Colloquio con Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità, membro del Technical Review Panel del Global Fund for Aids, Tb and Malaria, ed ex presidente dell’International Aids Society

Una bufala sì, ma di quelle che fanno riflettere. È il falso allarme “Ebola a Lampedusa” esploso negli scorsi giorni su Facebook, che in poche ore ha superato le 26 mila condivisioni sul social network provocando una pioggia di disdette per gli albergatori dell’isola. L’autore della bravata alla fine è stato identificato e denunciato dalla polizia postale, ma restano i molti casi “sospetti” che spuntano di giorno in giorno da un capo all’altro dell’Europa e delle Americhe. E la domanda che tutti si fanno oggi è: diventerà una pandemia? Lo abbiamo chiesto a Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità, membro del Technical Review Panel del Global Fund for Aids, Tb and Malaria, ed ex presidente dell’International Aids Society.

Ebola potrebbe arrivare anche in Europa?
«Il rischio che la malattia si espanda al di fuori dell’Africa in realtà è molto basso. Esistono virus, come l’Hiv, che in questo sono “geniali”, perché restano asintomatici per anni, riuscendo a diffondersi efficacemente prima di danneggiare il loro ospite. Ebola Invece ?è un virus che potremmo definire suicida, perché uccide troppo in fretta. Ha un’incubazione estremamente breve, si trasmette unicamente per contatto con i fluidi di un paziente, e il malato diventa contagioso solamente dopo la comparsa dei sintomi e muore poi nell’arco ?di pochi giorni. È molto difficile quindi che una persona infetta possa allontanarsi dai paesi colpiti dall’epidemia senza essere prontamente identificata e messa in quarantena».


Medicina
Ebola, perché l'Italia sbaglia a non occuparsene
2/9/2014
Se arrivasse in Italia, cosa si potrebbe fare per arginarlo?
«Se un paziente affetto da Ebola fosse identificato nel nostro paese, verrebbe prontamente isolato e curato all’interno di una struttura sanitaria idonea, da cui il virus non potrebbe uscire in alcun modo. Tutte le persone con cui fosse eventualmente entrato in contatto verrebbero quindi rintracciate e monitorate, per evitare ulteriori contagi. Con ?i sistemi di quarantena e le strutture sanitarie che abbiamo è pressoché impossibile che scoppi un’epidemia di Ebola. Questo però non fa che sottolineare un aspetto spesso dimenticato della crisi che stiamo vivendo, e cioè che si tratta in primo luogo di un problema di medicina sociale».

In che senso?
«Ebola dimostra perfettamente le differenze che esistono nel mondo riguardo all’accesso alle cure. La salute andrebbe pensata come un problema globale. Conosciamo Ebola da oltre vent’anni, ma fino ad oggi non ce ne siamo occupati perché sembrava non riguardarci, mentre ad esempio per l’Aids, che ha colpito anche i nostri paesi, si sono fatti enormi passi in avanti. Si tratta di un atteggiamento che genera inaccettabili disuguaglianze da un punto di vista della salute. E non solo: in un mondo globalizzato infatti è impossibile pensare che una malattia che colpisce un’altra parte del globo non ci riguardi. Casi come questa epidemia di Ebola continueranno infatti a presentarsi, e se questa volta per noi non ci sono grossi pericoli, con un’altra malattia il risultato sarebbe potuto invece essere molto diverso».Simone Valesini