«Ma quale shock pandemico: il digitale è un'opportunità da cogliere»
Lo smart working rende più liberi, le app di controllo In Italia sono dentro un quadro giuridico. Il filosofo Luciano Floridi respinge le tesi di Naomi Klein sull'eccessivo potere accumulato dai big della tecnologia con l'emergenza coronavirus
Un nuovo ordine mondiale in cui colossi del digitale usano il virus per intrecciarsi con la politica, imponendo un futuro a loro immagine e somiglianza. “La dottrina dello shock pandemico”, si intitola il j’accuse di Naomi Klein pubblicato sull’ultimo numero dell’Espresso.
Una tesi che Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, si cimenta a confutare punto per punto. Partendo dal presupposto del suo ultimo saggio, “Il verde e il blu” (Raffaello Cortina editore): in una società matura dell’informazione come la nostra, sostiene Floridi, il progetto umano deve essere etico, unire politiche verdi, ambientali in senso lato, e politiche blu, vale a dire l’economia digitale, superando la dicotomia tra pubblico e privato. Una visione agli antipodi di quella della scrittrice e attivista canadese. «Con Klein si può essere d’accordo o meno, ma nel suo articolo manca o quasi la parte propositiva. Alla fine resta la domanda: che fare?», esordisce il filosofo.
Professor Floridi, partiamo dalla scuola a distanza. Klein denuncia la discriminazione sociale subita dai bambini che a casa non hanno accesso a Internet e mette in dubbio la validità dell’insegnamento remoto per i minori con disabilità. «Si parla dagli anni Ottanta di “digital divide”, la diseguaglianza sociale legata all’accesso alle nuove tecnologie. Le famiglie più disagiate non sono connesse e al tempo stesso contribuiscono con le proprie tasse alla digitalizzazione della scuola. In sostanza, perdono due volte. Durante la pandemia molti bambini sono rimasti tagliati fuori dal sistema educativo: non è accettabile, lo Stato deve abilitare tutti all’uso di Internet, recuperare la visione di Stefano Rodotà, considerare la Rete un bene comune. Nella formazione a distanza, però, esistono molti aspetti positivi: milioni di persone, ad esempio, durante il lockdown hanno potuto seguire corsi online, di Oxford o del Mit, da angoli remoti del pianeta. Quanto alla formazione dei ragazzi disabili o con deficit di attenzione, sono stati sviluppati programmi di robotica miracolosi».
Altro argomento cruciale: il lavoro. In futuro, secondo Klein, ai privilegiati verrà consegnato tutto a domicilio, saranno impiegati molti meno insegnanti, medici e autisti. Un futuro gestito dall’intelligenza artificiale, afferma la scrittrice, tenuto insieme da decine di milioni di lavoratori anonimi nascosti nei magazzini e nei data center.
«Non sono d’accordo. Lavoro digitale significa anche flessibilità e comodità, che consente a chi passa la vita in ufficio di non trascorrere l’unica mezza giornata libera della settimana in coda al supermercato. Quanto allo smart working, non vuol dire svolgere a casa quello che avremmo dovuto fare in ufficio bensì lavorare a progetto, essere impegnati tre giorni di fila e il quarto magari occuparsi di un parente in ospedale. Per monitorare gli aspetti negativi del telelavoro serve una buona normativa, ma in Europa nessun magazziniere può essere costretto a lavorare dodici ore al giorno con il braccialetto. Forse negli Stati Uniti, ma nel Vecchio Continente, di sicuro in Italia, lavorare in quelle condizioni è illegale: esistono i sindacati, il minimo salariale, la Costituzione».
A proposito di Stati Uniti, Klein denuncia le relazioni pericolose tra il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, e Eric Schmidt, l’ex ad Google proprietario di azioni di Alphabet, società madre di Google, per oltre 5 miliardi. In sostanza, sostiene la scrittrice canadese, Alphabet sta “collaudando” Washington per conto della Silicon Valley. E i big tech, aggiunge, sfruttano l’argomento che la Cina sta superando gli Usa come alibi per fare profitti. «L’errore di Klein consiste nel mescolare ingredienti e non saperli più distinguere, estremizzando. Mi spiego meglio: la competizione tra Cina e Stati Uniti è un dato di fatto, a breve Pechino prenderà il sopravvento. Non è vero che questo argomento sia solo una “scusa” in America per prendere decisioni antidemocratiche: il timore è reale. Al tempo stesso gli Stati Uniti, se sfideranno la Cina sul suo stesso terreno, ovvero saldando lo Stato con la grande industria, finiranno per avere gli stessi problemi etici, politici e sociali. In questo gioco l’Europa può emergere come alternativa preferibile, per conciliare pubblico e privato. Se restano autonome, politica e imprese possono fare insieme un ottimo lavoro».
Fatto sta che società come Google e Amazon, proprio con il Covid-19, hanno rafforzato la propria influenza sulle istituzioni americane. C’è un rischio per la democrazia? «Occorre anzitutto trasformare i processi decisionali: la politica dovrebbe coinvolgere i cittadini nella costruzione dei progetti, non solo al momento del voto. A cosa serve la democrazia diretta se si riduce a interpellare di continuo la gente su temi incomprensibili? Ad aprire la strada a demagogia e populismo».
Il tema della democrazia coinvolge quello della sorveglianza di massa, la costruzione di una infrastruttura tecnologica che controlla la vita dei cittadini, di cui la app per il tracciamento è un tassello. «Nell’Unione Europea le app sono regolamentate in maniera molto vincolante dal Regolamento europeo per la protezione dei dati (Gdpr) e dalle autorità della privacy. Se Immuni non fosse a norma verrebbe tolta dal mercato, non siamo nel Far West. Non voglio affermare che il rischio privacy non esista, anzi, ma può essere tenuto sotto controllo dal legislatore. Quanto al resto del mondo, non metterei la mano sul fuoco. Negli Stati Uniti la situazione è meno rassicurante perché non esiste un simile regolamento per la protezione dei dati, il quadro legislativo è più frammentato. In ogni caso, sarebbe opportuno mettere a punto l’equivalente del Gdpr per l’intelligenza artificiale, ispirato ai principi della trasparenza. Oggi il regolamento viene applicato in maniera estensiva all’intelligenza artificiale ma è una coperta corta».
Si tratta di scegliere se investire nelle persone o nella tecnologia, afferma Klein al termine del suo intervento. Un aut aut radicale. «Non si tratta di scegliere tra Giulietta e Romeo, è il loro amore che conta. In altre parole: il punto non è scegliere tra persone e tecnologia ma metterle in relazione. La pandemia è costata migliaia di morti e sacrifici straordinari, ma va sfruttata mettendo in campo un progetto umano che risponda alla domanda: «Cosa vogliamo fare del ventunesimo secolo?». È ora di mettere insieme le tecnologie, con le loro grandi potenzialità, e l’ambiente con tutti i suoi problemi. Per realizzare questo piano non dobbiamo optare per il pubblico o il privato, è il mix che funziona. Il privato produce grande ricchezza ma la distribuisce malissimo e danneggia l’ambiente. Lo Stato invece si deve occupare di distribuire in maniera equa la ricchezza e rendere migliore l’ambiente: società, ambiente urbano, ambiente digitale, infosfera. Traslando il discorso sul piano geopolitico, bisogna superare l’idea novecentesca di un’Europa come entità politica dei confini. Se quella del ventunesimo secolo è un’Europa dei valori, l’Ungheria può uscire perché è uno Stato autocratico, mentre Canada e Giappone possono entrare perché condividono i nostri principi. Firmerei subito per vivere in un mondo del genere».