Mustafa Barzani aveva combattuto contro iraniani e iracheni per l'indipendenza del suo popolo. Mi ricevette vestito da Mille e una notte

Mustafa Barzani mi faceva pensare al Saladino. La mia fantasia andava veloce. Ero un giovane cronista ed ero riuscito a incontrare il capo dei Curdi. Ne ero più che fiero. Allora, più di mezzo secolo fa, l’impresa non era tanto facile. Non essendoci ritratti del Saladino, il grande curdo, la cui morte viene fatta risalire al 4 marzo 1193, l’immaginazione poteva sbizzarrirsi senza ritegno. L’anziano signore, in abito tradizionale da mille e una notte, che mi riceveva posato su un tappeto con le gambe incrociate, aveva tutta la dignità attribuita dalla storia a quel suo famoso e remoto predecessore. Anche fisicamente, stando ai racconti tramandati per secoli, c’era qualche somiglianza: pure lui era tarchiato, piuttosto basso di statura. I non pochi anni gli si leggevano in faccia. Nella realtà erano forse meno di quelli che si contavano con le rughe.

Mi lusingava, il fatto di avere scovato un successore del Saladino. Era ovviamente un’illusione. Il Mustafa Barzani che incontravo governava a mala pena su una parte del Kurdistan iracheno, in quel momento neanche una provincia. Ed era stato (e sarebbe stato ancora) braccato dalle autorità di Baghdad. Il grande Saladino, quello vero, ebbe un’altra storia: governò su quasi tutto il Medio Oriente. Fu sultano di Siria e d’Egitto. Il suo nome era: al-Malik an-Nasir Salah ad-Dinh Yusuf ibn Ayyub: il Vittorioso sovrano, Integrità della Fede, Yusuf figlio di Ayyub.

Avevo raggiunto il “mio Saladino” nella sua modesta, appartata, quasi nascosta residenza vicino a Erbil, nel Kurdistan, e l’ultimo tratto l’avevo dovuto percorrere sulla groppa di un cavallo tenuto alla briglia da un ragazzo col fucile a tracolla. Il viaggio era stato possibile perché la situazione, in Iraq, per il momento si era quietata. Almeno dava questa impressione, dopo il riuscito colpo di Stato (si era nel 1963) contro Kassem e l’avvento al potere di quelli che avrebbero favorito col tempo l’ascesa alla presidenza del risoluto Saddam Hussein. Il quale sarebbe stato giustiziato quarant’anni dopo.

I Curdi erano e sono un popolo tenace, testardo, audace oggi disperso nei paesi mediorientali (in particolare in Iraq, Siria, Turchia), ma con comunità anche in Europa, in particolare in Germania. Si calcola che siano tra i 35 e i 40 milioni. Dopo gli arabi, i persiani e i turchi, sono la più folta popolazione del Medio Oriente. Hanno una lunga storia ma non una patria. Quando fu dissolto l’Impero ottomano, nel 1919, a conclusione della Prima guerra mondiale, si pensò di dar loro una nazione. L’idea sfumò presto: non c’era uno spazio per un Kurdistan indipendente. Neppure adesso ce ne è uno. E chi aspira a quella patria svanita viene definito terrorista.
Di questo mi parlò a lungo, con passione Mustafa Barzani. Aveva alle spalle anni di guerriglia contro gli iraniani e gli iracheni. Nella repubblica provvisoria, effimera, creata in territorio sovietico, era stato nominato maresciallo dell’Armata Rossa. Quando lo incontrai mi dette l’impressione di avere dimenticato quel momento di gloria degli anni Quaranta. Era immerso nei problemi del momento, e i suoi uomini, i peshmerga (i “prima della morte”), erano impegnati a difendere, a tenere unita la comunità curda irachena.

Di Saladino, quello antico, morto quasi mille anni fa, hanno scritto tra i tanti Dante e Boccaccio. Dante non lo mette nell’Inferno come Maometto. Lo salva, lo colloca nel limbo tra gli “spiriti magni” . L’aveva in simpatia, lo ammirava, l’ha citato anche nel Convivio tra i personaggi magnanimi e degni di rispetto. Nel “De casibus virorum illustrium”, il Boccaccio menziona il Saladino. E poi ancora in due novelle del Decamerone. In una il capo curdo è il depositario di poteri magici; nell’altra si racconta di una gara di intelligenza tra un ebreo e il sultano. Sia Dante sia Boccaccio sono generosi nel giudicare Saladino. Ne parlavano più di un secolo dopo la sua morte quando il condottiero curdo musulmano era esaltato come un uomo generoso e leale con i nemici, compresi i cristiani che aveva sconfitto. Tra i contemporanei di Saladino, che avevano combattuto la terza crociata, i giudizi erano meno lusinghieri. Il cronista crociato Guglielmo, arcivescovo di Tiro, lo definì «superbo tiranno infedele». Noi dobbiamo essere molto più clementi con i curdi oggi braccati dai turchi e abbandonati dagli americani.