Nel discorso sullo Stato dell’Unione la presidente Ursula von der Leyen ha puntato tutto su difesa e anima. Strizzando l’occhio ai giovani

Verrà ricordato come il discorso in cui si sono sentiti i primi benefici della Brexit quello fatto da Ursula von der Leyen per l'inaugurazione del nuovo anno di lavoro delle istituzioni europee.

Per la prima volta è stato tutto incentrato sull'esigenza urgente della costruzione di una difesa comune: un'ambizione impossibile se la Gran Bretagna fosse stata ancora membro dell'Unione. Almeno tanto quanto impossibile sarebbe stato l'avvio del mega piano di rilancio post pandemia. Insomma, l'Europa sta uscendo dalla pandemia con uno Stato membro in meno. Ma più forte. O almeno più ambiziosa. E con un'«anima» sempre più inequivocabile.

 

Coordinamento delle informazioni. Interoperabilità. E difesa cibernetica sono le parole d'ordine del futuro. Tra l'altro dette da un ex ministra della difesa, che sa di cosa sta parlando. Perché la vera novità è che la Germania, dopo decenni di titubanze, potrebbe dare vita a quel binomio franco-tedesco, a lungo cercato da tutti presidenti francesi, indispensabile per fare partire la nuova era militare europea. Proprio nel momento di debolezza della Nato osservato nella vicenda afghana e di disimpegno occidentale degli Usa, tutti proiettati in Asia a contrastare l'istinto imperiale cinese.

 

L'ottimismo è di rigore. L'Europa è la zona geografica del mondo che sta avendo il maggiore successo nella lotta contro la pandemia, nonostante la partenza tragica e la mancanza di competenze specifiche date dai Trattati alla Commissione. Che abbia imparato dagli errori recenti? Oggi ha il numero più alto di vaccinati al mondo e vanta pure la migliore ripresa economica (con un tasso d'inflazione più basso di quello statunitense). «Il metodo europeo è vincente», ha detto sorridente von der Leyen, ripetendo più volte la parola «insieme», spesso dimenticata nelle dispute a 27.

 

«L'Europa può fare di più sola», ha aggiunto. E sul quel «sola», c'è stata una pausa. Afghanistan docet. Se vorrà risolvere le sue crisi di vicinato, dall'Africa ai Balcani, l'Europa dovrà cominciare ad arrangiarsi, facendo sempre meno affidamento sull'ombrello militare di un tempo. Non solo. Von der Leyen si è spinta oltre, in una dimostrazione di consapevolezza di come la Cina non sia più soltanto un partner ma anche un rivale strategico: ha parlato della costruzione di un “Global gateway”, cioè una via di accesso globale che riesca a garantire gli approvvigionamenti di cui l'Europa ha bisogno (troppe le mancanze di materie prime in questo momento di ripresa) e che si ponga come alternativa verde e democratica alla “Via della Seta” cinese. Sul tavolo ha posto la questione dei semiconduttori, l'elemento chiave di qualsiasi progetto futuro (dalle auto elettriche al digitale) e di cui oggi c'è grande scarsità: l'Europa deve cominciare a produrli in casa in quantità massicce.

 

Guardando all'interno dei propri confini, von der Leyen ha poi posto l'accento sui giovani, sempre più coinvolti in politica e al centro delle politiche verdi e sociali d'Europa. Lo ha fatto lanciando un programma nuovo, una specie di Erasmus del lavoro, che darà l'opportunità di lavorare per un periodo in un altro Paese dell'Unione, incrociando lingue e competenze. Si chiamerà “Alma”, cioè anima: quella europea, vero filo conduttore del discorso della presidente, e che non può non essere legata al coinvolgimento dei giovani, gli europei del futuro.

 

Meno entusiasmante e più deludente è stata la parte del discorso dedicato alla transizione eco-sostenibile, fino ad oggi l'architrave della legislatura. Come se la Commissione avesse fatto abbastanza. Osato abbastanza. Come se tante delle politiche proposte non fossero invece controverse e non avessero un impatto sociale pesante, che andrà mitigato perché siano adottate da Consiglio europeo e cittadini.

 

Ha invece strizzato l'occhio alle forze di sinistra della sua coalizione quando ha annunciato che l'Europa, innanzitutto potenza commerciale globale, intende interdire l'acquisto di beni frutto del lavoro forzato. Non ha nominato la vicenda degli uiguri, la minoranza etnica dello Xinjiang che la Cina sta diluendo con metodi coercitivi, ma la proposta era chiara. L'Europa è la paladina dei diritti, ed è tempo che questa parte della sua “anima” si rifletta anche nei suoi interscambi, unica maniera per garantire che non verranno erosi in futuro.

 

Rimanendo in tema di diritti ed equità ha sottolineato due punti che sono cari a quasi l'intero parlamento e, a stare all'ultimo sondaggio, anche alla stragrande maggioranza dei cittadini europei: non esiste Europa senza stato di diritto. Tutti devono rispettare le regole. E ogni centesimo del nuovo bilancio europeo dovrà essere destinato sì alla ripresa economica di tutti, ma sempre nel rispetto dello stato di diritto e dei valori fondamentali. Un messaggio cristallino inviato a Varsavia e Budapest, senza bisogno di nominarle. L’Europa di von der Leyen punta a giocare una partita globale. E non può permettersi defezioni interne.