Dopo strenua lotta, entra nell'esecutivo anche l'ex rutelliano che ha dato al capo M5S il know-how per i salotti che contano. Già presidente Unicef, vicino a Balducci e amico dell'abate di Montecassino, avrà la delega alle Pari opportunità, la stessa di Mara Carfagna quando lo aiutò a diventare Garante dell'infanzia
Alla fine, nonostante tutto, ce l'ha fatta. Sottosegretario con delega alle pari opportunità e giovani. Un ruolo perfetto per lui. E per il quale Vincenzo Spadafora, 44 anni, braccio destro di Di Maio, ha lottato a lungo. Facendosi strada tra le insinuazioni al veleno di Luigi Bisignani e gli articoli come quello del Fatto, che il 25 maggio, guarda caso alla vigilia del primo crash del futuro governo Conte (quando cioè tutto stava per crollare attorno al nome di Paolo Savona), lo descriveva così: «Un sedicente balduccino che chiamava ironicamente “Papi” Angelo Balducci ed esultava per Bertolaso ministro».
«Al governo non ci sarò», diceva non per caso Spadafora cupo in volto proprio nel giorno in cui quelll'articolo uscì. Il presente l'ha smentito, ma solo il futuro dirà il suo ruolo, il peso effettivo in queste vicende. Per ora c'è la cronaca, che consegna Spadafora al ruolo di sherpa potente – e tuttavia almeno allo stato soccombente rispetto all'omologo leghista Giancarlo Giorgetti . Figlio di una casalinga e un ferroviere, cresciuto tra Cardito, Afragola e Frattamaggiore, un cane preso al canile, la passione per il cinema e per il karaoke. Diplomato, ma non laureato, politicamente peregrinante in ogni dove, ovunque tutt'altro che dedito all'understatement. Per dire la più lampante differenza con Giorgetti, come sogno nella vita Spadafora aveva la televisione. Come mito finale, Pippo Baudo: ha sempre dichiarato voler essere «come lui». Il periodo sotto i riflettori è dunque propizio e felice, l'ospitata a Porta a porta di un mese fa una specie di apoteosi. Un trionfo potersi esibire, tra tante persone da scegliere, in un genere nel quale – a sentire chi l'ha visto all'opera – Spadafora eccelle: stilare liste di nomi. Infinite, ricomincianti, circolari. Come in un eterno ricevimento di nozze.
Non bisogna tuttavia farsi incantare dagli specchietti per le allodole.
Spadafora è un tassello fondamentale dell’ascesa di Di Maio, e insieme un sintomo lampante della profonda metamorfosi del Movimento Cinque stelle. È colui che ha fornito il know how per entrare nei mondi che contano, un tassello per il Vaticano, un tassello per le cancellerie. Pentastellato, per contraccambio, è il suo approdo finale, dopo che in venti e passa anni Spadafora è stato visto transitare: nei pressi dell’Udeur di Clemente Mastella, tra i verdi di Alfonso Pecoraro Scanio, tra i margheriti di Francesco Rutelli (il quale da capo del partito gli diede l’incarico di costituire il movimento giovanile e poi da ministro lo volle capo segreteria ai Beni culturali), nell’Italia futura di Montezemolo. Divenuto il più giovane presidente Unicef del mondo, Spadafora è stato poi nominato dal centrodestra Garante della neo Authority per l’infanzia anche attraverso i buoni rapporti con Mara Carfagna - che lo conobbe, ironia della storia, da ministra per le Pari opportunità e alla quale fu nemmeno a dirlo simpaticissimo.
L'Authority era un piccolo regno (ufficio di dieci persone, 900 mila euro la dotazione annuale, 200-300 mila lo stipendio) a capo del quale Spadafora anche allora dimostrò una passione per le cose belle: una certa scrivania di cristallo per il suo ufficio, o per dire l’obbligo di affittare come Ncc solo Audi (Mercedes no, fa cafone). Capricci del potere? Fu allora che il futuro braccio destro di Di Maio scansò l’ipotesi di candidarsi in Scelta civica (mise in lista al suo posto Antimo Cesaro, sicuro che non potesse fargli ombra). Sognava la riconferma all’Authority per l’infanzia, non fu aiutato dai renziani e, per di più, fu brutalmente bocciato da Laura Boldrini che da presidente della Camera avrebbe potuto, con il suo omologo al Senato Pietro Grasso, conferirgli il reincarico (ma disse, più o meno: dovrete passare sul mio cadavere).
Senza laurea e senza patente, ma con mille relazioni che ogni qualche anno sono state puntualmente rinnovate da quasi zero, Spadafora è finito (non indagato) nelle intercettazioni della cricca perché amico dell’ex provveditore alle opere pubbliche del Lazio Angelo Balducci (favorì un contrattino Unicef al figlio Filippo). Dotato di un proprio padre spirituale gesuita e di una vocazione durata qualche giorno verso i dieci anni, ha avuto - dettaglio meno noto - un sodalizio spirituale pure con un altro amico di Balducci, Pietro Vittorelli, l’abate di Montecassino che andava a trovare persino sotto la neve, su al monastero, anni prima che il prelato fosse accusato di aver sottratto i fondi dell’8 per mille per feste, viaggi, articoli di lusso.
È alla fine del 2012, comunque, che conobbe Luigi Di Maio. Forse per irresistibile attrazione tra format, fu proprio il futuro capo dei Cinque stelle ad avvicinarlo, durante un incontro in Campania dove presenziava come capo dell’Authority. «Personaggio interessante, sembra me», ebbe a dire Spadafora alla fine di quell’incontro. Ci si ritrovava, è chiaro. Poi il «personaggio» si fece vicepresidente della Camera: di lì un sodalizio in crescita, fino all’apoteosi della fiducia. Spadafora nominato, insieme con il casaleggino Pietro Dettori e l’amico d’infanzia Dario De Falco, nel Comitato elettorale M5S che ha sede di fronte al Colosseo, nell’appartamento dove è domiciliato lo stesso Di Maio. E, adesso, sottosegretario alla presidenza. L'amica Mara offrirà consigli?