è che il popolo è rimasto vigile. Si mobilita non appena accade qualcosa che provoca la sua indignazione. La pressione è sempre alta. Come abbiamo visto in Egitto, i Fratelli Musulmani, che non hanno attizzato la rivolta e sono rimasti ai margini del movimento di liberazione, cercano oggi di partecipare allo sforzo di ricostruzione dello Stato, dopo esser stati rimessi al loro posto, che non era poi così importante come Mubarak aveva cercato di farci credere.

Sappiamo che le rivolte sono sfuggite al controllo dei fondamentalisti islamici e che sono state condotte in nome di valori laici. Non sono state affatto una passeggiata. Sono costate morti, feriti, famiglie distrutte, grandi sacrifici, pagati a un prezzo elevato.

L'Europa ha la possibilità di rimediare ai propri errori e far dimenticare la sua compiacenza verso dirigenti impopolari. Oggi più che mai, dovrebbe investire in questi paesi, il che risolverebbe in parte il doloroso problema dei clandestini che sbarcano a Lampedusa. Aiutando Egitto e Tunisia a far ripartire la loro economia, grazie al rimpatrio dei miliardi sottratti dagli ex capi di Stato che avevano semplicemente scambiato i propri paesi come loro proprietà privata, l'Europa potrà far sì che queste rivolte abbiano probabilità di successo e divengano la base su cui fondare una ricostruzione nazionale.

In attesa che Gheddafi trovi il coraggio di suicidarsi o di consegnarsi alla giustizia per rispondere dei crimini contro l'umanità che ha commesso, l'Europa dovrebbe riporre fiducia nella nuova epoca che si è aperta in Tunisia e in Egitto.

traduzione di Mario Baccianini