In coda al suo discorso di 48 minuti sulle “cose da fare” entro fine legislatura, Renzi ha dedicato al tema una decina di secondi: «per ragioni di tempo», ha spiegato. non poteva dire di più. E ha promesso: «Al termine dei mille giorni ci sarà una legge sui diritti civili perché non è pensabile che questo tema torni a essere argomento di discussione politica». Punto, fine. Si riferiva peraltro soltanto alle unioni tra persone dello stesso stesso, da realizzare sul modello tedesco e sulla base del testo depositato dalla deputata pd Monica Cirinnà: niente matrimonio ma lo stesso trattamento da parte dello Stato, a parte le adozioni.
Il resto di quelli che abitualmente sono chiamati “diritti civili” non è incluso nei propositi del governo: fine vita e biotestamento, ad esempio; ma nemmeno la revisione della legge 40 sulla fecondazione assistita, che nonostante gli interventi della Consulta ancora contiene molti pezzi proibizionisti; e poi, l'aggiornamento della legge o delle linee guida sull'aborto, che in Italia è un diritto teorico reso troppo spesso impraticabile dai medici obiettori; niente anche sul fronte della legalizzazione delle droghe leggere, né sul reato di tortura.
Del resto, dice il sottosegretario Ivan Scalfarotto, da sempre attento ai diritti civili, «questo è un governo di necessità e le questioni etiche sono quelle su cui è più difficile trovare una sintesi, perché riguardano i valori e le visioni del mondo: quindi tutti fanno fatica a considerarli trattabili». Scalfarotto si riferisce soprattutto al Nuovo Centro destra e ai montiani, ma anche ai cattolici del Pd, o almeno a una parte di loro. Ma aggiunge: «Le differenti posizioni alla fine non giovano a nessuno, perché i diritti civili vanno avanti lo stesso: se la politica non fa le leggi, arrivano le sentenze dei giudici, quelle della Consulta, e la Corte europea dei diritti dell'Uomo. Basta vedere come si è arrivati all'eterologa o come si è conclusa la vicenda di Eluana Englaro. Quindi su alcune cose la maggioranza deve trovare una sintesi. E se non la trova, è probabile che il governo agisca da solo: del resto Renzi si è tenuto la delega sulle Pari Opportunità».
Di nuovo, Scalfarotto pensa alle unioni gay su cui, dice che «c'è una domanda più forte nel Paese», mentre le questioni bioetiche, appunto, non risultano nell'agenda politica. Il sottosegretario è comunque convinto che «la legge sulle partnership alla tedesca si farà entro i mille giorni», anche perché «la Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento di intervenire in merito “con estrema sollecitudine”, una formula molto dura».
Per dovere di memoria, tuttavia, va notato che già il 14 giugno scorso Renzi aveva promesso le unioni civili per le coppie omosessuali «entro settembre, questo è un impegno vincolante» (discorso all'assemblea nazionale Pd). E lo stesso Scalfarotto ammette che, comunque, per questa battaglia non farebbe cadere il governo («non sarebbe un gran risultato potere avere un'unione civile con il mio compagno se lo stesso giorno ci si svuota il conto in banca»), aggiungendo però di essere convinto che nemmeno il Ncd lo farebbe cadere, «quindi siamo condannati a trovare un accordo».
Ad ogni modo, in Europa, l'Italia è rimasta tra i pochissimi Paesi a non avere alcuna forma di tutela per le coppie omosessuali, superati perfino dalla cattolicissima Malta. Intanto, nell'assenza di una legge nazionale si moltiplicano i sindaci che istituiscono appositi registri comunali, che ormai sono più di 150: il primo fu Empoli nel 1993 e l'ultimo Taormina, pochi mesi fa; tra questi ci anche sono Milano e Napoli, mentre manca ancora Roma per l'opposizione dei cattolici del Pd al sindaco Marino.
Questi registri spesso sono poco più di una formalizzazione simbolica di una condizione di vita, ma altri comuni vanno oltre, registrando all'anagrafe i matrimoni gay contratti all'estero: così ha fatto pochi giorni fa il sindaco di Bologna Virginio Merola, arrivando allo scontro istituzionale con il prefetto che ha subito chiesto la revoca delle trascrizioni perché «non sono previste dall'ordinamento nazionale».
In un altro caso, ad aprile, era stato il tribunale a ordinare al comune di Grosseto di convalidare le nozze celebrate a New York da due omosessuali, basandosi sul fatto che nella legge italiana «non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie per contrarre matrimonio».
Da casi come questi, appunto, l'osservazione di Scalfarotto che «la politica deve fare una legge per non farsi scavalcare dalla realtà».
La stessa dinamica (ordinanze e sentenze che superano la politica), va del resto applicandosi sempre di più anche a quei diritti civili che il governo Renzi invece non vuole affrontare, come quelli bioetici. Ed è questa la strategia - rivolgersi ai magistrati, alla Corte costituzionale, alla Ue, ai tribunali internazionali - che viene messa sempre più in pratica dall'associazione Luca Coscioni, appena uscita dal suo undicesimo congresso: «In Italia è passato il concetto che per la politica “la stagione dei temi etici è finita”, perché c'è Renzi e c'è papa Francesco, quindi basta contrapposizioni», spiega Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Coscioni: «Ma le pessime leggi fatte in passato su fecondazione assistita, fine vita e ricerca scientifica non sono mai state cambiate dal Parlamento. Dobbiamo ogni miglioramento, quando c'è stato, solo agli interventi di poteri non legislativi: dai tribunali ordinari alla Consulta fino alla corte di Strasburgo. Ed è a questi che, quindi, facciamo ricorso, anziché rivolgerci ai partiti, continuando intanto a promuovere queste battaglie nella società, nella sensibilità comune».
Una strategia che, del resto, ha già dimostrato di funzionare. Si pensi al fine vita e al biotestamento: il medico Mario Riccio è stato prosciolto dall'accusa di “omicidio del consenziente” per aver interrotto la ventilazione meccanica a Piergiorgio Welby, aiutandolo quindi a morire: «Una sentenza che riconosce di fatto il diritto di rifiutare una terapia e il diritto-dovere di un medico a realizzare le colontà del malato», dice Cappato. [[ge:espresso:attualita:1.178651:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2014/09/04/news/eluana-englaro-aveva-il-diritto-di-morire-in-lombardia-1.178651]]Nel caso di Eluana Englaro si è andati oltre, dato che poche settimane fa il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la decisione con cui nel 2009 la giunta Formigoni aveva vietato la sospensione delle terapie alla ragazza su tutto il territorio lombardo, costringendo il padre Beppino a trasferire la figlia in Friuli. E ancora, dice Cappato: «Nessuna procedimento penale viene più avviato contro chi accompagna una persona a fare l'eutanasia all'estero: io l'ho appena fatto, pubblicamente, e non sono nemmeno stato interrogato».
Insomma, «essendoci un'opinione pubblica straordinariamente a favore di questi temi e una politica invece del tutto paralizzata, lavoriamo sempre di più partendo dai casi individuali per conquistare un diritto collettivo, attraverso sentenze che fanno giurisprudenza. Perfino sulle barriere architettoniche abbiamo fatto causa a diversi comuni e le stiamo vincendo».
Il caso scuola, in questo senso è la legge 40, quella sulla fecondazione assistita, approvata dal centrodestra del 2004: al momento della sua entrata in vigore imponeva una quantità spaventosa di divieti e obblighi che sono stati, nel tempo, quasi tutti eliminati da corti italiane ed estere. Settembre 2007: il tribunale di Cagliari ordina a una struttura pubblica di effettuare la diagnosi dell'embrione prima dell'impianto, proibito dalla legge; dicembre 2007: uguale decisione del tribunale di Firenze; Gennaio 2008: il divieto di diagnosi preimpianto viene dichiarato illegittimo dal Tar del Lazio; aprile 2009: la Corte costituzionale elimina il limite di produzione di embrioni (non poteva essere superiore a tre) e l'obbligo di «un unico e contemporaneo impianto», ampliando anche la possibilità di crioconservare gli embrioni (un passaggio fondamentale, che ha aumentato i casi di successo della fecondazione assistita e ha diminuito i “bombardamenti” ormonali sulle donne); aprile 2014: la Corte Costituzionale dichiara illegittimo il divieto di eterologa, dopo che per dieci anni migliaia e migliaia di coppie erano dovute andare all'estero per farla.
Spiega Filomena Gallo, che dell'associazione Coscioni è il segretario e che, come avvocato, ha contribuito non poco allo smantellamento di quella legge: «Il Parlamento dell'epoca ignorò non solo tutti gli emendamenti proposti, ma soprattutto i pareri di tanti esperti e giuristi che consigliavano di cambiare quel testo. Il risultato è stato una legge i cui molti dei divieti e degli obblighi erano contrari a diritti della persona garantiti a livello più alto, costituzionale o europeo. Così, a poco a poco, la legge è stata quasi del tutto cancellata».
“Quasi”, perché resta in vigore il divieto di diagnosi preimpianto per coppie non sterili ma con malattie genetiche (che quindi vorrebbero ricorrervi per non trasmettere ai figli le proprie patologie); ed è ancora proibita qualsiasi ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali.
Sulla proibizione di diagnosi preimpianto per le coppie con malattie ereditarie c'è tuttavia già una sentenza che ne chiede l'eliminazione, firmata dalla corte europea dei diritti umani; e la questione approderà presto anche alla Consulta, su richiesta di una coppia in cui la donna è portatrice di una grave patologia genetica che determina possibili malformazioni al feto: probabile quindi che salti anche questo divieto.
Sulla questione delle staminali invece siamo al paradosso: i ricercatori italiani infatti acquistano cellule all'estero, mentre gli embrioni “italiani” una volta dichiarati non idonei per gravidanza restano a tempo indeterminato nei centri in cui è avvenuto l'intervento, crioconservati ma inutilizzabili (in teoria dovrebbero finire alla Biobanca pubblica di Milano, ma sempre senza la possibilità di essere utilizzati per la ricerca). Paradosso dei paradossi, però, se una coppia vuole può far spedire i “suoi” embrioni inutilizzati all'estero per destinarli alla ricerca (è stato già fatto, ad esempio, verso il Karolinska Institutet di Solna, vicino a Stoccolma). Quello che non si può fare, è destinare alla ricerca in Italia gli embrioni prodotti in Italia: geniale.
Anche qui, però, pende un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, dovuta all'iniziativa di Adele Parrillo, già compagna del regista Stefano Rolla ucciso nell'attentato di Nassirya (2003): prima della sua morte, Adele e Stefano - avendo problemi di fertilità - avevano prodotto e crioconservato degli embrioni; adesso lei chiede che vengano destinati alla ricerca e per questo si è rivolta a Strasburgo, contro la legge 40. Un'altra coppia, a Firenze, ha ottenuto dal giudice che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale contro la legge 40 perché vuole donare alla scienza i suoi embrioni, malformati e quindi non utilizzabili per una gravidanza: la Consulta deciderà anche su questo e potrebbe chiudere definitivamente la questione.
C'è poi, in corso proprio in questi mesi, la partita sull'eterologa. Perché dopo la decisione della Consulta, il ministro Beatrice Lorenzin aveva cercato di imbrigliare la liberalizzazione con un decreto-legge: poi Renzi l'ha stoppata, per i rischi divisivi tra i partiti della maggioranza. Così adesso l'eterologa è di fatto già partita, e la Conferenza delle Regioni ha stabilito che le donne sotto i 43 anni potranno farla pagando solo un ticket, che sarà tra i 400 e i 600 euro. Solo in Lombardia sarà tutto a carico dei pazienti (dai tremila ai quattromila) con il probabile scenario di coppie che si sposteranno altrove (e successivi scontri tra amministrazioni pubbliche per i rimborsi).
Ma anche i costi imposti dalla Lombardia saranno a loro volta portati davanti alla Corte costituzionale, visto che la sentenza di aprile (quella che abolito il divieto all'eterologa) fa riferimento alla disparità tra chi poteva andare a farla all'estero e chi no, sancendo come «ingiustificato il diverso trattamento delle coppie in base alla capacità economica delle stesse»; e l'associazione Coscioni, quindi, ha già deciso di impugnare la delibera di Maroni.
Allo stesso modo, potrebbero essere bocciate dopo ricorso anche le linee guida nazionali che hanno fissato a 43 anni l’età massima per la donna, se vuole pagare solo il ticket: già il Friuli Venezia Giulia ha spostato il limite a 50 anni. E anche per l'eterologa, poi, si aprirà presto davanti alle diverse corti la stessa questione che vale per la diagnosi preimpianto: attualmente questo tipo di fecondazione è infatti riservata alle coppie infertili, mentre è proibita per quelle non sterili ma con malattie ereditarie (paradossale, anche questo: in sostanza si vieta a una coppia di accedere a una tecnica il cui scopo è prevenire una malattia al nascituro). Allo stesso modo, si apriranno battaglie legali sul diritto all'eterologa delle donne single (oggi è riservata alle coppie etero).
Del resto sono già in corso sono vertenze di fronte ai tribunali per autenticare in Italia le adozioni di bambini da parte di single avvenute all'estero; ultimo caso: quello di una donna italiana che non ha un partner ma grazie al tribunale dei minori di Bologna ha ottenuto la piena legittimazione dell'adozione della sua bambina avvenuta negli Usa (dove è legale, mentre in Italia possono adottare solo le coppie etero sposate).
Insomma, tutto si muove. Più difficile e complesso, però, è ottenere risultati concreti per ordinanze e sentenze su un altro diritto civile fondamentale: quello all'interruzione di gravidanza. Che sembrava acquisito dopo la legge 194 del 1978 e il referendum popolare che ne ha impedito l'abrogazione del 1981, invece è sempre meno garantito nella pratica quotidiana: basta pensare che secondo la classifica di Freedom of Research, siamo al 45° posto nel mondo come autodeterminazione riproduttiva, dopo Paesi come Portogallo e Grecia, ma anche Bahrain e Nepal.
Il problema sta nel combinato disposto dei tagli alla sanità pubblica e dell'incredibile numero di medici obiettori: circa il 70 per cento a livello nazionale, con punte del 90 in regioni come il Lazio, dove si stima che un ospedale su tre non garantisca l'intervento. In un ospedale importante come il Pertini di Roma, gli obiettori sono 17 su 19: «Ed è in una realtà così che negli ultimi anni in Italia sta tornando la piaga dell'aborto clandestino», dice Filomena Gallo, sempre più spesso attuato attraverso farmaci acquistati via Internet, quindi mettendo a rischio la salute della donna; ma ultimamente sono stati scoperti anche ambulatori fai-da-te, come ad esempio quello creato dalle comunità cinese di Padova (ma c'erano anche pazienti italiane). Incerte le cifre sul fenomeno, trattandosi appunto di pratica illegale: se il ministero della sanità stima gli aborti clandestini attorno ai 20 mila l'anno secondo l'associazione Coscioni sono almeno il doppio (cioè più di 100 al giorno).
Difficile ma non impossibile, per il diritto all'aborto, procedere per tribunali: perché le Regioni hanno l'obbligo, per legge, di vigilare che tutte le strutture pubbliche diano reale possibilità alle donne di interrompere la gravidanza e l'associazione Coscioni intende portare in tribunale, partendo da singoli casi, quelle che non fanno il loro dovere. E non è solo questione di aborto “negato”, ma anche - semplicemente - di liste d'attesa spesso infinite, che pure potrebbero costituire un vulnus alla legge e al diritto alla salute, dato che il prolungamento di una gravidanza non desiderata e un aborto fatto al limite dei novanta giorni procura danni psicologici (e spesso non solo) alle donne.
Altre possibilità per rendere concreto il diritto all'interruzione di gravidanza, dicono alla Coscioni, passano solo attraverso cambiamenti normativi, vuoi della legge stessa, vuoi delle regole che l'applicano: Gallo, ad esempio, propone che l'albo dei medici obiettori sia pubblico, in modo che ogni donna sappia fin dall'inizio se il ginecologo a cui si rivolge sarà anche quello che in caso di aborto potrà operarla; altre ipotesi: il “medico gettonato”, cioè la possibilità di spostare un medico non obiettore da una struttura all'altra (con apposito gettone, appunto) per garantire il servizio ovunque; concorsi per ginecologi e ostetrici riservati almeno al 50 per cento a medici che si dichiarano non obiettori; e infine, come per ogni obiezione di coscienza, la previsione di un servizio sostitutivo, che nel caso dei medici obiettori consisterebbe nell'attività di informazione nelle scuole sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate.
Secondo Silvio Viale, ginecologo al Sant'Anna di Torino e da sempre attivista per il diritto all'aborto, si dovrebbe pensare anche a «strumenti di incentivazione» per i medici, essendo «l'interruzione di gravidanza un lavoro pochissimo gratificante per i ginecologi», che quindi si dichiarano spesso obiettori pur non essendo tali per motivi etici. Tutte cose molto di buon senso e civili, per le quali tuttavia occorrerebbe una volontà politica: che, al momento, non c'è.
Ps. Disclaimer. In questo articolo compaiono i virgolettati di esponenti dell'Associazione Luca Coscioni (in quanto gruppo più attivo in Italia sui diritti civili) e del Pd (in quanto principale partito di governo). L'autore ha richiesto un colloquio anche con uno o più parlamentari del Movimento 5 Stelle (in quanto principale partito d'opposizione) ma l'ufficio stampa del M5S ha cortesemente risposto che, pur essendoci diversi suoi eletti interessati e attenti a questi temi, non è stata ancora raggiunta una posizione definita e unitaria da tutto il Movimento, e soltanto quando questo avverrà i parlamentari si esporranno con la stampa in merito.
Il colloquio27.04.2006
Dialogo sulla vita