Il primo appuntamento pugliese dei nostri incontri itineranti è al teatro Petruzzelli. Dove l'inviato Fabrizio Gatti mette in scena il racconto della tragica notte dell'11 ottobre, quando persero la vita al largo di Lampedusa 260 persone

Un teatro stracolmo di ragazzi e studenti, arrivati per parlare di immigrazione andando oltre i numeri, avendo il coraggio di ascoltare e cercando di capire cosa vuol dire prendere il mare e tentare la fortuna per arrivare in Italia dalle coste africane.
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E' lo scenario che ha preso vita al teatro Petruzzelli di Bari, dove si è tenuto il primo dei due incontri dei Dialoghi dell'Espresso nel capoluogo pugliese. Dopo una breve introduzione del direttore dell'Espresso Bruno Manfellotto, che ha spiegato il ruolo dei giornali e dell’informazione ai tanti studenti intervenuti, la parola è andata al nostro inviato Fabrizio Gatti, autore di numerose inchieste sul tema della migrazione e primo firmatario dlel'appello che ha portato alla candidatura di Lampedusa al Nobel per la Pace.

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Con il suo racconto scenico “Alle cinque della sera”, Gatti intreccia vissuti e drammi, emozioni e rassegnazione, uomini e numeri. La riproposizione sul palcoscenico dell’inchiesta che lo stesso inviato ha dedicato al viaggio di alcune famiglie in fuga dalla Siria dilaniata dalla guerra civile. Provocatoria la domanda inziale «Voi dove eravate l’11 ottobre del 2013?», data del tragico naufragio.
Fabrizio Gatti

«I protagonisti sono bambini siriani e genitori, professionisti, medici, ingegneri. Immaginate - racconta Gatti - un peschereccio riempito fino all’orlo che a mezzanotte parte dalla Libia navigando lungo la costa verso la Tunisia, così da poter poi giungere a Lampedusa o in Sicilia. Scappano dalla Siria, dove sono impegnati, invece che come medici specializzati, come estrattori di proiettili dai corpi dei soldati. Vorrebbero andare in Svezia, ma in Siria c’è la guerra e non si può ottenere il visto che viene concesso solo a chi già risiede nel paese della penisola scandinava. Vorrebbero andare negli Emirati Arabi o in Egitto, ma anche lì vige la stessa regola».

La cruda realtà svelata nel monologo di Gatti è che chiunque voglia abbandonare i “pericoli della propria terra” deve affidarsi ad una carretta del mare.

«Milleseicento dollari per poter arrivare in Italia. Perché i ripensamenti ci sono stati anche tra chi era su quel peschereccio l’11 ottobre. Solo che per un medico, abituato a operare con percentuali di rischio di mortalità molto elevate, l’1,6 per cento di rischio, calcolato studiando da internet le percentuali degli sbarchi in Italia, è tollerabile e allora vale la pena rischiare e fare quel viaggio».

Nel silenzio totale della sala (difficile da ottenere quando la platea è costituita unicamente da ragazzi e bambini), Gatti narra le ore in barca di quelle famiglie. «Si parte all’una di notte. Dopo poche decine di minuti una motovedetta che chiede lo stop e il ritorno a Zuara ma al di fuori del porto - per poterli rapinare probabilmente -. Sparano in aria, il peschereccio riesce ad oltrepassare le cime lanciate in mare dai militari per mettere fuori uso l’elica. Dopo poco una nuova motovedetta. Ancora spari ma questa volta ad alzo zero e poi con l’aurora la vedetta libica va via. Ci sono feriti e il peschereccio è danneggiato. Entra acqua e le due pompe di sentina funzionano male, una è rotta. Sono le 10,30. Il papà di Naja chiama il numero d’emergenza e spiega quanto accaduto. Chiede soccorso - a Roma - e comunica la posizione nave».

Comincia qui l’odissea di queste persone. «Sono passate le 12 e nessuno arriva. Il papà di Naja richiama l’Italia chiedendo nuovamente soccorso. Richiamano ancora alle 12,39 di venerdì 11 ottobre. La persona che risponde prende nota. Malta dista 218 miglia mentre Lampedusa la metà circa. Ai migranti viene però detto di chiamare Malta, che, contattata, prende tempo mentre il papà di Naja con il suo telefono satellitare continua incessantemente a richiedere soccorsi alle autorità italiane e maltesi . Nel primo pomeriggio, al posto di una nave, Malta invia un aereo che immediatamente riferisce via radio quanto può vedere dall’alto, “la barca è instabile”. Questa frase è significativa perché invece di accelerare le operazioni di soccorso blocca ogni tipo di intervento».

Poco prima delle 17,00 un evento inaspettato. «Una donna incinta partorisce a bordo. Il bimbo lo chiamano Mambruk, augurio. La nave italiana Libra è a 10 miglia marine dal peschereccio, 30 minuti circa di navigazione, ma resta ferma in attesa che qualcuno dia un ordine, ordine di avvicinamento che invece viene dato alle 13,30 circa alle navi mercantili. Sul peschereccio alberga oramai disperazione e rassegnazione. Poco dopo arriva un’onda». Il finale è chiaro e Gatti lo affida alle immagini dei video realizzati durante le tardive operazioni di soccorso dalla Marina Militare Italiana.

Muoiono uomini, donne e bambini, le fotografie dei dispersi, soprattutto bambini si susseguono in un montaggio suggestivo che non lascia appello a chi ha impedito di soccorrere quelle persone in un tempo ragionevole. Si scrive una nuova pagina di tragico Mediterraneo in cui probabilmente la colpa ha il nome della burocrazia internazionale.

Oltre alla lunga polemica in merito alle responsabilità fra le autorità di Malta e quelle italiane, resta il dato certo che dei 500 profughi presenti sul peschereccio ben 260, di cui più di 100 bambini, risultano ad oggi ufficialmente dispersi. «Chiaramente sono morti» aggiunge Gatti.

Un bambino di dieci anni in grembiule blu si fa coraggio e prende la parola: «Le autorità maltesi avrebbero dovuto inviare una barca non un aereo, con una barca potevano salvarli tutti».

«Se alla radio della guardia costiera maltese e italiana ci fossero stati dei bambini, i 260 migranti che chiedevano aiuto, 100 miglia a largo di Lampedusa, mentre il peschereccio sul quale si trovavano stava affondando, si sarebbero salvati». Risponde Gatti al bambino.

Antoine de Saint-Exupéry diceva che “I grandi non capiscono mai nulla da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta”. Siamo al teatro Petruzzelli di Bari, Fabrizio Gatti ha da pochi minuti terminato il suo toccante spettacolo sulla storia vera del naufragio avvenuto in acque internazionali l’11 ottobre del 2013.

ha collaborato Gennaro Balzano