Luigi Zingales
A scuola dai tedeschi (di calcio e non solo)
Il pallone è un gioco. Ma è anche lo specchio di una società. Spirito di squadra, capacità di integrazione, lotta alla corruzione è quello che manca all’Italia. E che invece la Germania ha dimostrato di avere. Anche ai mondiali di Rio
Nel 2012, nel mezzo della crisi dell’eurozona, la nazionale italiana di calcio vinse contro quella tedesca. Molti videro in quella partita il segno del riscatto dell’Italia. Il segno che i tedeschi ci dominano solo quando sono loro ad imporre le regole. Quando invece si gioca alla pari, l’Italia vince. Purtroppo la realtà è un’altra. Nonostante il nostro invidiabile record negli scontri diretti, la Germania ha dei risultati calcistici molto migliori dei nostri. Dal dopoguerra ad oggi la Germania si è qualificata tra le prime quattro squadre al mondo in 12 dei 17 mondiali (un’impressionante 70 per cento) contro il 35 per cento dell’Italia. La Germania è stata presente in quasi una finale su due, contro una su quattro dell’Italia. Nel dopoguerra la Germania ha vinto il titolo quattro volte, contro le due dell’Italia.
Il record dell’Italia è complessivamente molto buono: siamo terzi dopo Germania e Brasile. Ma è in forte discesa. Nelle ultime quattro edizioni, l’Italia è arrivata solo una volta tra le prime quattro classificate, mentre la Germania è arrivata sempre tra le prime tre. Nelle ultime due edizioni, poi, l’Italia è uscita addirittura nella fase iniziale.
RIPOSANDO SUGLI ALLORI passati, viene la tentazione di ignorare i segni di questo incipiente declino. D’altra parte nel calcio bastano un paio di partite sfortunate per fare la differenza. Ma se non si trattasse solo di sfortuna? Se fosse il sintomo di una malattia che non colpisce solo il mondo del pallone, ma anche la nostra economia nel suo complesso?
Come in economia, anche nel calcio il mondo è diventato più piatto. Trent’anni fa sarebbe stato impensabile una Costa Rica che per poco non arriva in semifinale. L’interscambio di giocatori ed allenatori ha ridotto il vantaggio comparato dei paesi calcisticamente sviluppati, come ha ridotto il vantaggio dei paesi economicamente sviluppati.
Quello che fa sempre più la differenza è il gioco di squadra. Il Brasile aveva Neymer, ma senza di lui non era nulla. La Germania può permettersi l’assenza di Khedira e la sostituzione di Klose durante la finale. All’Italia i talenti, sia economici che calcistici, non mancano. Ma manca il gioco di squadra: dentro e fuori dal campo. Basta guardare le faide del dopo sconfitta: ognuno contro l’altro. Questo problema ci affligge anche dal punto di vista economico. Abbiamo miriadi di piccole imprese di successo, ma non siamo altrettanto capaci di creare delle grandi organizzazioni. Non è un problema genetico, ma di istruzione. Negli Stati Uniti a scuola si insegna anche a lavorare in team, da noi no.
IL SECONDO SEGRETO della Germania è la Deutscher Fussbal-Bund, la loro Federcalcio: un’organizzazione meritocratica e non clientelare. Di fronte a uno scandalo (un paio di arbitri venduti) ha agito con determinazione e tolleranza zero. A differenza della nostra Federcalcio, che vive negli scandali. È forse un caso che abbiamo vinto i due mondiali solo quando la federazione ha fatto un po’ di repulisti? La Federcalcio fa il paio con il nostro capitalismo di relazione: non solo corrotto, ma distorto nei meccanismi di selezione dalla corruzione.
La meritocrazia tedesca ha permesso anche una più facile integrazione degli immigrati, che rappresentano una fetta consistente della squadra tedesca: da Khedira a Klose, da Özil a Boateng. A renderli tedeschi è una condivisione di valori, non un assurdo criterio genetico. Tranne qualche oriundo, l’Italia ha solo il povero Balotelli, mal tollerato dalla squadra e dai tifosi. Appena non segna è subito deriso. Forse che Toni (in passato) o Cassano (ora) sono stati molto meglio? Con una popolazione in declino, anche la nostra economia ha bisogno di immigrati, non solo come lavapiatti, ma in tutti i ruoli della società. Ha soprattutto bisogno di diventare una società meritocratica, dove la persona di talento (che sia indigeno o immigrato) possa emergere.
Il calcio è solo un gioco. Se i nostri fallimenti si limitassero solo ad esso, potremmo vivere felici. Purtroppo è lo specchio della nostra società. Invece di coprirlo, dobbiamo guardiamoci dentro, per capire come cambiare.