
Nudi davanti al coronavirus. Anche la Fase 2 dell’epidemia è cominciata senza sufficienti protezioni, secondo il timore di molti scienziati e l’esperienza degli italiani apparentemente guariti e da giorni in attesa dei test tampone per poter uscire. Al nuovo caos nazionale sulle mascherine, dovuto al prezzo imposto di 50 centesimi, si aggiunge il ritardo o la lentezza con cui lo Stato e le Regioni più esposte, a parte Veneto e Toscana, hanno avviato sulla popolazione le indagini molecolari (ricerca del genoma del virus nelle vie respiratorie) e sierologiche (ricerca degli anticorpi nel sangue).
L’Espresso ha scoperto che in Lombardia, l’area finora più colpita al mondo con decessi che in provincia di Bergamo sono aumentati a marzo del 568 per cento rispetto agli anni precedenti, l’insufficienza di scorte nei laboratori degli ospedali è il risultato di una delibera votata da tutta la giunta regionale, compresi il governatore leghista Attilio Fontana, il vicepresidente Fabrizio Sala e l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, per aumentare gli incentivi economici ai direttori generali, generalmente di nomina politica.
Questa scommessa oggi spiega perché la Regione non sia riuscita ad avviare tempestivamente uno screening di massa sulla popolazione, come è avvenuto in Veneto, tanto da dover sospendere tra febbraio e marzo i test tampone perfino sul personale sanitario per la mancanza di reagenti. Un vuoto che nemmeno ora è stato colmato, nel momento in cui i laboratori di analisi costituiscono l’unica linea di difesa per scoprire in tempo le persone positive e isolarle in quarantena.

La delibera, che potrebbe condizionare negativamente anche la Fase 2 italiana, è la numero XI/1681 votata nella seduta del 27 maggio 2019 su proposta dell’assessore Gallera, volto quotidiano nel monologo televisivo sui dati dell’epidemia al Nord. Le 106 pagine firmate dal direttore generale dell’assessorato, Luigi Cajazzo, illustrano le “Determinazioni in ordine al sistema di valutazione dei direttori generali... e alla corresponsione del relativo incentivo economico”.
A pagina 81 l’obiettivo assegnato al direttore dell’Azienda sociosanitaria territoriale di Lodi, la prima a dover affrontare fuori dalla Cina i focolai del virus Sars-CoV-2, vale 15 punti su 100, secondo voto più alto nella classifica per ottenere il premio economico. È scritto: «Monitorare periodicamente le scorte dei dispositivi diagnostici in vitro... tenere sotto controllo le richieste di ordinativi da parte dei laboratori di analisi, al fine di evitare incrementi di costo dovuti all’aumento delle rimanenze di reparto».
Sulla stessa linea gli obiettivi per i laboratori del Policlinico di Milano e degli Spedali Civili di Brescia, dove si prevedeva un taglio delle spese di 300 mila euro, a parità di numero di esami eseguiti. I manager le chiamano rimanenze, chi lavora con provette e reagenti le definisce scorte necessarie. I laboratori, già a corto di tamponi per le analisi di routine, non sono stati sufficientemente riforniti nemmeno dopo la dichiarazione dello stato di emergenza deliberato dal governo il 31 gennaio.

Con queste premesse, la Lombardia ora dovrebbe proteggere i suoi cittadini su due fronti. Con una campagna di test sierologici di massa per scoprire quanti nella popolazione, già guariti o asintomatici, hanno sviluppato anticorpi di classe IgG che potrebbero proteggerli da nuove infezioni, anche se la durata e l’efficacia della protezione è ancora da definire. E, contemporaneamente, con indagini molecolari attraverso i tamponi naso-gola per scoprire se le persone negative o positive al prelievo di sangue sono anche infettive. I kit di laboratorio permettono infatti di ricercare anticorpi IgG (prodotti dal sistema immunitario nelle fasi tardive dell’infezione, quindi usati anche come marcatori di un contagio risolto), IgM (prodotti durante la fase acuta dell’infezione) e IgA (prodotti a livello delle mucose respiratorie a inizio infezione, quando IgG e IgM non sono ancora in circolo). Ogni tipo di ricerca deve però fare i conti con un proprio margine di errore.
A inizio epidemia Luigi Cajazzo, il direttore generale di Gallera, ha vietato ai laboratori lombardi la ricerca di IgM e IgG per diagnosticare la malattia. E ha sottoposto ogni eventuale metodo alternativo al giudizio di una squadra di virologi diretti da Fausto Baldanti, professore al Policlinico di Pavia. Nel frattempo la Regione di Fontana ha nuovamente fatto una scommessa. Questa volta sulla capacità di Baldanti di sviluppare e validare in tempi rapidi il test sierologico proposto dalla multinazionale italiana Diasorin, scelta dalla Lombardia senza gara di appalto.
È il test distribuito ai laboratori regionali proprio in questi giorni: si basa sulla ricerca degli anticorpi IgG attivati dalla proteina “spike” con cui il coronavirus penetra nelle cellule sane per riprodursi. Un dato di alto valore scientifico per scoprire come l’epidemia si è diffusa sul territorio ed eventualmente anche commerciale per accompagnare lo sviluppo del vaccino, tanto che il Policlinico di Pavia incasserà da Diasorin l’1 per cento di royalty sul prezzo netto di ogni kit venduto e che l’università pavese ha validato. «Oggi in una strategia vincente contro il covid», spiega Carlo Nicora, direttore generale del Policlinico rispondendo alle domande che avevamo rivolto al professor Baldanti: «in attesa di un vaccino o di una terapia specifica, occorre sia il tampone nasale sia il prelievo di sangue». Anche la multinazionale è sempre stata chiara nelle sue presentazioni. Ma forse in Regione non si sono capiti bene. Il 13 aprile una nota diffusa ai giornali annunciava infatti che «i test ideati e testati dal San Matteo di Pavia certificheranno l’immunità al virus». Una patente che tuttora non esiste. Quindi in Lombardia, la regione più esposta, oggi si torna a fine febbraio: servono tamponi.
I laboratori del Veneto si sono invece affidati ai test sierologici della coreana GenBody. Il kit indica in quindici minuti se la persona è negativa o ha in circolo anticorpi IgM (probabile infezione in corso), IgM-IgG (infezione in fase avanzata), IgG (risposta immunitaria). Il risultato va ovviamente accompagnato da una valutazione medica e, se necessario, dal classico tampone.
Accettando gli inevitabili margini di errore, la Regione di Luca Zaia ha subito puntato sui laboratori: la capacità delle scorte preparate in tempo e la rapidità dei test scelti sono finora riuscite ad anticipare l’epidemia sul territorio. La Regione Toscana ha adottato i test sierologici che l’italiana Diesse Diagnostica Senese ha validato con l’Istituto Spallanzani di Roma. «I kit sono stati sviluppati per riconoscere le tre tipologie di anticorpi IgG, IgM e IgA. Sono soprattutto le IgA a fare la differenza su questo tipo di test, perché i virus respiratori innescano una reazione immunitaria prima a livello delle mucose respiratorie e poi a livello sistemico», spiega Tatiana Zoppi, analista marketing della società.

Il Piemonte sta invece distribuendo i prodotti della Abbott, che evidenzia soltanto gli anticorpi IgG, e della Diasorin. La multinazionale americana ha annunciato la disponibilità per fine maggio in Italia di quattro milioni di kit. Pochi giorni fa la Abbott ha vinto il bando indetto dal commissario straordinario Domenico Arcuri per la fornitura di 150 mila test: serviranno a studiare lo 0,0025 per cento della popolazione italiana. Giusto un confronto: la Germania, con oltre ottanta milioni di abitanti, per gestire la fase 2 ha già ordinato scorte per esaminare entro giugno il sangue otto milioni di tedeschi.