Le urne ridefiniscono gli equilibri nella maggioranza giallorossa in vista delle scelte per le aziende di Stato e riaprono le lunghe battaglie sulla Rete unica telefonica e le concessioni autostradali. Rizzo e Vacca sono i nomi da tenere d'occhio

Si ricomincia da Antonio Rizzo e Ignazio Vacca. Un momento. Qui le regioni rosse restano rosse e le regioni verdi (pardon, azzurro leghista) restano a Luca Zaia e Giovanni Toti e si parla di tali Rizzo e Vacca. Sì, di loro. Perché si ricomincia, a seggi fermi, a praticare il potere di governo: nomine, progetti, assetti e soprattutto riassetti.

Antonio Rizzo è il consigliere economico di Riccardo Fraccaro, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, un Cinque Stelle di rito Di Maio, messo lì da Di Maio per controllare Conte; ma Richi, così lo chiamano gli amici di tutti i riti, ci ha preso gusto ed esercita la sua autorità in materia di poltrone per interposto Rizzo. Figlio di Beppe, filosofo e comunista (“mi considero il fratello maggiore di Massimo D’Alema”), Ignazio Vacca è il capo della segreteria di Roberto Gualtieri, ministro del Tesoro. Rizzo e Vacca sono la coppia d’oro delle nomine.

Nonostante la tavolata della scorsa primavera con le multinazionali di Stato spartite tra le lacrime della pandemia, il menu è ancora ricco perché gli ordini erano fermi in attesa delle urne per il referendum e le regionali: Consap, Consip, Poligrafico, Sogesid, Equitalia Giustizia, Trenitalia, Rete ferroviaria italiana, la nuova società di Alitalia. Le ultime tre appartengono al ministero dei Trasporti. Dettagli. Le sigle non dicono granché, però pesano.

I risultati elettorali adesso vanno esaminati per riequilibrare il peso fra gli azionisti di governo: Italia Viva di Matteo Renzi dovrà smettere di rivendicare più spazio nei Cda; i Cinque Stelle, separati e perdenti ovunque, a parte il taglio dei parlamentari, devono contenersi; il Pd di Nicola Zingaretti, invece, può alzare il ditino con maggiore convinzione. Per esempio la Centrale degli acquisti della pubblica amministrazione (Consip) e la Concessionaria per i servizi assicurativi pubblici (Consap) sono le più ambite e da mesi al centro dei litigi fra i giallorossi per accaparrarsi la guida dell’una o dell’altra: adesso i dem possono pensare di non scegliere, ma di prendersi entrambe.

Al premier Giuseppe Conte, che si accontenta di muovere e promuovere i suoi principali collaboratori, l’onere di fare sintesi, anche soltanto con un educato silenzio come avvenuto per Eni, Enel e altre. Oltre a smistare candidati consiglieri, presidenti e amministratori delegati, gli alleati giallorossi devono passare alla pratica su Autostrade per l’Italia con i Benetton e la Rete unica telefonica con Tim, dossier infuocati che coinvolgano la Cassa depositi e prestiti (Cdp) di Fabrizio Palermo.

La trattativa tra gli emissari di Benetton e Cassa depositi e prestiti era già chiusa a inizio a luglio, quando la propaganda di Palazzo Chigi celebrò la vendetta per il ponte Morandi, ma da settimana si legge di “nodi”, “veti”, “ferma volontà”: lanugine per occultare un pericoloso fallimento. A ferragosto le fanfare di governo annunciavano internet in fibra nelle zone più perigliose d’Italia, adesso si scopre - ma va? - che l’unione fra Tim e Cdp sarà assai complessa. Anche se per la presidenza della futura azienda si valuta il profilo di Massimo Sarmi, per dodici anni ad di Poste, in uno dei quali assunse Vacca che aveva terminato appena un decennio da funzionario dei Democratici di Sinistra. Il totonomine di Stato non è meno divertente della campagna elettorale. Come insegnano i sondaggisti, si può dire e fare tutto in libertà.