«Leader? Il mio futuro è una pagina bianca. Ma la sinistra deve farsi trovare pronta». Parla il sindaco più di moda

Beppe Sala non nasconde la soddisfazione di essere alla guida della città italiana dove, secondo la classifica annuale del “Sole 24 ore”, c’è la migliore qualità della vita. Un traguardo mai raggiunto fino ad oggi da altri sindaci, nemmeno da Giuliano Pisapia che due anni fa gli aveva consegnato una Milano animata da una forte partecipazione civica che l’aveva resa ancora più dinamica e accogliente. E se alcuni si sorprendono che questo ex manager, reso celebre dal successo dell’Expo 2015 e poi imposto da Renzi come candidato sindaco del centrosinistra, stia dimostrando di essere un capace amministratore, altri già lo vorrebbero protagonista della riscossa contro il sovranismo. Asciutto nell’aspetto e morbido nei modi, Sala non si sottrae a queste speranze e lascia intravedere una compiaciuta disponibilità. Del resto ha fatto sentire più di altri la sua voce di oppositore, rispondendo alle intemperanze del governo, dando a Di Maio dell’incompetente e a Salvini del fascioleghista. È forse proprio per dare inizio a una narrazione nuova del suo personaggio, che si lascia andare al racconto anche personale di sé.

Allora, sindaco, è pronto al grande passo? Sarà lei il leader dell’opposizione?
«Non lo so».

È una risposta che allude a un sì?
«Mi creda, non lo so davvero. Nella mia agenda oggi c’è scritto soltanto “Fai bene il sindaco di Milano”. Le altre pagine sono bianche».

Però qualcuno vorrebbe riempirle. C’è chi la paragona a un nuovo Prodi, come lui ex manager, come lui federatore di forze progressiste di centro e di sinistra.
«Pensa davvero che oggi funzionerebbe?».

Perché no?
«Perché io rappresento una politica competente e garbata, invece in questo momento i cittadini apprezzano una politica urlata e promesse del tipo “Aboliremo la povertà”. E poi i bipolarismi sono finiti. Oggi riuscire a ottenere il 12-15 per cento è già un successo. Preferisco rispettare i miei impegni con Milano e costruire un consenso intorno alle mie idee con tutta la lentezza necessaria».

Intanto il sovranismo impazza. Come vive anche emotivamente questa situazione?
«Come una grande iattura e con paura. Purtroppo il fatto che il Pd non abbia provato a dialogare con i 5Stelle ha fornito le condizioni per questa sorta di nazionalsocialismo».

Colpa di Renzi?
«Non solo sua. Ma Renzi ha la grave colpa di non essersi fatto da parte. Glielo consigliai subito dopo il referendum: “Prenditi una vacanza per rigenerarti”. Comunque le cose possono cambiare e la sinistra deve farsi trovare pronta. È in difficoltà, ma lo spazio per una sinistra sociale è enorme».

A proposito, quand’è che lei è diventato di sinistra?
«Lo sono sempre stato. Quando ero ragazzo non si poteva essere di centro, o stavi da una parte o stavi dall’altra. Ho sempre votato partito comunista e i suoi derivati, a parte una volta che ho scelto i repubblicani, ma era il periodo che studiavo alla Bocconi e si può capire».

Come spiega che molti hanno pensato che lei fosse di destra?
«Perché chi fa il manager è vissuto come uno che mira a difendere i profitti dell’azienda».

Invece?
«Guardi, io non sono uno che sputa nel piatto in cui ha mangiato e le dico che è vero, ho partecipato a un sistema di difesa di un modello capitalistico. Però l’ho fatto sempre con grande attenzione ai diritti dei lavoratori».

Oggi a quali diritti è attento?
«Mi sento un paladino della difesa di tutti i diritti. Quelli del lavoro non vanno elusi a colpi di reddito di cittadinanza, ma affrontati nel contesto del sistema produttivo e finanziario. Quelli sull’ambiente mi hanno portato a diventare vicepresidente del C40, il comitato che riunisce i maggiori esperti sul clima. Quelli individuali non mi vedono secondo a nessuno».

Poi c’è la questione dell’immigrazione. Non pensa che ormai sia questo il punto dirimente per ogni idea di società?
«Certo, le politiche sull’immigrazione fanno la differenza. Molti Paesi hanno governi di destra e città schierate a sinistra: nelle città si può affrontare meglio il confronto e sciogliere i conflitti. È così anche in Italia e io ho fatto capire ai milanesi che la scelta di fondo è tra una città aperta, con grandi vantaggi e alcune difficoltà, e una città chiusa destinata a decadere. Però una visione autarchica come quella che propone Salvini è un dramma per tutto il Paese».

Proprio Salvini ha detto che lei manca di empatia.
«Semmai manco della sua spregiudicatezza».

Tanto più che lei all’empatia si è allenato in una lunga psicoterapia.
«Avevo 39 anni, ero stato aggredito dal tumore che cinque anni prima aveva già ucciso mio padre e ho sentito la necessità di chiedere aiuto ai medici del corpo e della mente. Veronesi mi ha guarito, mentre il mio analista mi ha accompagnato a riprendere il gusto della vita. Era un tipo particolare, fuori dagli schemi».

In che senso?
«Era un ebreo cileno, anche sociologo, che forse non aveva tutti gli strumenti scientifici regolari, ma era dotato di grande umanità. Una notte in cui ero quasi sopraffatto dalla disperazione, mi ha tenuto al telefono fino quasi a ipnotizzarmi e a farmi addormentare. Consiglierei a chiunque di farsi aiutare in momenti di necessità. Io sono uscito dall’esperienza della malattia profondamente cambiato. Prima ero granitico nelle mie certezze e vedevo la vita come una linea retta. L’impatto con la caducità mi ha insegnato ad apprezzare le curve».

Lei ha tre matrimoni alle spalle. Come è diventato uno sposo seriale?
«Non so risponderle. A lungo me ne sono rammaricato, poi mi sono detto: “Hai scelto consapevolmente e quindi va bene così”».

Però è andata male tre volte. Come mai?
«La prima volta, a 33 anni, mi sono sposato per automatismo, pensando che era ora di mettere la testa a posto. Il matrimonio è durato un anno».

La seconda volta?
«È stata un frutto della malattia. Lei si è comportata in modo straordinario e siamo arrivati a sposarci... e a divorziare presto. Il terzo però è stato un matrimonio felice. È durato 12 anni ed è finito per esaurimento».

Quindi considera gli amori a termine?
«Un po’ sì, ma sono certo che il mio amore attuale non lo sarà. Ho trovato in Chiara Bazoli la donna che ho cercato per tutta la vita».

In attesa del suo quarto matrimonio, ne celebra parecchi in Comune, soprattutto di coppie gay.
«Lo faccio per principio, per rispetto dei diritti e perché siamo tutti figli della nostra storia. Quando avevo dieci anni, nel 1968, ho avuto un imprinting decisivo: una zia ventenne si presentò al cenone di Natale nella mia cattolicissima famiglia con una fidanzata. Nello sconcerto di tutti, io volevo capire e la zia mi spiegò che anche quello era amore. Il bello è che, dopo aver vissuto vite diverse, le due ex fidanzate, oggi anziane, si sono ritrovate e hanno chiesto a me di sposarle».

Anche lei non è più giovane. Come vive il tempo che passa?
«Con un senso di piena libertà. Ho già fatto tanto e oggi posso aspettare che le cose accadano senza affannarmi troppo. E lasciando anche un po’ di spazio al mio lato irrazionale, non a caso sono dei Gemelli».

Non mi dica che crede agli oroscopi!
«Non li leggo, ma mi ritrovo in molte caratteristiche del mio segno, come ritrovo nello Zodiaco anche la personalità di amici e parenti. Mi padre aveva la dedizione alla famiglia e al lavoro di chi è del Toro, mia madre ha ancora oggi l’equilibrio del Sagittario».

Questo è pensiero magico, sindaco. Lei così concreto, pragmatico...
«Lo so, ma lasci che immagini un futuro senza più linee rette. E con una nuova sorpresa a ogni curva».