Il rinvio a giudizio del cardinale Angelo Becciu conferma lo scrupolo del lavoro fatto dall’Espresso che per primo rivelò gli scandali della finanza vaticana il settembre scorso. Finendo al centro di un attacco tra richieste di risarcimenti milionari e macchine del fango sui suoi cronisti

«L'iniziativa giudiziaria è direttamente collegabile alle indicazioni e alle riforme di Sua Santità Papa Francesco, nell'opera di trasparenza e di risanamento delle finanze vaticane; opera che, secondo l'ipotesi accusatoria, è stata contrastata da attività speculative illecite e pregiudizievoli...».

 

Più ancora che la storica richiesta di rinvio a giudizio per il cardinale Giovanni Angelo Becciu, per la prima volta un cardinale va a processo in Vaticano per peculato, abuso d'ufficio anche in concorso e perfino subornazione, colpiscono le righe finali della nota con cui la Santa Sede ha comunicato la decisione. L'accusa di aver ostacolato e contrastato l'azione di rinnovamento di papa Francesco a carico di un personaggio di spicco della gerarchia vaticana, fino al 2017 il numero tre, e di una conventicola di monsignori collaboratori del cardinale (con l'eccezione rilevante di monsignor Alberto Perlasca che non figura tra i rinviati a giudizio), funzionari, affaristi, con una «vasta rete di relazioni che hanno generato consistenti perdite nelle finanze vaticane, avendo attinto anche alle risorse destinate alle opere di carità personale del Santo Padre».

 

Un cardinale potente e influente, fino al 2017 numero tre della gerarchia vaticana, viene accusato non solo di peculato ma anche di aver cospirato contro il papa per bloccarne l'azione. Siamo solo all'inizio, il processo comincerà il 27 luglio. E il cardinale avrà modo di dimostrare la sua innocenza, se riuscirà. Ma già da oggi va fissato qualche punto fermo.

 

I lettori dell'Espresso conoscono bene questa vicenda. Nel numero in edicola domenica 27 settembre pubblicammo la prima puntata dell'inchiesta firmata da Massimiliano Coccia e la copertina con l'immagine di papa Francesco e il titolo «Fuori i mercanti dal tempio», il numero che avevamo chiuso in redazione nel tardo pomeriggio di mercoledì 23 settembre. Ma il caso esplose il giorno dopo, perché la sera di giovedì 24 il cardinale Becciu fu ricevuto dal papa e privato delle prerogative dovute alla dignità cardinalizia, prima fra tutte il diritto di partecipare a un futuro conclave per scegliere il papa da elettore del Sacro Collegio. Il giorno dopo, in una scomposta conferenza stampa, Becciu attribuì la cacciata a una inchiesta per peculato. Confermata oggi. Mai l'Espresso fu citato in quella sede.

 

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Nelle settimane successive, però, il cardinale ha preferito dimenticarsi di quanto da lui stesso affermato. E ha scelto di indicare un colpevole per la sua disavventura giudiziaria: il nostro giornale, la nostra redazione, il nostro lavoro, il nostro cronista. Ha chiesto dieci milioni di euro di danni con almeno due motivazioni sorprendenti. La prima: nella decisione di estrometterlo il papa sarebbe stato fortemente influenzato, se non addirittura manipolato, dalla lettura dell'Espresso, la cui copia avrebbe ricevuto in anticipo. La seconda: Becciu si è sentito danneggiato nella sua scalata, si sentiva infatti tra i papabili del prossimo conclave e l'inchiesta dell'Espresso lo avrebbe ostacolato nell'ascesa al papato, evidentemente quantificato in dieci milioni di euro: tanto vale il soglio di Pietro, la successione al Pescatore scelto duemila anni fa da Gesù come suo Vicario in terra.

 

Ho già avuto modo di scrivere che il signor Becciu, cittadino italiano, ha tutto il diritto di difendersi se si è sentito diffamato: il procedimento è in corso. Ma un cardinale che ha giurato fedeltà al papa “usque effusionem sanguinis”, fino alla morte, non può dichiarare che il Pontefice si fa manipolare da un'inchiesta giornalistica.

 

In questi mesi è stata scatenata anche una campagna giornalistica contro l'Espresso, da parte di qualche anziana firma che già era scivolata in passato sulle patacche vaticane, oggi in difficoltà nella propria testata, e da qualche personaggio uso più a servizi e servigi che all'informazione. Per salvare Becciu e i suoi, gli esperti della macchina del fango hanno provato a intimidire il nostro giornale e hanno rovesciato contro il giornalista Massimiliano Coccia un carico di accuse sul piano personale che nulla avevano a che fare con l'inchiesta. Rilanciati, poi, dal branco online degli anti-Bergoglio che per mesi hanno previsto un perdono papale per il cardinale, addirittura ipotizzato un rilancio della sua carriera di funzionario di Dio.

 

Il rinvio a giudizio di oggi conferma lo scrupolo del nostro lavoro. A noi non spettano condanne e assoluzioni, né su un piano penale, né tantomeno su un piano umano o cristiano. A noi spetta la ricerca della verità. Il mestiere del giornalista è una umile, paziente ricostruzione di dati, fatti, vicende che sono utili per l'opinione pubblica per sapere e per capire quanto accade. In questo caso, uno scontro di potere gigantesco nel cuore della Chiesa cattolica, il tradimento del messaggio di rinnovamento di papa Francesco, il tentativo di un gruppo di sodali di impossessarsi di quanto c'è più caro ai fedeli.

 

Una settimana fa, domenica 27 giugno, mi è capitato di assistere a una messa estiva di fine pomeriggio con pochi fedeli e un prete anziano. Si raccoglievano le offerte per il papa, in vista della festa del 29 giugno, i santi Pietro e Paolo. Poche monete infilate in un cestino. Ho pensato in quel momento che anche quegli sparuti fedeli coraggiosi nella calura estiva hanno il diritto di sapere se quei pochi centesimi sono destinati ai poveri oppure a qualche finanziere svizzero o a qualche prelato arraffone o a principe della Chiesa che ha tradito la sua missione. Per questo valeva la pena scriverne e continuare a ripeterlo oggi con la certezza di aver svolto il nostro lavoro di informare. Fuori i mercanti dal tempio.