Il Senato approva un emendamento di Gasparri sulla riforma della Rai: per molti sono le prove tecniche di un Nazareno 2. Così Renzi potrebbe disinnescare l'opposizione interna in vista di settembre, quando si ricomincia con le riforme costituzionali

Il diavolo si nasconde negli emendamenti, almeno nel caso della riforma della Rai, che si è sbloccata, al Senato, con l’approvazione in commissione Lavori pubblici di un emendamento, appunto, il Gasparri-Minzolini-Gibiino. Maurizio Gasparri è ora contento, e c’è chi è pronto a scommettere - dopo settimane di incertezza - che la riforma potrebbe arrivare al voto dell’aula di palazzo Madama nel giro di pochi giorni: «In un paio di settimane dovremmo finire», ha detto per tutti il sottosegretario Giacomelli.
 
L’emendamento modifica il ruolo del presidente di garanzia della nuova Rai, che sarà scelto dal cda ma confermato dalla commissione parlamentare di vigilanza. L’obiettivo era riequilibrare una Rai altrimenti troppo governativa. Il presidente - che pure lascia quasi tutti i poteri alla figura dell’Ad, fortemente voluta dal Pd - dovrà essere eletto da due terzi della commissione, e dovrà quindi raccogliere consensi trasversali, andando oltre alla maggioranza di governo.  «Resta così la funzione di controllo del parlamento», brinda Gasparri, a cui la legge ricorda sempre più la sua: «Capisco che, essendo partiti con ben altre intenzioni, alcuni esponenti del Pd devono mascherare la marcia indietro fatta» dice «ma le storture non sono della legge Gasparri, che resta in vigore al 99 per cento: erano vistose negli iniziali propositi di Renzi&co».
 
Nel Pd c’è chi vede però nelle modifiche un cedimento. Michele Anzaldi è preoccupato per «uno dei pilastri del progetto», cioè lo strapotere dell’amministratore delegato, ma i più si complimentano per la capacità d’ascolto, che dovrebbe portare all’approvazione di altri emendamenti, e non solo di Forza Italia. «Con il voto di oggi in commissione intravediamo il traguardo», chiosa il dem Francesco Verducci. Ma c’è qualcosa in più, dietro la nuova fase dialogante della maggioranza.
 
Non in pochi, nei commenti, notano come a questo nuovo atteggiamento del Pd corrisponda una versione più soft di Forza Italia. Uscita un po’ meno forza d’opposizione dal vertice di palazzo Grazioli di giovedì. È un po’ meno brunettiano perfino Renato Brunetta, che dice «ci vuole una linea politica non barricadera ma dialogante con proposte precise per condividere il processo riformatore». La chiave sarebbe nei numeri che Renzi non ha per approvare al Senato la riforma costituzionale, in effetti rinviata a settembre, e nel tentativo di tenere dentro a Forza Italia il gruppo di Denis Verdini.
 
Si possono andare a ripescare le ultime dichiarazione di Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia in Senato, come antipasto di un possibile Nazareno bis. Sono giorni che il senatore dice che «le regole normalmente si scrivono insieme». E così da una parte c’è la contropartita della Rai, dall’altra c’è l’aiuto di Silvio Berlusconi sulla riforma costituzionale. In mezzo c’è anche l’Italicum con i suoi collegi elettorali da disegnare.

Già perché se Matteo Renzi vede i suoi sondaggi in discesa, Silvio Berlusconi sente il fiato sul collo di Matteo Salvini. A nessuno conviene andare al voto anticipato. Entrambi hanno i dissidenti da controllare. I verdiniani in Forza Italia avrebbero votato la riforma comunque, con ogni probabilità, e il Pd balla per i soliti malpancisti, che questa volta sono cifra tonda, 25 e si dicono pronti a votare contro. Forza Italia ha dunque votato a favore del nuovo calendario di discussione della riforma della Rai: fino a luglio c’è tempo per presentare gli emendamenti, ad agosto si ricomincia in commissione, da settembre si riprova con l’aula. Sembra un primo passo.

Twitter @Lucasappino