La Bce sta spingendo gli istituti bancari a sbloccare i prestiti alle aziende. Il nostro ministro dell'Economia sostiene Mario Draghi. Ma senza investimenti pubblici e privati si tratta di un passo molto difficile
Dura la vita del banchiere. Uno si immagina che il capo di un colosso del credito se ne stia all’ultimo piano del proprio quartier generale, e centellini gli incontri limitandosi a ministri e grandi imprenditori, nababbi arabi e oligarchi russi. Invece no. Lunedì 15 settembre Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, era a Milano, in una grande sala del nuovo grattacielo della banca, a stringere di persona la mano a un centinaio di clienti-imprenditori. Quattro giorni dopo la kermesse si è spostata a Torino, il primo ottobre toccherà a Ozzano dell’Emilia, dove gli ospiti saranno accolti nella sede dell’Ima, una fabbrica di bustine da té. E poi, a seguire, Catania e Roma.
L’obiettivo del tour è semplice: le banche sono accusate di aver ucciso la ripresa economica, negando i prestiti alle famiglie e alle imprese che ne avevano bisogno. E i banchieri sono finiti nel mirino delle autorità europee e della politica, che stanno cercando di metterli nell’angolo perché tornino a dar linfa all’economia.
I miliardi che non tornano Il valore dei crediti “non performing” (inesigibili, incagliati o scaduti) delle diverse banche italiane e rapporto percentuale fra le riserve accantonate e i crediti non performing (dati al 30 giugno 2014)
A scatenare l’attacco è stato Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea (Bce), che ha fatto partire una serie di massicci finanziamenti al sistema creditizio, pensati per essere girati alle imprese a condizioni di favore. E sull’onda sollevata da Francoforte sperano di muoversi i governi dei Paesi più colpiti dalla crisi: «Stiamo andando nella direzione giusta, penso che il credito alle imprese, sostenuto dalle azioni della Bce, aumenterà», ha detto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Il quale non si è nascosto: «La mia è una scommessa, ma credo davvero che andrà così», si è sbilanciato in tv a “Porta a porta”.
La questione è scottante. In questi anni per molti imprenditori il comportamento delle banche ha rappresentato un buco nero in grado di inghiottire ogni speranza di rilancio. Gli istituti, è l’accusa, sono disponibili a concedere prestiti solo a pochi clienti eccellenti, mentre si guardano bene dal fornire alla moltitudine di ditte piccole e medie quell’ossigeno di cui hanno quotidianamente bisogno. I banchieri rispondono che non è vero, che sono le imprese a non chiedere quattrini in prestito, proprio perché sfiduciate: difficile fare investimenti quando il mercato è fermo o si contrae. «Ci piacerebbe tanto prestare, ma non riusciamo a raggiungere il budget degli impieghi», ha detto l’amministratore delegato di Ubi Banca, Victor Massiah. Impieghi, nel gergo bancario, sta per prestiti.
Per capire quel che sta accadendo davvero, e come Draghi e i governi sperano di uscire da un circolo vizioso che si protrae ormai da tempo, occorre partire dai dati. Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, in tre anni - da luglio 2011 a luglio 2014 - il credito bancario alle imprese ha subito una contrazione di quasi 70 miliardi di euro, mentre le famiglie hanno visto ridursi i finanziamenti di 14 miliardi. Uno dei motivi lo si coglie nella tabella della pagina a fianco: con la recessione gli istituti stanno accusando perdite miliardarie su prestiti che non vengono restituiti, e ci vanno con i piedi di piombo.
[[ge:espresso:palazzo:1.154435:article:https://espresso.repubblica.it/palazzo/2014/02/21/news/governo-renzi-di-nuovo-un-tecnico-all-economia-1.154435]]«Le banche sono sempre più determinate a fare una dura selezione delle imprese a cui destinare il credito, con o senza i fondi Bce», spiega Fabio Bolognini, ex Unicredit Banca d’Impresa e Intesa Sanpaolo, ora al timone della società Linker, fondata proprio per assistere le aziende nella gestione dei rapporti con gli istituti. Quando assicurano di essere pronti a finanziare le aziende, secondo Bolognini i banchieri stanno pensando a un target preciso, che rappresenta meno della metà delle imprese totali: non devono essere troppo indebitate, non avere pendenze con Inps o fisco, essere possibilimente di dimensioni medio-grandi - che garantiscano più trasparenza - e, infine, avere in programma investimenti industriali. Clienti, insomma, che siano in grado di superare i controlli di vigilanza della Bce, quando chiederà conto di come sono stati usati i suoi fondi.
Il problema è che questo tipo di domanda oggi scarseggia: gli imprenditori chiedono credito soprattutto per avere liquidità, finanziare le fatture pagate a 120 giorni e il capitale circolante, nonché per ristrutturare l’eccesso di debito. E così «non sono più le imprese che vanno in banca e chiedono credito, ma le banche che scelgono a chi darlo, affinando il sistema di selezione», aggiunge Bolognini. Intanto non esistono statistiche ufficiali sul numero di richieste respinte, molte delle quali non lasciano tracce informatiche, respinte già nelle conversazioni con i direttori delle filiali. Né tanto meno si certifica il numero di imprese che essendo già state respinte una o più volte, rinunciano a fare nuova domanda di credito.
[[ge:espresso:plus:articoli:1.179895:article:https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2014/09/12/news/la-bce-prigioniera-di-angela-merkel-1.179895]]Per sfuggire a questa trappola, Draghi ha varato da tempo una serie di misure, ingaggiando uno scontro con la Germania di Angela Merkel che, sul piano delle dichiarazioni ufficiali, si sta facendo sempre più acceso. La penultima delle iniziative della Bce è diventata operativa giovedì 18 settembre: ha prestato agli istituti di credito 82,6 miliardi di euro (23 miliardi dei quali finiti agli italiani) a un tasso d’interesse molto basso. Quei quattrini potranno essere restituiti nel 2018 se verranno tramutati in crediti alle imprese a condizioni altrettanto vantaggiose, altrimenti dovranno tornare nei forzieri di Francoforte già nel 2016.
Sull’efficacia di questo stimolo, proprio alla vigilia del lancio, lo stesso ministro Padoan si era lasciato andare a una breve osservazione, passata inosservata ai più. Aveva detto di ritenere che non sarà questo lo strumento in grado di rinvigorire davvero i prestiti alle industrie ma, piuttosto, quello che arriverà nei prossimi mesi, quando la Bce si è impegnata ad acquistare dalle banche quelle che nel linguaggio della finanza vengono chiamati Abs, dall’inglese “asset backed securities”, o cartolarizzazioni: si tratta di obbligazioni emesse da una società-veicolo a cui le banche hanno conferito altre attività, ad esempio crediti o bond di altro genere. Ed è questo il punto su cui Draghi sta battagliando con Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca.
Weidmann ha criticato a più riprese la Bce, dicendo che la banca europea non può fare granché per la crescita e che, in particolare con l’annunciato acquisto di Abs, finirà per favorire le banche a spese dei contribuenti. Una posizione un po’ ipocrita, dato che la Germania, nel corso della crisi, ha fatto esattamente lo stesso, facendosi restituire i prestiti concessi dal proprio sistema bancario agli istituti dei Paesi più periferici e vendendo a man bassa i loro titoli di Stato, impiombati dall’esplosione dello spread. Ma che, in realtà, nasconde uno scontro d’interessi: Weidmann vuole che gli Abs acquistati dalla Bce siano a bassissimo rischio, come quelli che possono arrivare dalle banche tedesche, mentre nel proprio intervento al parlamento europeo del 22 settembre Draghi ha fatto una prima, seppur vaga, apertura alla possibilità di acquistare cartolarizzazioni effettuate nei Paesi più fragili. Una mossa che potrebbe far affluire al sistema bancario europeo centinaia di miliardi di euro.
Basterà lo sforzo per far ripartire la crescita? I dubbi non mancano. Diego Valiante, responsabile della ricerca sui mercati finanziari per il Centre for European Policy Studies, osserva che se si guarda «il capitale fisso, ovvero la porzione del capitale totale investita in terreni, impianti industriali, edifici, proprietà intellettuale e altro, si vede che in Italia la sua creazione ristagna, dopo anni di crescita ininterrotta. Queste attività sono utilizzate per più anni prima di essere sostituite e forniscono l’infrastruttura di base del sistema economico, influenzando a loro volta la produttività di altri fattori: ebbene l’Italia in Occidente è il Paese con la più scarsa redditività del capitale fisso». Avere un sistema bancario che funziona sarà dunque cruciale per rimettere l’economia in marcia. Ma, dice Valiante, «senza investimenti pubblici e privati sarà comunque difficile ripartire»