Il report di Transparency International parla chiaro: troppe carenze e aree grigie sul fronte legislativo ci relegano nelle ultime posizioni nel continente e ci rendono deboli alle pressioni di gruppi di interesse privato. Ma qualcosa, forse, si sta muovendo in Parlamento

L'Italia non è solo uno dei paesi più corrotti al mondo, come Transparency International ha decretato ancora una volta in dicembre collocandoci al 69esimo posto per trasparenza, ma anche uno di quelli più arretrati nel combattere i conflitti di interesse e il potere delle lobby.

A confermarlo è sempre l'agenzia internazionale in un rapporto sul “Lobbying in Europa, nel quale si analizza la legislazione di 19 paesi del continente più quella dei tre principali organismi europei (Commissione, Europarlamento e Consiglio Ue) stilando una classifica che parte da tre macroindicatori: la trasparenza al pubblico delle relazioni tra politici e lobbisti; la regolamentazione sulla condotta etica degli stessi, diciamo la loro integrità; l'apertura del potere pubblico al pluralismo di voci e interessi, in pratica una sorta di pari opportunità di accesso.

Per costruire il loro giudizio i ricercatori si sono basati da un lato sull'apparato di norme e leggi in vigore e dall'altro su colloqui avuti in ciascun paese. Ebbene, l'Italia risulta galleggiare verso la fine della classifica. Prendiamo per esempio il livello di trasparenza: in un punteggio da zero a cento siamo a quota 11 e dietro di noi ci sono soltanto Spagna, Ungheria e Cipro, mentre la graduatoria dei più virtuosi vede sul podio Slovenia, Irlanda e la Commissione europea.
Lobby in Europa: a una percentuale più alta corrisponde maggiore qualità delle leggi

A zero siamo sul piano legislativo e molto indietro su quello dell'accesso alle informazioni. Va detto che, dopo anni e anni di assenza, potrebbe esserci ora una svolta alla Commissione affari costituzionali del Senato, dove si sono tenute le audizioni e proprio all'inizio del mese è stato deciso di assumere come testo base di discussione il disegno di legge sulle lobby presentato da Alberto Luis Orellana, ex grillino e ora nel gruppo misto, e Lorenzo Battista del gruppo per le Autonomie.

Ne parleremo più avanti, ora torniamo al confronto europeo di Transparency International dando un po' di numeri. Se per trasparenza l'Italia merita uno “score” dell'11 per cento, la media dei 19 paesi è oltre il doppio, al 26 per cento, mentre la Slovenia è l'unica che va oltre il 50, al 58 per cento. Se si prendono come riferimento i meccanismi che consentono comportamenti etici tra lobbisti e decisori l'Italia è a quota 27 contro una media di 33 e il record di 58 sempre della Slovenia. Se infine si tiene conto delle norme per promuovere una pluralità di voci nel sistema politico l'Italia si ferma al 22 per cento contro una media del 33 e qui una performance molto positiva della Commissione europea (63 per cento) davanti a Lituania e Slovenia.

I risultati complessivi del rapporto spingono Transparency a esprimere preoccupazione e a suggerire standard etici più aperti per governi e lobbisti, anche perchè quelli in vigore risultato inefficaci. Prevalgono tuttora influenze nascoste e informali.



Alcuni gruppi di interesse hanno un accesso privilegiato alle stanze del potere ed esistono seri conflitti di interessi. Il rischio di pressioni indebite resta alto – commenta Transparency International – e ha conseguenze negative su economia, ambiente, coesione sociale, sicurezza pubblica e diritti umani.

In sostanza il sistema appare assolutamente inadeguato e occorre uno sforzo congiunto del potere politico e dei gruppi privati per regolare le lobby e garantire migliore etica e trasparenza. L'Europa è arretrata in questo campo rispetto a Stati Uniti e Canada e solo sette paesi tra quelli esaminati hanno una qualche norma sulle lobby. Si tratta di Austria, Francia, Irlanda, Lituania, Polonia, Slovenia (unico paese, come abbiamo visto, che ha uno “score” superiore al 50 per cento) e Gran Bretagna, sistemi nei quali è presente una forma di registrazione delle lobby e, nella maggioranza dei casi, anche un obbligo di comunicare periodicamente le proprie attività. Il rapporto nota poi che buona parte dei paesi al centro di una crisi finanziaria negli ultimi anni figurano in fondo alla classifica di trasparenza, vale a dire Cipro, Spagna, Portogallo e naturalmente l'Italia.

A Palazzo Madama si sta cercando finalmente di rimediare al vuoto legislativo. E quindi, dopo che il governo ha istituito l'anno scorso l'Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, al Senato fa passi avanti il disegno di legge che vuole creare presso la presidenza del Consiglio un comitato per il monitoraggio dei lobbisti, con un apposito Registro al quale tutti i rappresentanti di interessi dovranno iscriversi obbligatoriamente.

Il ddl a firma Orellana-Battista si compone di quindici articoli, il primo dei quali dice che l'atticità di lobbying deve «conformarsi ai principi di pubblicità, partecipazione democratica, trasparenza e conoscibilità dei processi decisionali, anche al fine di garantire una più ampia base informativa su cui i decisori pubblici possono fondare le proprie scelte».

C'è poi l'obbligo per i lobbisti di «predisporre una periodica relazione sull'attività svolta», mentre l'articolo 10 prevede l'obbligo per i decisori pubblici «di rendere nota l'attività di rappresentanza degli interessi, facendone menzione nella relazione illustrativa ovvero nel preambolo degli atti normativi e degli atti amministrativi». L'articolo 11 rende infine incompatibile l'attività di lobbying con quella di giornalista, stabilendo che «tale attività non possa essere svolta dal decisore pubblico nei due anni successivi alla cessazione del proprio incarico».

E' ora da vedere se tale testo sarà condiviso e approvato nelle prossime settimane dalla Commissione del Senato. Sarebbe un passo avanti di buona volontà.