Il nuovo Parlamento ha davanti a sé un compito urgente e che riguarda la vita di tutti: decidere se puntare su questa grande risorsa di tutti o privatizzare la salute. Ecco perché
Pochi giorni fa sono entrato in una rianimazione dove era ricoverato un bambino con un'infezione polmonare gravissima. La sua vita era in pericolo ma, grazie alla bravura di chi lo ha assistito e a una tecnologia davvero straordinaria, è stato possibile curarlo con un macchinario che sostituisce le funzioni dei polmoni quando non basta più nemmeno il respiratore automatico.
Quel bambino si è salvato grazie a competenze e strumenti che solo il servizio sanitario pubblico può mettere a disposizione; nessun privato potrebbe, infatti, mettere in campo un tale spiegamento di forze per un unico paziente. Ma la vita non ha prezzo e vale la pena rifletterci bene quando ci arrabbiamo per la malasanità, gli sprechi, le inefficienze, gli imbrogli e la corruzione. La sanità pubblica è una grandissima risorsa, non bisogna mai dimenticarlo.
Certo i problemi esistono e vanno affrontati ma non è ricorrendo al privato e alle assicurazioni che si può garantire una migliore tutela della salute, come fa credere la destra berlusconiana.
E non è nemmeno abbattendo la mannaia dei tagli lineari sui budget degli ospedali e sui posti letto che si correggono le disfunzioni di un sistema complesso, come invece propone il governo dei tecnici. Quegli stessi tecnici che parlano di introdurre le franchigie, ovvero un'ulteriore tassa sulla malattia e sulle prestazioni sanitarie, quando siamo arrivati a una pressione fiscale che ha superato il 45 per cento.
Sinceramente consiglio a chi si assumerà la responsabilità di governare, di iniziare ad aggiustare le storture macroscopiche prima di immaginare nuove tasse.
Si può fare. Per prima cosa cancellando i 790 milioni di euro che il servizio sanitario paga in consulenze esterne e che, nella maggior parte dei casi, non sono necessarie. Una somma più o meno equivalente al ticket sulle visite specialistiche che potrebbe dunque essere eliminato. In secondo luogo serve rendere operative in tutte le regioni le centrali uniche per l'acquisto di beni e servizi, con la pubblicazione su Internet del prezzo dei dispositivi medici. Il divario tra una regione e l'altra, tra un'Asl e l'altra si ridurrebbe automaticamente perché non è ammissibile che per uno stent coronarico il costo vari da 150 euro a 699, con uno scarto del 346 per cento. E siccome non può essere solo il prezzo minore a guidare le scelte, si coinvolgano le società scientifiche e i medici, in qualità di esperti e garanti del materiale da acquistare.
La terza misura riguarda la durata delle degenze che deve attenersi strettamente alle linee guida indicate dall'esperienza scientifica internazionale per ogni patologia, in modo da ridurre i ricoveri inutili o prolungati, se non addirittura dannosi, che sottraggono al bilancio della sanità un miliardo di euro l'anno.
Allo stesso tempo va messo sotto controllo il ricorso eccessivo agli esami diagnostici. In Italia abbiamo 22,4 apparecchi per risonanza magnetica ogni milione di abitanti mentre la media europea è di 8,4. Evidentemente siamo sovradimensionati e, nonostante ciò, soffriamo per le lunghissime liste d'attesa. Meglio allora eseguire una risonanza magnetica solo quando è davvero necessario, avere la possibilità di farla in tempi rapidi senza dotarsi di strumentazione in eccesso e ottimizzando ciò che abbiamo già.
Queste sono a mio avviso le tre priorità dei primi cento giorni del nuovo governo: servirebbero a recuperare risorse, a ridurre la tensione ormai alle stelle per colpa dei ripetuti tagli, ridarebbero fiducia ai pazienti e un po' di serenità a quanti fanno funzionare il servizio sanitario con coscienza e senso di responsabilità.
Ovviamente servono anche altre riforme. Alcune imponenti, come la ristrutturazione degli ospedali o la riorganizzazione della medicina sul territorio, altre più semplici, come una legge sul rischio clinico per eliminare le dannose conflittualità tra pazienti e medici. Per questo però sono necessari tempo, risorse e soprattutto il coinvolgimento di tutti gli operatori, perché nessuna riforma può avere successo se non è condivisa da chi la deve rendere effettiva giorno dopo giorno.