Sesso, droga e rock 'n 'roll ma anche politica, diritti e fumetti: la rivista che ha contribuito alla rivoluzione culturale degli anni '70 chiude i battenti dopo mezzo secolo. Il fondatore: «Siamo stati una voce progressista in un mondo reazionario»
«Negli anni Sessanta, la politica si preoccupava solo di come riempire le otto ore lavorative. Non pensava alle altre sedici, al tempo libero». Per questo, racconta lo scrittore e giornalista Andrea Valcarenghi, nel novembre 1970 ha fondato
Re nudo, il primo mensile underground italiano. Iconoclasta, oltraggioso, di grande formato. Figlio delle proteste di Onda Verde e del Sessantotto. Inizialmente supplemento di
Lotta Continua, poi in autonomia. E con dentro: sesso, droghe, musica, fumetti; insomma quello che restava fuori dai dibattiti mainstream. Fra satira, ironia, provocazione. Ma anche battaglie per i diritti civili, progressismo, femminismo. E adesso, cinquant'anni e un cambio di linea editoriale dopo, la testata chiude i battenti con un'antologia,
Re nudo –
Storia e storie di una rivista (Interno 4), curata dallo stesso Valcarenghi. Che all'Espresso spiega come, all'epoca della sua prima uscita, il giornale abbia rappresentato «un ponte fra la sinistra extraparlamentare della lotta di classe e i movimenti libertari giovanili». Contribuendo, soprattutto, «alla rivoluzione culturale dei Settanta». Verso una società più aperta e inclusiva.
Insieme a lui, in redazione c'erano la sorella Marina (oggi rinomata psicanalista), Gianni Emilio Simonetti e Guido Vivi. Con le loro lotte negli anni precedenti, erano stati testimoni del sentimento di un Paese che stava cambiando, specie per quanto riguardava i giovani. Ma non era facile muoversi, in ambito culturale. «Eravamo arretrati e la politica ne era complice», ricorda Valcarenghi. La strategia dei partiti, infatti, era quella del «facile consenso» verso un popolo in gran parte ancora morigerato. «L'intrattenimento era superficiale, monopolizzato dalla tv di Stato. E le organizzazioni riflettevano tutto ciò: erano bigotte, Pci compreso. Col problema che, di riflesso, riguardava anche i movimenti extraparlamentari che si stavano formando. Noi invece rappresentavamo la voglia di dedicarsi al tempo libero e di mettere in discussione le autorità, scuola e famiglia in primis».
[[ge:rep-locali:espresso:285349209]]E visto che questi argomenti non trovavano spazio nei dibattiti televisivi, nei quotidiani e nei comizi,
Re nudo diventa pioniere della controinformazione. Ma che significava? «Significava, per esempio, parlare con toni provocatori di droghe, distinguendo quelle leggere dalle pesanti. Eravamo a favore delle prime e contrari alle seconde. Ma fuori dalla rivista questo dibattito non esisteva. I media tendevano a trattare allo stesso modo lo spinello e l'eroina, sostenendo che fossero l'uno l'anticamera dell'altra: una teoria infondata». Oppure, dice, significava schierarsi dalla parte degli omosessuali e delle donne. «I partiti le consideravano "angeli custodi", oggetti, mentre i gay venivano persino nascosti. Siamo stati i primi a dar voce a queste categorie con interventi, inchieste, reportage dal loro mondo». La matrice, insomma, era libertaria e progressista, in un Paese invece reazionario. Ma il risultato, almeno all'inizio, è che il giornale viene attaccato in primis da quelli che dovevano esserne ì lettori: dalla sinistra, con l'accusa di sabotare la lotta di classe con istanze liberali e borghesi; e dai freak stessi, che non si rivedono nella linea editoriale.
Poi però, col tempo, la rivista diventa popolare "sul territorio". Crea il movimento antirazzista (breve ma intenso) delle "pantere bianche", apre un centro di cultura underground («oggi lo definiremmo centro sociale») a Milano. E, sempre lì, organizza i Festival del proletariato giovanile, su modello di Woodstock. In cartellone Franco Battiato, Eugenio Finardi, la PFM, gli Area. «Un genere non c'era: sceglievamo gli artisti in base all'affinità culturale col giornale». Intorno al palco, intanto, una grande comune: giovani da tutta Italia accampati nelle tende, che fumano erba, suonano la chitarra, si dedicano alla meditazione. All'edizione più seguita della manifestazione, quella del Parco Lambro del 1976, si contano migliaia di spettatori. «Erano eventi figli di una grande unione d'intenti. In una delle prime serate che avevamo organizzato, quando ci tolsero la corrente Battiato mise a disposizione il proprio generatore». E così, mentre il Paese scopre i diritti civili,
Re nudo diventa un caso editoriale, un simbolo dell'Italia che cambia partendo proprio dalla controcultura. Nonché uno dei giornali più letti. Anche e soprattutto di nascosto, dai giovani militanti negli stessi partiti che lo criticavano.
Parola d'ordine della rivista: trasgressione. Perché? «Perché era ed è un atto necessario per rompere gli stereotipi». Precisa Valcarenghi: «Trasgredire vuol dire mettere in discussione il pensiero dominante, aprirsi a nuovi punti di vista. Anche e soprattutto a livello culturale. E gli anni Settanta italiani, infatti, ne sono la conseguenza. La prima volta in cui sono stato ribelle è stato quando mi sono schierato per l'obiezione di coscienza, in chiave anti-violenta. All'epoca? L'idea dominante era quella della leva obbligatoria». Poi abbiamo visto com'è finita.
Del resto
Re nudo era anticonformista e ribelle in tutto. Nella forma, con gli articoli che, soprattutto all'inizio, non venivano firmati perché «eravamo contro il copyright imperante; per noi contava più il collettivo che la firma in sé». E nei contenuti, con inchieste tanto sulla pornografia quanto su carceri e manicomi («allora si pensava di risolvere il problema chiudendo le persone dentro e buttando la chiave; come oggi dice Salvini»). E poi, soprattutto, la prostituzione. «Anche qui, una scelta provocatoria e pionieristica, con una rilettura in chiave femminista. Ovunque si tendeva (e si tende) a colpevolizzare le donne del mestiere. Noi abbiamo cambiato prospettiva, intervistando quelle che lo faceva per scelta. "Il corpo è mio e decido io", dicevano».
La rivista, insomma, destava scandalo, vendeva, e apriva ai temi sociali prima dei partiti. «Perché è anche merito di quelli come noi, se su certi argomenti, oggi, c'è più attenzione. Col web è cambiato il modo di fare informazione: Greta Thunberg, negli anni Settanta, sarebbe stata ignorata dai media mainstream. Ma anche un caso come quello di Stefano Cucchi sarebbe rimasto confinato alle "versioni ufficiali": gli abusi delle forze dell'ordine erano prontamente coperti».
Libertà, quindi, che passa da una trasgressione originale. «Che però oggi è più facile e paradossalmente più "inutile"», riflette lo scrittore. Ancora: «Molti gesti anticonformisti sono ammessi e puntualmente assorbiti dal mercato». Quindi che ci rimane da fare?
Re nudo, per esempio, dal 1996 ha cambiato rotta, occupandosi di ricerca interiore e spiritualità, perché «sui temi originali della rivista finalmente ci sono stati progressi, mentre adesso gli stereotipi sono concentrati sui percorsi interiori». Poi, nel dubbio, oggi Valcarenghi chiude il giornale che ha diretto per cinquant'anni e va a vivere in un villaggio «che non è una comune né una città, per contestare lo stile abitativo tradizionale». È il suo modo, dice, di trasgredire nel 2020.