La solidarietà per i migranti non è nata in un solo giorno dopo la foto del bambino siriano. Covava nelle coscienze da tempo e la Merkel le ha saputo dare voce
Giustamente ha osservato quel fine politico che è Matteo Salvini, che la Merkel, astutissima, con la sua subitanea aria di buonista, ha fatto un ottimo affare: si sta impadronendo di tutti gli esuli siriani, che sono tra i più qualificati culturalmente e professionalmente, contribuendo così ad aumentare il Pil del proprio paese, e ha lasciato gli avanzi agli altri, tra cui noi.
L’onorevole Salvini non ha tutti i torti, ma sorge una domanda: perché un uomo così astuto (detto senza ironia), non ci aveva pensato prima lui? Mi pare che alcune migliaia di siriani li abbiamo in casa anche noi, e poi vedessi mai che qualche esule qualificato non lo si trovi anche tra gli altri, visto che incontro sovente venditori di ombrelli o portabagagli senegalesi che parlano, dopo l’italiano, un ottimo francese e dichiarano studi superiori.
E d’altra parte qualcuno ha conosciuto a Milano, qualche decennio fa, un venditore d’accendini nero come il carbone, che girava in via Meravigli avvertendo i possibili acquirenti di stare attenti a quei “brütt terùn” - e lo diceva in ottimo milanese - che si vedevano in giro.
Ma tant’è, come dicevano gli elzeviristi di un tempo, e l’affare lo ha fatto ormai Angela Merkel. Solo che non si tratta soltanto di un buon affare, ma di qualcosa alquanto più epocale, che è fiorito all’improvviso, con la faccenda del bambino siriano morto sulla spiaggia di Bodrum.
Al convegno sulla Comunicazione che si è svolto la settimana scorsa a Camogli, Mario Calabresi osservava che, va bene, una foto da sola non giustifica, come dire, una subitanea conversione globale ma, sovente, si arriva a un momento critico quando una certa tensione e una certa inquietudine si sono accumulate, e di colpo anche una sola immagine provoca una trasformazione delle coscienze. È accaduto altre volte nella storia, e si vede che questa volta qualcosa covava sotto davvero.
Ed ecco che di colpo si è avuta l’epifania di una nuova religiosità. In crisi le religioni storiche, sovente in conflitto tra loro, non ci eravamo accorti che la nuova religiosità stava covando sotto la cenere, eppure se ne erano avute le prime manifestazioni dopo l’alluvione di Firenze del 1966, quando schiere di giovani da tutte le regioni d’Italia si erano recate a disseppellire i libri della Biblioteca Nazionale, ne abbiamo visto le tracce nei volontari che andavano in Africa, nei Medici senza Frontiere, persino nelle centinaia e centinaia di studenti che si dedicano gratis ai festival culturali.
Ci si preoccupava che non esistessero più i centri di educazione giovanile, come l’oratorio salesiano, o i Pionieri comunisti, e a poco a poco si è manifestata spontaneamente un’educazione della solidarietà.
Decenni di democrazia non avevano del tutto cancellato dall’inconscio occidentale l’immagine del tedesco duro che gridava “Kaputt”, che ci è parso risorgere durante la crisi greca, ed ecco che la Merkel ha riciclato l’immagine nazionale in quella del tedesco (e dell’austriaco) misericordiosi, pronti ad accogliere con generi di conforto o a trasportare in macchina famiglie in fuga (e non solo di siriani laureati).
A questa nuova religione della solidarietà stanno unendosi (rischiando) molti ungheresi, ed essa attraversa le divisioni tra cattolici, ortodossi e protestanti, forse anche tra cristiani e musulmani. Di questa nuova religiosità si è fatto interprete papa Francesco, chiamando a raccolta le parrocchie di tutta Europa.
È un fenomeno destinato a durare? Non so, ma certo (astuzia della Ragione) è stato alimentato dalla bestialità degli altri. Sarà, per dimensioni, superiore alle ondate di xenofobia di cui, specie da noi, meno teneri dei tedeschi, si sta dando bella prova? Ma, quando sono sorte, le prime comunità cristiane erano ben poca cosa rispetto al paganesimo trionfante che le attorniava.
Questa nuova religione della solidarietà forse avrà i suoi martiri, e si veda sull’“Espresso” della settimana scorsa quanti sono disposti a spargere del sangue pur di soffocarla.
Ma forse essi, non gli esuli, “no pasarán”.