A regime l'impianto in costruzione al largo delle coste toscane, in una zona marina protetta, produrrà circa il 5 per cento del nostro fabbisogno di metano. Ma il rischio di incidenti e perdite di gas in mare c'è. Così tutti, dai cittadini toscani ai 5 Stelle, lanciano il boicottaggio

La sicurezza dei cittadini minacciata, un'area marina protetta e di gran pregio messa a rischio. Il rigassificatore Olt, il mega-impianto offshore per la produzione di metano al largo della Toscana, sbarca in Parlamento e nelle aule giudiziarie.

La contrarietà all’opera (ormai in fase di ultimazione) vede già uniti pisani e livornesi che, lasciato da parte il campanilismo e la secolare rivalità, ne contestano la realizzazione. Ma adesso ha spinto anche una pattuglia di parlamentari del Movimento cinque stelle capitanata dal senatore Gianni Pietro Girotto, capogruppo in commissione Industria a palazzo Madama, a depositare un’interrogazione indirizzata al ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato per chiedere di sospendere il progetto e a presentare un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Livorno.

L’impianto, a una dozzina di miglia dalla costa, sarà costituito da una grossa nave ancorata al fondale marino in cui riversare mediante bracci di carico mobili il gas naturale liquefatto trasportato a bordo delle navi metaniere. E da qui, dopo averlo riportato allo stato gassoso raffreddandolo a -160° C, trasportarlo sulla terraferma tramite un sistema di tubazioni a 120 metri di profondità e immetterlo nella rete di distribuzione.

A regime il rigassificatore produrrà quasi quattro miliardi di metri cubi di metano l’anno, grosso modo il 5 per cento del fabbisogno nazionale. Anche a detta di Greenpeace, che da tempo si batte contro il progetto, si tratta però di un’operazione tutt’altro che sicura, considerati i rischi di disperdere in mare il gas in caso di incidenti. Ma l’operazione non convince neanche i cittadini delle due città toscane, che hanno dato vita al comitato “Offshore? No grazie”.


A ripercorrere passo dopo passo le procedure che hanno portato al via libera del progetto i dubbi e le ombre, in effetti, non mancano. Basti pensare che fino a pochi anni fa l’allibo, ovvero l’operazione di trasbordo da nave a nave, in Italia era vietata da tempo per casi simili. A imprimere la retromarcia è stato un decreto del ministero delle Infrastrutture, all’epoca guidato da Pietro Lunardi, datato 23 febbraio 2006. Lo stesso giorno in cui è stato autorizzato il rigassificatore della Olt (Offshore Lng Toscana), società per azioni controllata pariteticamente dal gruppo privato E.On e da Iride Mercato, una multiutility che vede come azionisti di riferimento il comune di Torino e Genova (attraverso la holding Finanziaria Sviluppo Utilities) più numerosi enti locali come il comune di Parma e Reggio Emilia.

E nonostante nel corso degli anni il progetto abbia subito numerose modifiche (tanto che il prezzo è lievitato da 600 a 850 milioni di euro), denunciano adesso i senatori grillini, non è mai stato sottoposto a una nuova valutazione di impatto ambientale per esaminarne la sostenibilità.

Senza considerare che l’area individuata ricade per intero nel cosiddetto “Santuario dei Cetacei”, una zona marina protetta che si estende tra Provenza, Liguria, Sardegna settentrionale e Toscana. Non proprio una “fissazione” ambientalista, dunque, se nel 1999 l’Italia ha perfino siglato un protocollo con Francia e Principato di Monaco per difendere l’area, che d’estate vede la confluenza di tutti i tipi di mammiferi marini presenti nel Mediterraneo (balenottere, delfini, capodogli…) a causa della ricchezza di plancton.

Che non si tratti di un’opera di poco conto si evince anche dall’istruttoria del rapporto di sicurezza, stilato dal Comitato Tecnico Regionale: «Nella prossima edizione del rapporto di sicurezza il Gestore dovrà fornire informazioni sulle modalità di allibo in condizioni adottate in altre installazioni in esercizio, al fine di minimizzare la possibilità di incidenti con distacco dei bracci di carico». “Minimizzare”, quasi a intendere che allo stato attuale non è così o che le rassicurazioni fornite non sono sufficienti.

Per questo motivo la richiesta è di avere informazioni sulle misure di sicurezza messe in atto in impianti simili. Peccato che al mondo di stazioni offshore galleggianti come quella di Livorno non ce ne siano, denunciano gli ambientalisti i senatori del M5S. Laddove avviene, il processo di rigassificazione ha luogo a bordo della stessa nave che estrae il gas, in modo da ridurre i rischi.

A destare preoccupazione è anche l’ostruzionismo che avrebbero mostrato le autorità. L’autorizzazione, ad esempio, è stata rilasciata anche sulla base di un parere propedeutico del Gruppo di lavoro “merci pericolose”. Eppure da due anni ogni tentativo di accesso agli atti è andato a vuoto. “Carenza dei requisiti di legittimazione”, la motivazione opposta ogni volta dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto.

Comportamento che ha indotto Greenpeace e ora anche i senatori a Cinque stelle guidati da Girotto a sospettare della legittimità degli atti e a parlare apertamente di “complotto in alto mare” in un corposo e articolato dossier dedicato alla vicenda, che confuta le risposte rassicuranti date dalla Olt.

Altro aspetto controverso è costituito dai rischi legati al forte libeccio che spira sulla zona. La Olt ha fatto presente che un impianto molto simile situato nel Golfo del Messico (zona di cicloni) non crea problemi, ma nel 2001 una Commissione tecnico-scientifica ha messo nero su bianco che davanti al porto di Livorno «i venti ed il moto ondoso sono tali da non poter garantire un sufficiente numero di giorni/anno con condizioni di operabilità in sicurezza».

Ma non sono solo la questione ambientale e di sicurezza ad allarmare. Sullo sfondo dell’impianto Olt si agita infatti una battaglia sugli incentivi tutt’altro che secondaria: una delibera del 2008 dell’Autorità per l’energia prevede per i gestori dei rigassificatori «un fattore di garanzia che assicura anche in caso di mancato utilizzo dell’impianto, la copertura di una quota pari al 71,5 per cento di ricavi di riferimento (…) per un periodo di 20 anni».

Insomma, un rimborso nel caso in cui non riuscissero a piazzare tutta la “partita” prodotta. Un anno fa l’Autorità ha escluso dal provvedimento gli impianti in cui i fornitori coincidono coi proprietari (come a Livorno) ma la Olt ha fatto ricorso al Tar e ha vinto. Adesso si attende la pronuncia del Consiglio di Stato.