Dai file dello studio Mossack Fonseca spuntano numerose società-schermo, accusate di danni ambientali e di eludere le tasse. Tricia Feeney: "Quasi tutti i costi delle attività estrattive sono sopportate dalle comunità mentre i vantaggi vanno a un piccolo gruppo di faccendieri"

Una o due volte la settimana, appena il sole tramonta sulla città di Koidu, nella Sierra Leone orientale, gli abitanti impacchettano le loro cose e scappano in collina. Una miniera di diamanti sta per esplodere.

Le famiglie lasciano padelle e quanto altro possiedono dietro le loro spalle. Sono appena state avvertite dalla polizia che i minatori stanno accendendo le cariche per far saltare in aria le rocce che nascondono i diamanti. A molti dei 100 mila residenti quelle esplosioni ricordano le bombe di mortaio cadute su Koidu attaccata dai ribelli durante la guerra civile nell'Africa occidentale degli anni '90.

La terra vibra. Le case si crepano. Ma per chi abita in questa città la vita continua fin da quando, 13 anni fa, un gruppo minerario internazionale ha ripreso a scavare a Koidu. "Quando ci sono gli scoppi durante la stagione asciutta polvere e pezzi di roccia volano nell’aria", dice Bondu Lebbie, una donna di 21 anni, madre di due bambini, che vive vicino alla miniera. "La polvere provoca tosse, mal di testa". E, per alleviare il dolore, prende del Panadol.

La storia di Lebbie non è insolita in certe aree dell’Africa, dove per cercare petrolio, gas e minerali, si fanno scavi. E le famiglie che vivono vicino a queste riserve sotterranee di ricchezza naturale si trovano a dover lottare tra povertà e rischi ambientali. Nel frattempo le società che estraggono diamanti petrolio e altre materie prime spostano miliardi dollari intorno al mondo grazie a società schermo registrate a Panama, alle Isole Vergini britanniche e altri paradisi fiscali.

Inchiesta
Panama Papers, la Nigeria e i tesori nascosti del playboy miliardario
25/7/2016
"Quasi tutti i costi delle attività estrattive in Africa sono sopportate dalle comunità", sostiene Tricia Feeney, direttore esecutivo della organizzazione non governativa Rights and Accountability in Development. "Tutti i vantaggi vanno invece a un piccolo gruppo di faccendieri, società o individui".

La miniera di diamanti di Koidu è gestita dalla Koidu Limited, una offshore fondata nel 2003, per 750 dollari, alle Isole Vergini britanniche da Mossack Fonseca, lo studio legale dello scandalo Panama Papers, denunciato dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), di cui l’Espresso è partner esclusivo per l’Italia. Dai documenti risulta che la Koidu Limited è posseduta dalla Octea Mining Limited, di proprietà di una serie di offshore delle Isole Vergini britanniche, Guernsey e Liechtenstein, controllate dal miliardario israeliano Ben Steinmetz e dalla sua famiglia.

Molti dei diamanti della miniera di Koidu adornano anelli e ciondoli venduti da Tiffany, il gioielliere americano del lusso, che ha accordi da milioni di dollari con la Koidu Limited per i diritti sulle pietre.

La Koidu Limited è ora diventata una delle più discusse società minerarie dell’Africa occidentale. Nel 2007 e nel 2012 cittadini e lavoratori del posto hanno inscenato proteste per le condizioni di lavoro e per l’impatto ambientale. Ne sono seguiti scontri, che hanno lasciato sul terreno alcune persone uccise dai poliziotti: due nel 2007 e due nel 2012, tra cui un ragazzino di 12 anni. Nel 2015 le autorità della Sierra Leone hanno minacciato di togliere la licenza alla Koidu Limited, accusandola, secondo il Wall Street Journal, di ritardi nel rimborso di prestiti a banche e governo. Nello stesso anno alcuni avvocati, per conto della città di Koidu, hanno portato in tribunale la Koidu Limited, imputandole di non aver pagato centinaia di migliaia di dollari in tasse locali sulla proprietà. La società, da parte sua, afferma di aver speso milioni per la comunità, tra edifici, autobus e cliniche.

Inchiesta
Panama Papers, petrolio, oro e diamanti: così gli affari offshore impoveriscono l'Africa
25/7/2016
E’ il sindaco di Koidu, Saa Emmerson Lamina, a guidare la battaglia. Si lamenta per i buchi nelle strade, per l’elevata disoccupazione. Strepita perché la più vicina apparecchiatura per radiografie è a 212 miglia di distanza. Dice: "Se avessimo del denaro, saremmo in grado di cambiare qualcosa nella vita della nostra gente, nell’agricoltura, nell’istruzione e perfino nell’assistenza sociale". Teme addirittura che ci saranno nuovi disordini se la Koidu non interviene: "Ho paura per la stabilità dalla mia città".

Nel 2016, alcuni mesi dopo l’avvio dell’azione giudiziaria contro la Koidu Limited, il governo centrale ha sospeso il sindaco Lamina dal suo incarico causa irregolarità finanziarie, in realtà infrazioni amministrative. Però nessuna accusa specifica è stata mossa contro di lei. Per Lamina la sospensione è soltanto un mezzo per imbavagliarla. Secondo alcuni giornali quell’ordine veniva dal presidente Ernest Bai Kokoma. Un suo portavoce, rispondendo a chiarimenti richiesti da Icij, ha riferito che la sospensione era invece legata a una "questione del consiglio locale". E che il presidente non ne è coinvolto.

AFFARI OFFSHORE
I diamanti della Koidu Limited spuntano per la prima volta nei Panama Papers nel 2002, poco dopo la fine della guerra civile in Sierra Leone, quando la fondazione privata della famiglia Steinmetz firma un accordo del valore di un milione e 200 mila dollari per acquistare il 50 per cento della licenza concessa dal governo nazionale per lo sfruttamento della miniera di Koidu.

La Koidu Limited è poi diventata uno dei clienti più importanti di Mossack Fonseca nel settore dell’industria mineraria. Tra le centinaia di email scambiate in più di 10 anni vengono fuori dettagli sugli affari del gruppo, che riguardano 5 banche tra Sierra Leone e Londra, in mezzo a una raffica di prestiti del valore di 170 milioni di dollari. La Koidu Limited è una delle 133 società registrate presso Mossack Fonseca e collegate a Steinmetz. Su tutte domina la BSG Resources.

Inchiesta
Panama Papers, il business offshore dei safari in Africa
25/7/2016
Il business di Steinmetz in Guinea, che confina con la Sierra Leone, ha provocato delle reazioni. Nell’agosto del 2014 infatti le autorità delle Isole Vergini britanniche impongono a Mossack Fonseca di esibire centinaia di pagine di lettere, pagamenti, minute di meeting, transazioni finanziarie in relazione a un’indagine penale sulla BSG Resources. Le accuse riguardavano presunte tangenti pagate per assicurare i diritti di estrazione mineraria in Guinea. Accuse che gli avvocati di BSG Resources hanno in seguito confermato: la società da loro assistita era sotto inchiesta in Gran Bretagna, Svizzera e Stati Uniti. I professionisti però contestavano al governo della Guinea di aver illegittimamente revocato alla BSG i diritti minerari.

La BSG ha rifiutato di rispondere ad Icij su domande specifiche per questo articolo. Ha però confermato che "la società ricorre a offshore come parte della sua politica fiscale legittima e fiscalmente responsabile". Ha anche aggiunto di "non avere conoscenza" del "gran numero di società", tra le 104 che negli archivi di Mossack Fonseca sembrano collegate a Steinmetz e BSG.

TASSE E MORTE
Uno dei due dimostranti uccisi durante la sollevazione del 2007 era Aiah Momoh, un giovane di trent’anni, padre di tre bambine. Sulla sua lapide è scritto: "Morto durante una manifestazione pacifica… contro la Koidu Limited". Se da una parte l’attività della società è stata bloccata per breve tempo dal governo, una commissione d’inchiesta ha però successivamente liberato la Koidu Limited da ogni responsabilità, affermando che gli agenti che avevano ucciso i partecipanti non agivano sotto l’autorità della società. "Aiah si prendeva cura di noi", commenta la madre Sia Momoh.

Nel 2015 la città di Koidu è passata dalle proteste nelle strade ai tribunali. Dopo anni di richieste di risarcimento, inascoltate, la comunità ha fatto causa alla casa madre della Koidu Limited, la Octea Limited, rivendicando il pagamento di 684 mila dollari dovuti per imposte non pagate. In una dichiarazione depositata in giudizio il sindaco Lamina scrive che non pagare le tasse "priva la mia città delle risorse necessarie per lo sviluppo delle sue attività… una comunità detentrice delle proprie risorse non può essere spogliata dei vantaggi che ne derivano, mentre è costretta a chiedere la carità con il cappello in mano". La Koidu ha ribattuto di essere esente dal pagamento di tasse e di essere vincolata alle sue responsabilità sociali.

Lo scorso aprile, quattro giorni dopo il lancio di Panama Papers, il giudice Bintu Allhadi, dell’alta corte di giustizia della Sierra Leone, ha deciso che Octea e Koidu Limited sono entità separate e che Octea non era tecnicamente il proprietario della miniera. Di conseguenza Octea non era tenuta al pagamento di tasse sulla proprietà.

"La segretezza dei paradisi fiscali e la complessità dei meccanismi con cui le offshore fanno i loro affari, impediscono ai paesi in via di sviluppo di ricevere la giusta quota di reddito proveniente dalle loro risorse naturali", afferma Tatu Illunga, ex avvocato e consulente fiscale per Oxfam America.

Lamina, convinta che il governo centrale non avesse il potere di sospenderla dall’incarico di sindaco, continua a comportarsi come se lo fosse ancora. Crede che presto sarà reinserita dal suo ufficio e annuncia che interporrà appello alla decisione del giudice Bintu Allhadi. "Ho cominciato a considerare me stessa come una guardia solitaria", dichiara a Icij, ma il sostegno della mia gente mi incoraggia a combattere per la sua causa".

A cura di Paolo Biondani e Leo Sisti