Scenari
Il potere di Vladimir Putin ora vacilla. E si capisce da come si comportano le èlite della Russia
L’escalation del conflitto è stata decisa con i falchi, ma tanto i fautori di una linea ancora più dura quanto la nomenklatura temono di pagare un prezzo troppo alto per l’Ucraina. E lo zar perde consensi
Qualcosa di significativo sta avvenendo nelle stanze del potere di Mosca. Mentre fino ad oggi era quasi impossibile comunicare con funzionari di Stato e imprenditori russi legati a doppio filo col regime, ora cominciano a rispondere al telefono, mandare messaggi su Telegram e rilasciare interviste in forma anonima ai giornali occidentali. La cautela non è venuta meno, ma la cortina sta cominciando ad infrangersi. Cosa ci raccontano queste voci? Che Putin è screditato, debole eppure è ancora molto pericoloso.
La “verticale del potere” – ovvero il sistema di coordinamento tra apparati – sembra essere in crisi. Molti governatori hanno apertamente dichiarato di non avere il denaro per realizzare le promesse fatte dal governo, per aiutare, per esempio, le famiglie dei mobilitati durante questa crisi (il sindaco di Mosca è stato particolarmente critico). L’erosione dell’autorità di Putin passa anche dagli strali lanciati dal fondatore del gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, e dal capo della Repubblica Cecena, Ramzan Kadyrov, contro il ministro della Difesa Sergei Shoigu, politico fedelissimo di Putin, e contro i generali corrotti e il loro “nepotismo”.
Prigozhin e Kadyrov cercano di dettare la politica militare del Paese. Putin ha permesso che il potere dei due signori della guerra crescesse a dismisura e ha reso ufficiale il loro ruolo nell’invasione dell’Ucraina, ma ora paga un prezzo salato. Machiavelli insegna che quando i mercenari vincono le guerre per conto del Principe, presto si sostituiscono a lui. Anche i protagonisti dei talk show come Margarita Simonyan e Vladimir Soloviev attaccano regolarmente il modo in cui viene condotta la guerra. È la prima volta che lo scontro tra elementi chiave dell’élite è così cruento e sotto gli occhi di tutti. In passato, la gestione del potere da parte di Putin consisteva nel fare da arbitro e nell’elargire risorse. Oggi questo ruolo gli riesce sempre più difficile poiché le risorse scarseggiano e le opzioni si riducono ogni giorno. Un rapporto confidenziale dell’intelligence Usa (citato dal Washington Post) riferisce che negli ultimi giorni un membro del cerchio magico ha apertamente criticato il presidente di fronte ad altri interlocutori senza avere, per ora, subito alcuna conseguenza.
L’amministrazione del Paese funziona sempre peggio. Il direttore di una banca statale (intervistato da Moscow Times), ha detto che al governo c’è una «totale mancanza di coordinamento, è un casino», mentre un alto funzionario ministeriale ha riferito al sito Meduza: «Nessuno spiega più nulla a nessuno». Fino almeno al 2018 il presidente si consultava con l’amministrazione statale sulle politiche da perseguire e riceveva consigli e avvertimenti sui costi relativi di ogni proposta. Oggi si circonda di un gruppo ristretto (i capi dei servizi segreti e della polizia, alcuni membri del Consiglio di sicurezza e consiglieri fidati come Dyumin e Mironov), prendendo decisioni che spettano poi ai funzionari implementare, senza copertura finanziaria e programmazione logistica. Dall’inizio della guerra, Putin ha perso ogni interesse verso i temi non militari e il cerchio magico è sempre più ristretto. Ad esempio, la decisione della mobilitazione parziale è stata presa senza alcuna preparazione, lasciando di stucco coloro che dovevano metterla in pratica.
Il dissenso all’interno del regime e del Paese cresce. Un imprenditore ha detto a L’Espresso: «Ho subito perdite ingenti per la contrazione dell’economia e non credo più alle promesse del presidente. Putin non ha una visione del futuro». Secondo Yevgenia Albats, la direttrice della rivista Novoe Vremya che è da poco fuggita all’estero, «almeno il 70 per cento della nomenklatura è contrario alla guerra».
L’approvazione del presidente tra la popolazione è scesa nelle ultime settimane del 6 per cento (dati ufficiali). Sempre in base a sondaggi ufficiali, il 70 per cento dei russi si dichiara «ansioso» rispetto al futuro. Dopo la mobilitazione parziale, si sono diffuse le proteste nelle regioni della Russia. Ma è soprattutto la classe media delle grandi città che teme che i propri figli vengano mandati al fronte e fa di tutto per evitare questa prospettiva. Molti si sono attivati offrendo tangenti agli uffici di reclutamento. Le principali imprese del Paese stanno compilando liste di dipendenti da esentare dal servizio militare (lo stesso stanno facendo gli uffici pubblici): è nato quindi un piccolo mercato di favori e tangenti. Il Guardian ha citato il caso di un deputato virulentemente antioccidentale che ha accompagnato il figlio all’aeroporto, per assicurarsi che lo facessero salire su un volo per Istanbul. Ovviamente, più i russi vanno al fronte, più le loro famiglie verranno informate delle condizioni in cui sono costretti i figli, della corruzione e incompetenza criminale degli ufficiali, delle violenze subite dagli ucraini e dell’odio per gli invasori.
Anche la profonda Russia si renderà conto che non vi è nessun «nazista» da sconfiggere. Chi ritorna avrà anche esperienza militare e può ben andare ad ingrossare le file delle organizzazioni mafiose oppure ribellarsi al regime. Ma non è detto che le difficoltà di Putin spingano il presidente a fare concessioni e ritrarsi, ammettendo la sconfitta. Un funzionario governativo intervistato da Moscow Times pensa che «la mobilitazione adesso è parziale, ma presto diventerà totale e verrà usata l’atomica».
Fonti dell’intelligence inglese sentite da L’Espresso suggeriscono che i russi stanno pianificando una offensiva per la fine di ottobre e il governo di sua maestà sta contemplando di consigliare ai propri cittadini di lasciare il Paese nelle prossime settimane. Kadyrov ha chiesto a Putin di usare l’atomica in Ucraina. D’altra parte, molti militari di carriera stanno facendo trapelare che sono preoccupati per lo strapotere di Wagner e di Kadyrov, per la nomina di Sergei Surovikin (vicino ai mercenari della Wagner) a comandante in capo delle operazioni in Ucraina, e soprattutto per l’ipotesi di un uso della bomba atomica. L’Espresso ha parlato con un alto funzionario del ministero degli Esteri, il quale è in stretto contatto con esponenti dell’esercito. «I militari sono quasi tutti contrari all’uso dell’atomica. È l’ultima carta che il boss può giocare ed è quindi irrazionale suggerire questa opzione». Se un tale ordigno fosse impiegato, ci sarebbe una risposta della Nato che umilierebbe l’esercito e farebbe migliaia di vittime tra gli ufficiali.
Cosa ci possiamo aspettare da questa situazione in continua evoluzione? Lo scontro all’interno dell’élite è aperto e coinvolge da una parte i vertici dei servizi, la guardia presidenziale Rosgvardia e i signori della guerra, e dall’altra l’esercito e pezzi della società civile. Non sappiamo chi vincerà, ma senza dubbio il regime ha i piedi d’argilla.