Con i rimborsi si incassa quattro volte quello che si spende. E il resto? Ecco cosa nascondono i bilanci

Com'è possibile che il senatore Luigi Lusi, tesoriere della Margherita, sia stato in grado di saccheggiare sistematicamente e per cinque lunghi anni la cassa del suo partito, facendo sparire almeno 13 milioni di euro, senza che nessuno si accorgesse di nulla? E poi: che ci faceva una tale montagna di denaro nei conti di una formazione rottamata da anni e quindi scomparsa dalla complessa geografia politica nazionale? Due interrogativi che vanno ben oltre lo tsunami piombato su Francesco Rutelli & Co. Ai quali si aggiunge il mistero sui 26 milioni "scomparsi" dai conti della "Fondazione Alleanza nazionale" (al centro di un feroce scontro tra finiani e i "colonnelli" dopo la confluenza nel Pdl) oggetto di un'inchiesta della Procura di Roma. Scandali recentissimi e interpretabili solo mettendo il naso nell'incredibile marchingegno messo a punto dai partiti per aggirare il referendum con cui, poco meno di vent'anni fa (aprile 1993), sull'onda di Tangentopoli, gli italiani avevano deciso di cancellare per sempre il finanziamento di Stato alla politica.

I partiti hanno giocato di fino. Nascondendosi dietro il comodo vessillo della tutela della competizione democratica, hanno finto di volersi garantire il semplice rimborso delle spese elettorali. Poi, però, hanno truccato le carte, calcolando la cifra non sulla base dei quattrini effettivamente investiti in comizi e volantini, ma in proporzione ai voti rastrellati. Il cui valore hanno fatto crescere a dismisura, con un rialzo dopo l'altro: dalle 1.600 vecchie lire a cittadino del 1994, alle 4 mila lire tonde del 1999. E senza infine farsi sfuggire l'occasione del cambio di moneta per il salto finale (a 4 euro). Risultato: tra il 1998 e il 2008, mentre il Pil nazionale arrancava, i rimborsi sono aumentati del 1.110 per cento.

Poi, siccome l'appetito vien mangiando, nel 2002 i politici hanno avuto un'ulteriore alzata d'ingegno, stabilendo che in caso di interruzione anticipata della legislatura i partiti avrebbero comunque continuato a incassare i finanziamenti annuali maturati sul vecchio voto, al quale avrebbero nel frattempo sommato quelli relativi al nuovo. Escamotage indecente e ora cancellato, ma che ha consentito anche ai gestori di simboli politici finiti in naftalina di continuare a macinare quattrini pubblici.

Chiamati a legiferare sul loro stesso finanziamento, i partiti hanno insomma preso in giro gli elettori. "Quello che viene normalmente definito contributo per il rimborso delle spese elettorali è, in realtà, un vero e proprio finanziamento", hanno scritto i magistrati contabili. Che hanno fatto due calcoli. Scoprendo come le forze politiche si siano ritagliate su misura un sistema che consente loro di realizzare, sulle spalle dei contribuenti, guadagni fuori dalla portata di qualsiasi mago della finanza. Tra il 1994 e il 2008 i partiti hanno speso, in campagne elettorali, 579 milioni. E ne hanno incassati 2.254. Il pallottoliere dice che fa oltre il 389 per cento di rendimento, con punte del 959 per le politiche del 2001, un business d'oro per vincitori e sconfitti. Alle consultazioni del 2006 e del 2008 i partiti hanno investito 2,47 euro per cittadino e ne hanno avuti indietro 10,05. Nel carnevale dei contributi di Stato qualcuno si è dimostrato più bravo degli altri.

È il caso del Pd, che nel 2008 è riuscito a ottenere una performance da Guinness dei primati, riscuotendo 180 milioni tondi a fronte di una spesa effettiva di soli 18 milioni e spiccioli. Il mille per cento.

Su questo fiume di quattrini, che pure sono tutti pubblici, la legge non prevede alcun vero controllo. O, meglio, lo affida incredibilmente agli stessi beneficiari, che se la cantano e se la suonano, designando revisori che spesso sono militanti del partito. "L'Espresso" ha spulciato i bilanci 2010 dei maggiori partiti. Ecco cosa dichiarano.

PDL IN AFFITTO
Il partito di Silvio Berlusconi non ha beni immobili, né partecipazioni in imprese. In compenso, vanta oltre 15 milioni di liquidità e chiude il 2010 con un disavanzo di poco meno di 6 milioni. Sul fronte delle entrate, il Pdl incassa 32,7 milioni di contributi dallo Stato, ai quali somma 5 milioni di quote associative annuali e oltre 9 milioni di donazioni, compresi i 4,8 milioni di versamenti da parte di parlamentari (quelli nazionali sono tassati per 800 euro al mese; quelli europei per 500) e consiglieri regionali (500 euro al mese). Queste ultime due categorie, però, fanno penare il tesoriere Rocco Crimi, perché spesso risultano morose: il 24 per cento dei parlamentari e addirittura il 37 per cento dei consiglieri locali non ha mai scucito un euro al partito, che si ritrova così in cassa un buco di quasi 3 milioni. Sul fronte delle spese, la voce più rilevante per il Pdl è quella degli oneri di gestione (31 milioni), che comprende quasi 12 milioni di investimenti elettorali, seguita dai contributi alle associazioni (la Lista Polverini è costata quasi un milione e mezzo), dal godimento di beni di terzi (un milione e mezzo per l'affitto delle sedi) e dagli stipendi al personale (257 mila euro). A fare la parte del leone nei 13 milioni di spese per servizi sono gli oltre 8 milioni versati a Forza Italia per gli uffici romani di via dell'Umiltà e via del Plebiscito. Ci sono poi un milione e 351 mila euro di consulenze e 488 mila euro per Internet.

BOSSI CON LE TASCHE PIENE. Nel bilancio della Lega, che nel 2010 si è chiuso con un avanzo di oltre 8 milioni, ci sono un parco macchine da 851 mila euro e partecipazioni in imprese per 7,6 milioni (il grosso è rappresentato dalla Pontida Fin srl, che gestisce le proprietà immobiliari). Ma, soprattutto, c'è una liquidità di oltre 31 milioni e mezzo di euro, parcheggiata in depositi bancari e postali (ma di recente una fetta è stata spostata in Tanzania). Il partito di Bossi, amministrato da Francesco Belsito, incassa 22 milioni di contributi elettorali, oltre 10 milioni di versamenti da privati, 2 milioni e mezzo di proventi da attività editoriali e manifatturiere e un milione e 200 mila euro di quote associative. La Lega spende oltre 9 milioni per oneri diversi di gestione, 3 milioni per contributi ad associazioni, 6 milioni e mezzo per beni e servizi (520 mila euro la bolletta telefonica; 141 mila euro gli investimenti pubblicitari), 2 milioni e mezzo per affitti di sedi e altrettanto tra stipendi e consulenze.

TESORI DEMOCRATICI

Il Pd è l'unico partito che vanta un bilancio certificato da una società esterna (la PricewaterhouseCoopers). Le entrate 2010 ammontano a 57 milioni e 943 mila euro. Quasi 52 milioni si riferiscono ai rimborsi elettorali e poco più di 6 alle erogazioni private per la gran parte (5 milioni e 200 mila) frutto dei contributi dei parlamentari (ogni mese versano 1.500 euro ciascuno). Un tesoretto di 19 milioni risulta invece depositato nei conti aperti presso Bnl, Intesa, Popolare di Milano e Monte dei Paschi. Una sola persona ha accesso ai conti: il tesoriere Antonio Misiani. Quanto alle spese (quasi 98 milioni), 51 sono andati alle strutture periferiche (rimborsi elettorali); 20 alle attività di propaganda; 12 al personale e 2 in viaggi, alberghi, ristoranti e altre spese di rappresentanza. Per il resto, nessun immobile e niente investimenti in titoli: solo un milione dato in pegno alla Bpm a garanzia di un prestito alla Nie, la società che edita "l'Unità". E le partecipazioni (289 mila euro) in due società che organizzano le feste del partito e gestiscono la tv Youdem. Nell'ultimo anno risulta acquistata un'auto blindata per il segretario Bersani (le altre sono a noleggio).

CASINI IN ROSSO
È quasi interamente poggiato sui soldi pubblici anche il bilancio del l'Udc. Su 13 milioni incassati, 12 arrivano dai rimborsi elettorali. Il resto, trascurando i 16 mila del tesseramento, è frutto di contributi privati per gran parte erogati dalla famiglia Caltagirone (Francesco Gaetano, costruttore ed editore del "Messaggero", è il suocero di Casini). Soldi pesanti, ma che non bastano a far quadrare i conti. L'anno chiude in perdita, visto che le spese ammontano a oltre 16 milioni investiti in propaganda elettorale (12 milioni), personale (un milione) e contributi alle articolazioni periferiche. Nel dettaglio, 271 mila euro si riferiscono alla bolletta telefonica, 73 mila alle prestazioni di consulenti del lavoro e commercialisti, 21 mila se ne vanno proprio per i revisori del bilancio.

I VALORI DI TONINO.
L'Idv incassa quasi 14 milioni di contributi statali e 700 mila euro da parlamentari, consiglieri regionali e qualche sostenitore. Di Pietro & C., che chiudono con un attivo di quasi 5 milioni e hanno depositi bancari e postali per oltre 4, spendono 5 milioni e mezzo per comunicazione e propaganda, mezzo milione di affitti, 140 mila euro di telefono e 373 mila per rappresentanza.