La sfiducia verso gli esperti. La guerra agli Ogm. Il principio di precauzione. Intervista su questi ed altri temi controversi con il medico inglese Richard J. Roberts. Che parla senza peli sulla lingua

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«Non solo negli Stati Uniti, ma in molti paesi, i politici hanno promulgato un’attitudine di sfiducia nei confronti delle opinioni degli esperti. È una tendenza pericolosa. Perché quando si inizia a diffidare degli esperti, chi si ascolta?». Richard J. Roberts ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 1993. È un uomo dalle posizioni nette. Per lui il diritto alla scienza, di cui discuterà ad Addis Abeba, significa «che gli scienziati che sono interessati a perseguire i confini della conoscenza scientifica non dovrebbero essere costretti da ideologie politiche o religiose a indagare sull’ignoto».

Quanto le ideologie possono cambiare gli orizzonti di ricerca?
«Per opportunità politica, i governi possono investire su un determinato sforzo e impedirne un altro. Un buon esempio è il lungo rifiuto del governo americano al finanziare ricerche epidemiologiche sugli effetti della violenza armata.La National Rifle Association ha fatto di tutto per fermare questi studi, temendo che avrebbero interferito sulle licenze di armi. Recentemente il blocco sembra essersi smorzato, ma è da vedere se sarà sufficiente a consentire ricerche significative. Un altro esempio di pressione politica può essere la risposta iniziale del governo cinese nel cercare di coprire l’esplosione del coronavirus. Non è ancora chiaro se siano completamente onesti nel riferire infezioni e decessi. In generale, la tendenza a non porre domande o a nascondere i risultati è molto dannosa per la società. Basta guardare alle risposte dei vari governi sui cambiamenti climatici».

In termini di investimenti pubblici e privati, lei ha parlato spesso del problema del condizionamento delle “Big Pharma” in campo medico. Quali sono le conseguenze?
«In linea di principio, la spesa pubblica è più interessata a investire in aree che non sono ancora abbastanza “mainstream” da attirare il sostegno di aziende che possano considerare i risultati della ricerca commercializzabili. L’altro lato della medaglia è che il finanziamento pubblico è aperto alla pressione politica. Comunque, mentre le grandi aziende farmaceutiche si concentrano sul trattamento a lungo termine, con farmaci che possono continuare a vendere, i ricercatori accademici preferirebbero di gran lunga trovare cure. E questo spesso li mette in contrasto con Big Pharma. È uno dei motivi per cui siamo a corto di nuovi antibiotici: sono trattamenti a breve termine che portano alla cura. Quindi gli antibiotici non sono molto redditizi».

Lei ha sostenuto anche una campagna pro-Ogm.
«Sì, è una petizione che ha ormai il sostegno di 152 premi Nobel. I paesi in via di sviluppo hanno davvero bisogno di Ogm, e gli europei stanno dicendo loro di non coltivarli, negando il supporto per la ricerca e minacciando embargo commerciali se provano a coltivarli. Questa è una grande parodia della giustizia. È una tragedia, che sembra minacciare la ri-colonizzazione dell’Africa attraverso i missionari anti-Ogm».

Ma non si tratta di un enorme rischio per la biodiversità e la non dipendenza dalle multinazionali dell’agrochimica?
«Gli attivisti anti-Ogm usano il rapporto tra grande agricoltura e Ogm per accendere l’opposizione basata sull’antipatia di molte persone per l’agricoltura industriale. Combinando questi due problemi, sono stati in grado di incanalare l’antipatia per la Monsanto e altri verso un’antipatia per gli Ogm. Una volta separati i due problemi, l’accettazione degli Ogm diventa molto più semplice. Ciò è particolarmente vero quando si guarda alla possibilità di migliorare le colture che vengono consumate principalmente nei paesi in via di sviluppo».

Pensa che la ricerca scientifica non dovrebbe avere limiti? Non è fondamentale riflettere sempre su tutte le conseguenze di un’applicazione tecnologica?
«Bisogna sempre riflettere sull’etica e sulle più ampie implicazioni della propria ricerca. Ma ritengo che in assenza di un rischio dimostrabile si debba procedere con gli studi. Perché è dalla ricerca che si sviluppa la società. L’idea del principio di precauzione dal mio punto di vista è davvero piuttosto sciocca. Se fosse stata applicata ai telefoni cellulari - dove ora sappiamo che la luce blu emessa dagli schermi a Led può causare la degenerazione maculare - si sarebbe persa una tecnologia importante. Pochi progressi si ottengono senza rischi nelle prime fasi. Se il principio di precauzione fosse rigorosamente rispettato, nessuno starebbe sciando. La dinamite, grazie alla quale abbiamo potuto costruire strade e progettare paesaggi, non sarebbe apparsa. Il suo uso negli armamenti avrebbe potuto essere evitato. Non ci sarebbero stati premi Nobel. Ma allora vivremmo ancora nel Medioevo».