Fioramonti, sottosegretario all'Istruzione: "Formazione e ricerca alla base del progresso"
Ha collaborato con Sitglitz ed è vicino agli ideali della decrescita felice. Credenziali sufficienti per essere nelle grazie del M5s. E lui stesso si dice da tempo fan del Beppe Grillo ambientalista. Da ex candidato ministro allo Sviluppo Economico del mai nato governo Di Maio ora in questo ruolo non si sente fuori posto, anzi
Tra il neosottosegretario all'Istruzione e il M5s non poteva che essere amore. La fissazione di Beppe Grillo per la decrescita felice forse non ha interprete migliore nel governo Conte di Lorenzo Fioramonti, stimato economista e autore di libri critici verso il modo in cui viene concepita l'economia oggi. Avversario del Pil e fautore di un diverso modo di misurare la ricchezza, oltre a essere un feroce critico dello sviluppo sregolato, Fioramonti per queste posizioni è stato associato proprio alle teorie decresciste che hanno reso famoso Serge Latouche. “Ma io non faccio altro che ricordare che il processo di sviluppo deve necessariamente portare a una qualità di vita migliore. Altrimenti non è progresso”, ci ha spiegato. Ora la nomina al Ministero, dove pare si occuperà delle questioni universitarie e alla ricerca ("le deleghe non sono state ancora definite con chiarezza", ci fa sapere il portavoce). Convinto che l'esperienza fatta fino a oggi sarà molto utile in questo campo, nonostante Di Maio lo avesse pensato in precedenza come titolare del ministero dello Sviluppo Economico per un governo monocolore pentastellato. "I temi dello sviluppo sono importanti nella formazione e nella ricerca", sostiene.
Prima di essere eletto nel collegio uninominale di Roma presso il quartiere dove è nato e cresciuto da ragazzo, Torre Angela, insegnava all'Università di Pretoria, Sudafrica. Ha lavorato in passato con Joseph Stiglitz, economista premio Nobel da anni nel pantheon del pensiero grillino. Nel suo curriculum anche una collaborazione all'Istat con l'ex ministro del Lavoro nel governo Letta, Enrico Giovannini. Comunque, "la risposta non è nei numeri bensì nel modo in cui li valutiamo", tiene a sottolineare.
E' un grillino della prima ora. «Sono sempre stato entusiasta del lavoro di Beppe Grillo, soprattutto da quando - alla fine degli anni '90 - ha cominciato ad interessarsi a questioni di sviluppo sostenibile e transizione tecnologica». Nel 2008 partecipa ad alcuni meetup degli Amici del comico. «Il contatto formale è però avvenuto solo nel 2017, quando alcuni parlamentari 5 Stelle che avevano letto i miei libri mi hanno invitato a presentarli in Parlamento».
Anche lui, per dare risposte a un sistema universitario carente di fondi, sembra preferire i fondi europei piuttosto che l'uscita dalla moneta unica, come ormai è da tempo la direzione della svolta “moderata” del movimento di Grillo, Casaleggio e Di Maio.
Quali sono i primi progetti a cui intende dedicarsi? «Ci sono delle urgenze, che vanno dalla stabilizzazione dei precari della ricerca al saldo dei pagamenti dei progetti della programmazione europea conclusa, fino alla questione del numero chiuso alle università. Tutti dossier che ho sul tavolo. Poi ci sono questioni strutturali, dai fondi per la ricerca alla meritocrazia, che richiederanno un impegno a più lungo termine».
Secondo Eurostat siamo tra i Paesi Ue che spendono meno in educazione in rapporto al Pil (peggio di noi solo Irlanda, Bulgaria, Romania e Slovacchia), il peggiore in assoluto in rapporto al totale della spesa pubblica. Crede che occorrerà aumentare i fondi? E dove pensate di reperire le coperture? «Dobbiamo sicuramente aumentare le risorse, e su questo fronte lavoreremo con il governo per fare in modo che maggiori investimenti rientrino all'interno dei parametri macroeconomici definiti dal Mef. Serviranno più fondi strutturali, ma anche un approccio diverso al modo in cui i privati possono finanziare formazione e ricerca, per esempio attraverso ulteriori defiscalizzazioni per borse di studio e donazioni. Mi piacerebbe un quadro complessivo di defiscalizzazione per tutti gli investimenti che le imprese fanno sul capitale umano, estendendo quanto si fa ora nel piano Industria 4.0 anche alla ricerca. Poi ovviamente dobbiamo spingere ancora di più sulla progettazione europea, dotando università ed enti di ricerca di personale manageriale all'altezza».
La meritocrazia è tra le prime preoccupazioni del ministro Di Maio. Lei come vorrebbe darvi un impulso nel suo settore? «I maggiori finanziamenti che vogliamo siano indirizzati verso l'Istruzione non otterranno gli impatti desiderati a meno che le istituzioni che si occupano di ricerca e formazione non siano davvero fondate sulla meritocrazia. L'università italiana ha molte eccellenze, ma anche una tradizione di autoreferenzialità (e in alcuni casi di vero e proprio nepotismo) criticata in tutto il mondo. Dobbiamo migliorare il sistema di valutazione e monitoraggio dell'attività di ricerca, premiare chi fa bene il proprio lavoro e soprattutto chi realizza progetti di ricerca collaborativi, multidisciplinari ed internazionali. La meritocrazia in formazione e ricerca diventa un moltiplicatore di risorse, dove un investimento mirato porta a margini di profitto ben superiori a quelli di qualunque altro settore economico».
In precedenza lei era stato indicato come possibile ministro dello Sviluppo Economico in un ipotetico governo Di Maio. Come mai ora è stato scelto come sottosegretario all'Istruzione? Come crede che la sua esperienza professionale acquisita finora possa rendersi utile in questo ambito? «Il passaggio dall'idea di un governo monocolore 5 Stelle a quello condiviso con la Lega ha ovviamente comportato una serie di cambiamenti, dovuti semplicemente al fatto che le caselle disponibili sono state ripartite tra due forze politiche. C'era bisogno di un profilo accademico al Miur per interessarsi di questioni universitarie e di ricerca ed io ho accettato ben volentieri. La formazione e la ricerca sono fondamentali per cambiare il Paese e per realizzare quel percorso di sostenibilità ed inclusione che mi sta a cuore. E poi ci sarà bisogno di una stretta collaborazione con lo Sviluppo Economico ed il Lavoro. Da un lato, la politica di sviluppo dipende dall'innovazione e dalla ricerca, senza la quale non andiamo da nessuna parte. Dall'altro, non possiamo pensare di rilanciare formazione e ricerca senza il coinvolgimento del mondo del lavoro e delle imprese. Sono due facce della stessa medaglia».
Lei ha scritto un libro, pubblicato l'anno scorso, che descrive il Pil come falso indicatore. Ci spiega come e perché secondo lei va cambiato tutto nella misurazione della ricchezza? «Sul fatto che il Pil sia un indicatore obsoleto e fuorviante per misurare la performance economica di una nazione c'è ormai un accordo molto ampio nella comunità scientifica e in quella internazionale. In parole povere, il Pil misura quanto spendiamo, ma non ci dice nulla su 'come' spendiamo. Negli Stati Uniti d'America, per esempio, la spesa sanitaria è la più alta al mondo, ma la salute degli americani lascia molto a desiderare. In altri paesi si spende meno, ma in modo più efficiente, con risultati migliori che però il Pil non è capace di registrare. Lo stesso vale per l'ambiente, il cui sfruttamento fa crescere il Pil (mentre la tutela degli ecosistemi, in genere, non aumenta il Pil), ma che però è essenziale per garantire sviluppo sostenibile. Le nuove tecnologie poi stanno cambiando il modo in cui operano le industrie, ottimizzando processi, che però il Pil non è in grado di cogliere come elementi di produttività. Il riuso e la maggiore durabilità dei prodotti (che sono i pilastri del concetto di economia circolare, di cui tanti si riempiono la bocca di questi tempi) creano ovviamente un problema a uno strumento di misurazione che cresce solo quando consumiamo prodotti e servizi a ritmi sempre più veloci. Il Pil poteva andare forse bene all'inizio del secolo scorso, ma non va più bene in un mondo interessato a benessere diffuso e sostenibilità».
In un altro suo lavoro, sempre del 2017, parlava del benessere come obiettivo di politica economica e di “successo in un mondo senza crescita”. Lei per caso sposa le idee della decrescita felice di cui spesso si è discusso in ambito pentastellato? «Io mi limito a ricordare che il processo di sviluppo deve necessariamente portare a una qualità di vita migliore. Altrimenti non è progresso. Questo è importante anche per la formazione e la ricerca. Dobbiamo sempre chiederci a che tipo di mondo vogliamo contribuire quando istruiamo i giovani ed incoraggiamo l'innovazione scientifica. La distruzione degli ecosistemi, la crisi climatica, la competizione sfrenata, le disuguaglianze crescenti, le migrazioni forzate ed il senso di solitudine e disagio sempre più evidente anche nelle classi cosiddette più agiate ci deve far pensare.
Io credo nella crescita del benessere inteso dal punto di vista non solo economico, ma anche sociale ed ecologico. Questa 'crescita' integrata è possibile (anzi direi indispensabile) nel mondo di oggi, dove invece la crescita tradizionale del Pil si affievolisce sempre di più».
Nel 2014 ha pubblicato anche un altro volume su come il potere usa statistiche numeri per controllare e gestire le nostre vite. Ci spiega meglio cosa intendeva? «Questo è un altro tema cruciale per ogni governo. Le misurazioni non sono neutre, ma sottendono sempre ad una visione del mondo. Il Pil sottende ad una società dei consumi, e quindi nel suo utilizzo spinge la politica verso decisioni in linea con il consumismo. I tassi di sconto applicati alle analisi costi/benefici fatte dalle pubbliche amministrazioni per le opere pubbliche implicano una valutazione del futuro che è sempre inferiore (a volte molto inferiore) a quella del presente, riducendo quindi la sostenibilità. I parametri utilizzati dalle agenzie di rating hanno impatti enormi sulle economie nazionali, anche quando conosciamo le loro falle metodologiche e manipolazioni. La tesi del mio libro è che la politica affidata ai numeri non ci libera dalla necessità di esprimere un giudizio di valore. Prendere i numeri per buoni solo perché si esprimono con un linguaggio matematico può essere un grave errore».