Attorno all’andamento del costo degli alimenti si è creato un colossale giro di scommesse. Che determina la volatilità dei mercati. E influenza la qualità della vita di intere popolazioni

Che economia è quella dove ogni giorno si comprano milioni di tonnellate di sementi che nessuno vorrà mai avere e si vendono compulsivamente milioni di tonnellate di grano o di carne che nessuno ha mai avuto né mai avrà? E perché siamo arrivati al punto in cui, di fatto, il prezzo del grano oscilla come il prezzo delle azioni di una multinazionale del web?

 

Da anni i prezzi agricoli sono in crescita e anche in quest’ultimo periodo l’indice della Fao registra il loro costante aumento avvicinandosi ai massimi storici. Tutto avviene mentre nel mondo crescono in modo preoccupante le persone che vivono la fame cronica e la malnutrizione. Ma cosa spinge i prezzi agricoli verso l’alto? Sicuramente l’espansione della domanda, sostenuta dalla crescita della popolazione mondiale, può avere giocato un ruolo importante nel lungo periodo. Ma bisogna anche domandarsi se non siano in atto sistematici processi speculativi.

 

Quel che più colpisce è l’endemica volatilità dei prezzi delle commodities alimentari. Si tratta di una volatilità che, sia pur acuita dal Covid-19, può essere paragonabile a quella presente nei mercati azionari e le conseguenze di questa equiparazione sono di grande importanza. Perchè un conto è investire nel capitale delle società, anche dove queste siano legate alle commodities agricole, altra cosa è investire direttamente nelle materie prime. Dunque, una cosa è se a Wall Street sale o scende il comparto delle industrie agroalimentari, altra cosa è se a Chicago, principale borsa agricola mondiale, sale (o scende) il prezzo del grano o dello zucchero. Riconoscere che la volatilità dei prezzi agricoli sia oggi paragonabile a quella dei mercati dei titoli azionari, significa prendere coscienza di un serio problema.

 

Ovviamente, non tutte le variazioni di prezzo costituiscono un problema. Le produzioni agricole contengono un fisiologico e imprescindibile grado d’incertezza nei prezzi, legate come sono alla stagionalità dei raccolti e all’imprevedibilità degli eventi atmosferici. Ciò che dovrebbe destare preoccupazione non è la fluttuazione dei prezzi di per sé, ma proprio “l’eccessiva volatilità” dei mercati agroalimentari. Ma come si è arrivati a questo? Abbiamo detto di come i prezzi delle produzioni agricole contengano un fisiologico grado d’incertezza che dipende da molti fattori.

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Dall’imprevedibilità degli eventi atmosferici all’andamento demografico, alla modifica delle diete, ai costi di stoccaggio e di trasporto, alla disponibilità di risorse idriche e di terreni. Ma incidono anche il costo dell’energia, le barriere commerciali e l’insorgere di crisi locali o globali, e naturalmente anche il corso del dollaro da sempre moneta di riferimento. Un’azienda produttrice o acquirente di materie prime agricole è dunque fortemente esposta a variabili non governabili nell’ambito del proprio ciclo produttivo. E questa è la ragione per la quale sono nati via via strumenti sempre più sofisticati per ridurre l’esposizione di produttori e acquirenti di commodities agricole.

 

Farmaco deriva dal greco φαρμακον, che vuol dire rimedio, “medicina”. Ma può significare anche “veleno”. L’evoluzione degli strumenti nati per la protezione dalla volatilità dei prezzi dei beni agricoli dimostra come l’uso smodato di un giusto rimedio possa trasformarsi in una delle sue cause. Il produttore semina oggi e raccoglie domani. Egli teme che i prezzi futuri del suo raccolto possano scendere. Chi trasforma le derrate agricole teme esattamente il contrario, ovvero un possibile rialzo della materia prima. Nascono così, a metà dell’800, i primi contratti futures sulle commodities agricole, attraverso i quali acquirenti e venditori (ad esempio di grano) stabilivano un prezzo al quale trasferire fisicamente la merce ad una certa data futura, sterilizzando così il rischio per entrambi.

 

Così strutturato per molti anni, il mercato dei contratti sulle commodities agricole è rimasto un ambito confinato agli operatori del settore e come tale con scarsa liquidità, non essendo affatto semplice incrociare le aspettative di prezzo di venditori e acquirenti. Un primo punto di svolta si ebbe quando, a fine Ottocento, sul mercato comparve un terzo soggetto, né produttore né acquirente di materie prime agricole, ma solo interessato a comprare o vendere i contratti in base alle stime sull’andamento futuro dei prezzi. Anche in questo caso il contratto future non perdeva la sua funzione originaria assicurando la preventiva fissazione di un prezzo accettabile.

 

La vera svolta si ebbe quando venne siglato il primo future sulle materie prime agricole fra due trader non commerciali disinteressati alla consegna della merce, ma solo alla ricerca di rendimenti. Da quel momento, ai contratti future si sono affiancanti strumenti sempre più sofisticati capaci di movimentare grosse quantità di merce virtuale. Negli anni duemila si sono affacciati altri soggetti, anch’essi del tutto alieni alla filiera reale: risparmiatori via Internet, gestori di fondi ordinari, hedge funds, operatori di vario genere. Tutti a caccia di rendite finanziarie o di occasioni di diversificazione dei portafogli.

 

Le transazioni dei futures hanno così raggiunto volumi stratosferici ma oggi, ormai solo lo “zero virgola” di esse è legato a merce fisica. Attorno all’andamento dei prezzi del cibo si è creato un colossale giro di scommesse. Carta su carta. Soldi mossi da algoritmi senza alcuna ricaduta pratica in termini commerciali o industriali o di soddisfacimento di bisogni. Ecco perchè ci si deve chiedere davvero quanto e come la speculazione influenza l’economia reale, a partire da chi opera su un fronte delicato come quello dei beni agricoli.

 

Da tempo si segnala l’esistenza di una correlazione tra l’aumento abnorme della speculazione nei mercati delle commodities agricole e l’incremento della volatilità dei prezzi reali delle stesse materie. Si segnala, cioè, il rischio di un diabolico ribaltamento di prospettiva, dovuto alla evidente sproporzione fra transazioni virtuali e transazioni legate ai reali bisogni delle persone.

 

Perché mentre un tempo si scommetteva guardando al futuro andamento dei prezzi reali, oggi, troppo spesso, sono i prezzi reali a guardare all’andamento delle scommesse. A conferma di come l’economia virtuale può prendere in ostaggio quella reale. E così, in sostanza, con l’abuso, il farmaco nato per assicurare la stabilità dei prezzi beni agricoli, da medicina si è trasformato nel veleno della loro volatilità.

 

A onore del vero, non tutti sono d’accordo su questo. Alcuni osservatori arrivano alla conclusione che gli speculatori sui beni agricoli rimangono ancor oggi operatori che decidono le loro strategie in base ai movimenti dei prezzi reali e non viceversa. Secondo loro si può speculare quanto si vuole sul rialzo del prezzo del grano fra un anno, ma se in quell’annata i raccolti saranno abbondanti, la domanda in calo e il dollaro in ribasso, alla fine il prezzo reale del grano scenderà.

 

Ma anche ammesso e non concesso che ciò sia vero, in un’economia di mercato che a parole tutti vogliamo sociale, non è giusto interrogarsi su quale sia la funzione reale di una montagna virtuale di scommesse sul prezzo del cibo slegate da ogni vero bisogno? A nessuno dovrebbe sfuggire il rischio che forti aspettative speculative per un rialzo del prezzo di un bene agricolo, possano portare più di un operatore a trattenere la propria merce in magazzino, determinando così un aumento del prezzo reale per indotta contrazione dell’offerta. Così come forti aspettative speculative di un futuro rialzo del prezzo del grano possono portare ad anticiparne gli acquisti, determinando un aumento del prezzo reale. E il pericolo che il prezzo, generato da un algoritmo, di derrate alimentari che non esistono né mai esisteranno, possa anche solo indirettamente influenzare la fame reale di milioni di persone è un rischio che non ci possiamo permettere.

 

Credo che i tempi per una politica di restrizioni e di limitazione all’operatività nei mercati future sulle commodities alimentari siano dunque maturi. Come fare? Le proposte in campo sono diverse e molti autorevoli studiosi da tempo formulano idee utili. Solo per citarne alcune: vietare o frenare sensibilmente le vendite allo scoperto o i rinnovi automatici dei contratti in scadenza per questi beni, limitare il rapporto tra operatori commerciali e investitori meramente finanziari, aumentare le cauzioni e le garanzie necessarie per operare.

 

Tutte idee che vanno nella giusta direzione. Ma prima di tutto occorre ricondurre le cose a misura d’uomo, a maggior ragione perchè parliamo di ciò che ci nutre. E per farlo non ci può essere altra base di partenza: bisogna riportare i futures sulle commodities alimentari alle loro origini di strumenti di copertura dei rischi di prezzo delle derrate reali e non di quelle immaginarie, utili solo a chi aspetta di speculare con un clic. Di certo, su un tema così cruciale, l’ingegneria finanziaria da sola non basta. Serve un ripensamento più profondo. Ma immediato. Ne saremo capaci?

L’autore è vicedirettore generale della Fao