I musulmani moderati. Paesi come l’Egitto. L’Occidente ha bisogno di interlocutori, perché la guerra non è una soluzione. L’opinione di Malek Chebel

Gli attacchi a “Charlie Hebdo” e al supermercato di Vincennes a gennaio erano completamente inattesi. Era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Una sorta di inizio. La reazione che c’è stata da parte della gente è stata spettacolare. Stavolta si è rimasti scioccati, anche per il numero delle vittime. Bisogna essere all’altezza del pericolo che ci minaccia. E quindi essere “armati”, intellettualmente parlando. Forse lo siamo militarmente ma a livello intellettuale non lo siamo ancora. Non in modo sufficiente almeno. è un’ideologia che ci minaccia. Ed è questa che va combattuta, bisogna andare alla radice».

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Malek Chebel è uno dei più apprezzati e celebri specialisti dell’Islam moderato a cui ha dedicato diversi libri. Algerino residente in Francia, 62 anni, filosofo e antropologo delle religioni (ha tradotto il Corano e ne ha fatto anche una versione per bambini) analizza la nuova tragedia che ha colpito Parigi. Dopo Charlie Hebdo aveva lanciato un forte appello dichiarando «Elaboriamo il lutto, ma poi dovremo tornare alla realtà e cercare di riprenderci la serenità perduta». E ora torna ad analizzare per “l’Espresso” questo nuovo tragico momento che vive Parigi in prima linea ma che coinvolge il mondo intero.

Quale deve essere la risposta dell’Occidente a queste stragi?
«Per me la guerra è la peggiore delle soluzioni, l’ultima a dover essere presa. Innanzitutto ora bisogna impegnarsi nella riflessione e capire la posta in gioco, prima di prendere decisioni nette. Ma adesso siamo ancora molto più nella reazione che non nella riflessione. E il tempo della reazione è sempre precipitoso».

Ma non è troppo tardi?
«Non è mai troppo tardi. Bisogna trattare il problema nella sua profondità. Riflettere».

Ed esistono degli interlocutori con cui parlare?
«Vanno costruiti. Così come si costruiscono e si scelgono i nemici per le guerre. Per la pace è uguale. è necessario scegliere dei partner, degli alleati per andare nella buona direzione. Ma tutto questo si costruisce. Nell’immediato, purtroppo, ci sono vittime, troppe vittime. E nell’immediato va risolto con urgenza il problema della sicurezza. Non può essere un problema puntuale, va risolto a lungo termine».

A proposito di interlocutori, lei ha dichiarato recentemente che l’Egitto ora in qualche modo lo è diventato. Può spiegare?
«Era un paese infrequentabile fino a due anni fa con Morsi al potere. Ora c’è Al-Sisi che è riuscito a riportare un po’ di calma riuscendo a gestire le intenzioni bellicose dei Fratelli Musulmani, allontanando il pericolo dal centro dell’Egitto e decentrandolo alle frontiere, verso la Libia e Sharm el-Sheikh. L’Egitto ha esperienza e può essere un interlocutore. Bisognerebbe costruire uno Stato di diritto un po’ per tutto il Medio Oriente per non doversi più preoccupare di violenza religiosa. Se ne occuperebbe questo eventuale Stato. Ma nulla è stato fatto di tutto ciò. E comunque per farlo bisogna riflettere, perché è qualcosa che va pensato e costruito. Non si può più parlare di Stati Uniti o di Francia che difendono l’Europa. Tutto questo non esiste più. Il mondo è multipolare. C’è la Cina che ha lo stesso potere degli Stati Uniti, anche il Giappone è importante come l’Inghilterra. In quest’ottica bisogna fare una coalizione di pace, non di guerra. Perché la guerra porta guerra, diventa un circolo vizioso e così non se ne esce. Tutti i circoli di difesa che si stanno riunendo in questi giorni dovrebbero includere nella loro visione l’uscita dalla crisi, ma anche e soprattutto come consolidare la pace. Come uscire dalla guerra per arrivare alla pace».

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Per gli attacchi terroristici dentro la città sono stati scelti il decimo e l’undicesimo arrondissement. Perché proprio questi quartieri?
«Perché sono quartieri popolari, per fare più male possibile, per avere il più alto numero di morti. è chiaro che si tratta di una scelta deliberata».

E ha una simbologia anche il fatto di aver colpito in uno stadio, un teatro e dei ristoranti, cioè luoghi che rappresentano il divertimento moderno?
«No, non andiamo oltre, non si tratta di simbologia. Non è perché c’erano persone che si divertivano, mangiavano o ballavano. Purtroppo è molto più semplice: l’obiettivo era fare il più alto numero di vittime possibile. Si sono anche muniti di cinture cariche di esplosivi per arrivare al loro scopo. Era una questione di numeri. Immagino che abbiano contato i loro morti e abbiano deciso di rispondere facendo altrettanto. Come se fosse una questione di “contabilità”».

Dunque per lei non è stato colpito anche lo stadio perché la Francia organizza l’Europeo nel 2016?
«Certo, la Francia in qualche modo è un simbolo. C’è l’Europeo, è vero, ma c’è anche ben presto il convegno mondiale sul clima a Parigi (dal 30 novembre al 9 dicembre). Sì, sono dei simboli. Ma la vera priorità era solo di fare più male possibile».

La Francia paga la scelta degli attacchi in Siria oppure è un simbolo di “dissolutezza” agli occhi degli islamisti?
«La Francia paga la sua ambizione di voler fare la guerra con gli Usa e l’Inghilterra. Il mondo invece oggi, come dicevo prima, è multipolare. Non si può agire da soli di fronte a problemi planetari, soprattutto nella complessità e nella confusione generale. Credo dunque che sia un modo di mandare un messaggio alla Francia che rappresenta comunque un bel Paese, dove si vive bene, apprezzato dal mondo intero: restate ciò che siete, privilegiate la pace, applicate la diplomazia attiva piuttosto che scegliere la via della guerra che è atroce e lasciate il lavoro sporco agli americani e agli altri».

La Francia non paga quindi il fatto di essere anche la culla di un certo libertinismo?
«No. Sarebbe come rinnegare tutta la civilizzazione, come se tutto fosse solo da una parte e la barbarie dall’altra. Anche l’Islam ha una sua civilizzazione come anche l’Occidente ha dei barbari di un altro tipo, magari sotto forma politica per esempio. Il mondo, ripeto, è multipolare, è cambiato e bisogna adattarsi».

Ma cos’è allora la Francia per un islamista?
«È una sorta di fissazione. è uno dei simboli del paganesimo occidentale. Ma la questione è più globale. Ci sono persone manipolate che non hanno una visione netta e aperta di ciò che la Francia rappresenta come progresso umano, intelligenza, cultura, bellezza, laicità, parità delle donne».

Ora come reagiranno i francesi?
«Ci sono quelli informati e quelli no, si reagisce anche in funzione di questo. Spero che ci sia maturità come c’è stata dopo i fatti di gennaio e che non si vada oltre. Ma è chiaro che tutto è possibile».

E gli islamici moderati? La maggioranza silenziosa si muoverà in qualche modo?
«Lo spero. Spero proprio che ora abbiano preso coscienza della gravità della situazione e che reagiscano più chiaramente e con più forza di quanto abbiano fatto finora. Anche questa è un’altra problematica importante e non così automatica. Richiede altri elementi da considerare».

A livello politico sarà ancora una volta Marine Le Pen a guadagnarci?
«Se il presidente Hollande arriverà a gestire questa crisi così come dopo i fatti di gennaio, sarà in una posizione migliore più domani di oggi. Ma se le cose peggioreranno, allora penso che sarà Marine Le Pen che guadagnerà dei punti “d’ufficio” e molto presto almeno due regioni nelle elezioni che stanno per arrivare (a dicembre). Può essere lei la più grande vincitrice di tutta questa storia».

François Hollande ha sospeso Schengen e dichiarato lo stato d’emergenza. Lei è d’accordo con queste decisioni?
«Ma questo non regola il problema. Questo regola il passato. Nel senso che gli indesiderabili sono stati già fatti entrare. A chi si chiude la frontiera? Ai francesi stessi? Al francese venuto dalla Siria? In ogni caso non può essere una soluzione duratura ma momentanea. Va cambiato il “server” e ancora non è stato fatto: diplomatico, politico, di civilizzazione. L’Onu, per esempio, non è più in grado di decidere, di prendere la minima posizione. Non è operativo. Anche questa istituzione va rivista. Tutti i paesi che ne fanno parte non fanno nulla per riformare il funzionamento del Consiglio di Sicurezza».