Dall'Emilia all'Umbria, dalle città toscane a quelle friulane: negli ultimi mesi le amministrazioni di centrodestra stanno distruggendo tutti i passi in avanti fatti sul territorio per contrastare l'omotransfobia. Ecco come

C'è un silenzio organizzato intorno ai movimenti anti-lgbt che in questi ultimi anni hanno riempito pagine, studi televisivi e piazze. Silenzio e reticenza sono il segnale più chiaro che si parla poco perché si sta agendo tanto. Nelle istituzioni, nelle regioni, nei piccoli comuni l'influenza dei vari Pro-Vita e Citizen Go sta spingendo fuori dalla porta tutte quelle tutele e quelle iniziative che difendono sul territorio le persone Lgbt.

L'ultima minaccia pende sulla regione Emilia-Romagna che, dopo il voto regionale del 26 gennaio, potrebbe verniciarsi di verde Lega. È stata lanciata da Massimiliano Pompignoli, consigliere regionale che promette di abolire la legge sull'omofobia: «Una legge marchetta per gli omosessuali. Non necessaria». Roberta Mori la presidente (Pd) della Commissione Parità in regione non minimizza la promessa leghista: «Pompignoli ci sta dicendo la verità, perché da relatrice di maggioranza di quella legge ricordo perfettamente l'ostruzionismo feroce delle destre in aula, che ci ha costretti a una seduta fiume di oltre 40 ore, durante la quale sono stati presentati emendamenti bestiali, irricevibili, di una gravità inaudita».

Gli attacchi ripetuti contro le iniziative non hanno solo un valore simbolico. Come spiega Vincenzo Branà già presidente del Circolo Arcigay Il Cassero: «Le leggi regionali sono strumenti molto efficaci. Hanno anche clausole finanziarie che dispongono l'investimento di fondi ad hoc. Se la legge penale, mai approvata in Italia, interviene quando la discriminazione e la violenza si sono già consumate, le leggi regionali, al contrario, sono di prevenzione e contrasto, cioè mettono in campo azioni che tentano di modificare i contesti in cui l'odio cresce e si nutre».

È proprio sulle azioni concrete di contrasto all'omotransfobia che interviene questo vento di destra sull'Italia. Il comune di Siena è stato l'ultimo in ordine di tempo ad uscire dalla Rete Ready, la rete nazionale delle pubbliche amministrazioni contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. Segue una lunga lista: i comuni di Pistoia, Trieste, Piacenza, Sesto San Giovanni, Udine e la regione del Friuli Venezia Giulia che hanno abbandonato una rete che grazie a dei finanziamenti avviava corsi di aggiornamento, formazione e sensibilizzazione su tutti i livelli. Così mentre in Parlamento vengono presentate proposte di legge contro l'omotransfobia, la cultura educativa del nostro paese subisce un arresto. Il disegno è semplice: espellere le associazioni che sul territorio tutelano le minoranze, inserire dentro quelle che le discriminano.

Massimo Prearo, ricercatore del dipartimento di scienze umane dell'università di Verona, autore, con Sara Garbagnoli, del libro La crociata anti-gender (Kaplan), spiega la strategia: «I movimenti anti-gender stanno seguendo una traiettoria di entrismo che li sta portando dentro le istituzioni e che è stata favorita da vari momenti elettorali: amministrative, politiche, europee. Hanno stretto alleanze con Fratelli d'Italia e Lega. Un processo visibile dal 2016. È una vera e propria svolta politica che ha ricevuto la sua spinta grazie alla campagna per il referendum costituzionale. Una battaglia che ha dato l'opportunità a questi comitati di fare una campagna elettorale, la prima campagna elettorale, e di comprendere che c'era il margine per ottenere dei posti in parlamento nelle amministrazioni locali».

La strategia dei Pro-Vita
La conseguenza di un lungo lavorio di fondo. Quella delle unioni civili, spiega Prearo, fu infatti una lotta di movimento, una lotta di piazza scandita dai Family Day, dai sit-in di fronte al parlamento, dai presidi davanti alle scuole che facevano educazione alle differenze. La logica dietro è stata, secondo Prearo, «di puro scambio politico: stringiamo le alleanze per fare campagna insieme». È stato come cambiare categoria, ascendere a un livello più alto: se prima quei politici erano soltanto “ospiti illustri” durante i convegni contro le unioni civili, contro l'aborto organizzati da Difendiamo I Nostri Figli, nel giro di due anni sono diventati soci. Un lavoro di cantiere che è diventato sempre più forte nelle campagne per le amministrative 2017 e poi nelle politiche 2018. Troviamo così conferenze organizzate dalla Lega dove il nome di Massimo Gandolfini e di uno poco sconosciuto avvocato Pillon compaiono senza la dicitura “Difendiamo i nostri figli”. Ma con quel blu del carroccio. Simbolo certo di un assorbimento. E di un baratto: io ti do il mio appoggio e tu mi dai il posto in Parlamento.

«Bisogna ripensare al 2017. L'idea di cambiare le cose dall'interno nasce lì» spiega sempre il professor Prearo: «Abbiamo cominciato con le mozioni contro l'aborto e adesso si procede con una rete che in nome della difesa della famiglia entra nei comuni. Si stanno muovendo dall'interno. È un'azione non più solo politica della campagna fatta di manifesti e slogan, ma politica e istituzionale. Nella forma che è anche quella della politica pubblica, quella degli atti amministrativi, dei decreti, delle leggi, per questo più pericolosa».

Il vento nero dei diritti sull'Italia
La missione silenziosa dei pro-vita mira a spezzare quel filo sottile che lega istituzioni locali e tutte quelle associazioni che tutelano le minoranze. Esempio è quello che avviene a Genova, dove il sindaco Marco Bucci ha aderito all'accordo dei comuni liguri in difesa della "famiglia tradizionale" proposto dal Forum Ligure delle Famiglie. Lo sguardo è rivolto a Sanremo dove nel 2020 si terrà la "Biennale della Famiglia". Una specie di Congresso di Verona.

Nell'attesa si costruisce una rete di “difesa della famiglia tradizionale”. La prima cosa è stata l'istituzione nel dicembre 2017 dell'Agenzia per la famiglia che ha lo scopo di “difendere” la famiglia tradizionale. Alla guida dell'Agenzia c'è Simonetta Saveri, giovane avvocata che due anni fa coordinava l'agenzia “senza percepire alcun compenso” come dichiarò Bucci. Oggi guadagna 10 mila euro più 400 di rivalsa per contributo previdenziale, più 2.500 euro di fondo per l'attività dell'Agenzia. S

u questa scelta pende un'interrogazione del consigliere Pd Alessandro Terrile che a L'Espresso spiega: «L'agenzia è un grande punto interrogativo. La linea di fondo delle sue attività, non numerose, è quella che esistono delle forze oscure che mettono in pericolo la famiglia tradizionale e quindi bisogna difenderla. Una posizione da Sentinelle in Piedi». È questo del resto il leitmotiv dell'amministrazione genovese che mentre toglie il patrocinio al Pride, istituisce il “registro delle famiglie” dove si possono iscrivere soltanto le famiglie sposata; fuori restano gli uniti civilmente, le coppie more uxorio, i padri e le madri single. “Il registro dei buoni” lo definisce Terrile. Una scelta politica che diventa concreta nel momento in cui il comune ad esempio “che spesso mette dei fondi a disposizione dei cittadini, lo usa per comunicare la possibilità di bandi e concorsi escludendo di conseguenza chi non ne fa parte” Un'amministrazione che in nome della “tradizione” ha messo alla porta non solo le famiglie arcobaleno ma tutti i nuclei familiari che non rispondono alla forma padre, madre, figli.

Toscana doppia
Poco più a Sud della città della Lanterna, in Toscana ci si imbatte in una condizione schizofrenica. Con una mano dal 2016 la regione, attraverso la Rete Ready, stanzia dei finanziamenti annuali finalizzati a promuovere la non discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere e per rafforzare la collaborazione tra le pubbliche amministrazioni. Con l'altra mano vorrebbe elargire quasi duecentomila euro al Forum Pro-vita anti-abortista e anti-Lgbt. Andiamo per ordine. Negli anni passati, al cambio di colore dell'amministrazione, sono usciti Arezzo, Pisa, Pistoia, Siena, e Cortona. «Uscire vuol dire non poter utilizzare delle risorse mirate al contrasto delle discriminazioni», spiega Barbara Caponi la Presidente dell'associazione Lgbt Ireos. «Uscire è davvero una scelta ideologica, entrarci no perché nel concreto ci aiuta a portare avanti progetti amministrativi».

Sono progetti che hanno avuto con un costo minimo un vero impatto sulla comunità come spiega Natascia Maesi, responsabile Politiche di genere nella segreteria nazionale di Arcigay: «Abbiamo realizzato a Siena “Orientiamoci alle differenze”, il primo progetto di formazione per operatori di sportello specializzati in tematiche LGBTQI ma anche “ProfPresente” un corso gratuito per gli insegnanti che offriva strumenti agli insegnanti a prevenire o affrontare il bullismo omotransfobico».

Sono moltissimi i racconti degli insegnanti che sono stati in grado di aiutare ragazzi e ragazze sull'orlo del precipizio e disinnescato la miccia delle derive omo e transfobiche. Progetti che Siena non potrà più realizzare. Mentre la città regionale ha deciso lo stanziamento di 195mila euro al forum Provita per i prossimi tre anni. Una situazione che molti consiglieri definiscono “strana”. Dopo le proteste dei movimenti femministi e le iniziative dei consiglieri di opposizione, l'accordo pur non essendo stato ritirato è rimasto “sospeso” e l'erogazione delle nove tranche di finanziamento al forum “congelate”.

Il Friuli della Lega
Non va meglio in Friuli Venezia Giulia dove la giunta guidata dal leghista Massimiliano Fedriga ha dato lo stop al progetto contro il bullismo omotransfobico “A scuola per conoscerci”. No al patrocinio e quindi al contributo di sedicimila euro. Sono stati cancellati così 10 anni di impegno nel territorio con 30 istituzioni scolastiche impegnate, 12.357 studenti interessati, 11 psicologhe 5.317 ore di volontariato erogate. Nel 2011 Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, conferì ad Arcigay Arcilesbica Trieste una medaglia di bronzo per l'iniziativa virtuosa.

Oggi a L'Espresso Davide Zotti, insegnante e responsabile educativo non nega qualche preoccupazione sul futuro del progetto e sul destino dei ragazzi e delle ragazze coinvolte: «Nell'ultimo anno, prima che arrivasse la Lega, la regione aveva messo nella legge di bilancio regionale proprio un comma che sosteneva il progetto che dava 16 mila euro per svolgere questa attività. Cancellato quello e usciti dalla Rete Ready abbiamo perso ogni finanziamento».

La motivazione è stata espressa dall'assessore a lavoro, istruzione e famiglia: «Abbiamo un'altra linea politica». Una risposta che lascia perplesso Zotti e le associazioni coinvolte: «Come se gli adolescenti fosse un mercato della politica, come se questo paese, questa regione non avesse un problema chiaro di odio omotransfobico. Vuol dire non affrontare più il problema dell'omofobia nella scuola questo è il messaggio che arriva».

Il progetto, inserito nelle scuole durante le ore curriculari, mirava attraverso l'aiuto di esperti, psicologi, insegnanti a stanare la cultura omofobica. La violenza omofobica, fatta di aggressioni fisiche o verbali, va distinta dalla cultura omofobica, che è disseminata nei linguaggi, negli atteggiamenti, negli sguardi, nelle barriere invisibili buone a separare i «diversi» dai «normali»: se sei «così» non sei uno di noi, devi restare solo o con quelli come te. Grazie al confronto e alla comunicazione i giovani si mettono in gioco riuscendo a «sbloccare» il meccanismo dell'esclusione. Diventerà adesso tutto più difficile, racconta Zotti che però non si scoraggia: «Noi andremo avanti con una raccolta fondi dal basso e speriamo di riuscire ad affrontare per quest'anno l'attività».

Prossimo obiettivo anti-gender: Umbria
E va avanti quasi in solitudine anche la città di Perugia: da anni è protagonista di scontri con l'amministrazione di centrodestra guidata dal sindaco Romizi. Qui, dove il 27 ottobre si giocherà una partita importante come quella delle regionali, il tentativo di uscire dalla Rete Ready è dietro l'angolo. Come racconta Stefano Bucaioni, presidente di Omophalos: «Nell'ultimo consiglio della precedente consiliatura hanno tentato di cancellare l'adesione della Rete Ready. Rallentato dalla maggioranza. Era tra le promesse elettorali della Lega che avendo conquistato una maggioranza più composita ha adesso le mani libere». A fine settembre si è svolto Il Festival della Famiglia fortemente voluto dall'amministrazione di Perugia e che ha visto protagonista numerose associazioni che ruotano intorno al congresso di Verona. Tra queste “Famiglie Numerose” dalle quale il senatore Pillon è stato membro direttivo.

«Abbiamo sempre chiesto aiuto a regione e comune - spiega Bucaioni - La prima ha sempre contribuito, il comune è sempre rimasto in silenzio». L'Umbria nonostante non faccia parte della Rete Ready, si è distinta per passi virtuosi verso le inclusioni: dal 2003 con la riforma dello statuto e l'inserimento delle norme contro la discriminazione sull'orientamento sessuale, tra le prime regioni a farlo.

L'approvazione della legge regionale contro l'omofobia transfobia nel 2017. «Il pericolo adesso è la Lega-Fratelli d'Italia che minaccia l'abrogazione della legge contro l'omofobia-transfobia, molto importante per la comunità perché più che una sanzione sostiene strumenti di prevenzione alla lotta contro l'omotransfobia». E dire che i progetti realizzati soltanto in due anni sono tanti: un protocollo contro le discriminazioni firmato dagli enti locali, una ricerca sulla situazione del bullismo omofobo nelle scuole dell'Umbria (bloccata dal ministro leghista Bussetti in prima battuta, ripartita con il cambio di maggioranza).

«La nostra preoccupazione è veder abrogare questi progressi e buttare via 10 anni di lavoro che abbiamo speso per tirare fuori una legge». Se il 27 ottobre, come dicono tutti qui, arriverà in regione un vento nuovo, potrebbe fare anche questo: spazzare gli ultimi residui di tutela e prevenzione.