Ritratto
Il potere di Ursula von der Leyen
La Commissione Ue ha acquisito rilevanza grazie alle emergenze e ora ha davanti a sé le scelte decisive per il futuro dell’Europa e dell’Italia
Ogni volta che l’Unione europea è sul punto di collassare in seguito alle divisioni degli Stati membri, ricircola a Bruxelles la domanda attribuita a Henry Kissinger quando era segretario di Stato degli Usa: «Quale numero devo fare per parlare con l’Europa?». Che poi Kissinger quella domanda dica di non averla mai fatta e, anzi, a suo tempo cercasse di dividere l’Unione per influenzarla meglio, è irrilevante. A mezzo secolo di distanza, ancora in vita sulla soglia dei cento anni, finalmente ha un numero da chiamare: quello di Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Europea, la figura più vicina a una premier comune che abbia oggi l’Europa. Prima donna ad assumere il timone della complessa macchina di Bruxelles, frutto di un inglorioso compromesso tra capi di Stato che nel 2019 hanno ignorato le richieste di rappresentanza del Parlamento Europeo e da questo approvata per soli 9 voti, nel giro di poco più di mezzo mandato è diventata il volto iconico dell’Unione.
Una crisi epocale alla volta. «Le due grandi crisi precedenti, quella dell’Euro del 2011 e poi quella migratoria del 2014 avevano indebolito il ruolo della Commissione e riaperto l’involuzione verso un’Europa intergovernativa», dice Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto di Affari Internazionali e autrice di “A green and global Europe”: «Queste ultime due, pandemia e guerra, invece stanno rafforzando i poteri della Commissione e ridando slancio a un’Europa interdipendente». Grazie a due fattori: la portata epocale degli eventi esterni, che nemmeno la Germania è riuscita a gestire in solitaria in un mondo sempre più basato sul potere e sempre meno sulle regole, e la capacità della Commissione di trasformarli in uno strumento con cui rafforzare le sue prerogative e incrementare il suo bilancio. Ma, elemento spesso sottovalutato, un budget comune più grande non è solo d’interesse per Bruxelles: lo è anche per l’Italia. I destini di Bruxelles e di Roma viaggiano sugli stessi binari, indipendentemente da chi guidi le rispettive locomotive.
Quando la Commissione era in difficoltà, come durante la crisi dell’Euro, anni in cui la famigerata Troika mise piede sul Vecchio Continente e ogni Stato decise di andare per conto suo senza offrire sostegno comune, l’Italia fu ad un passo dall’andare a gambe all’aria. Oggi che la presidente dorme addirittura in un mini appartamento costruito per lei all’interno del Berlaymont (il palazzo della Commissione) così da essere presente ad ogni accadimento, e la Commissione gestisce un budget sempre più ampio e ambisce ad una visione strategica e geopolitica del suo mandato, l’Italia ne beneficia ampiamente. Tanto che le proposte economiche italiane, seppure in ritardo, sono attentamente considerate. Con i nostri giganteschi vincoli di bilancio, «abbiamo bisogno dei soldi tedeschi», sottolinea Tocci: «L’unica via di accesso è quella che passa per la Commissione europea e per la sua capacità di spesa».
Scoppiata a soli 100 giorni dall’inizio del suo mandato, la pandemia è stata il primo, inaspettato banco di prova di Von der Leyen. Dopo un primo momento di incertezza, quando sembrava che gli interessi economici tedeschi avrebbero spezzato l’Europa, iniziando da un’Italia già in ginocchio, Von der Leyen ha rilanciato sull’iniziativa franco-tedesca a favore di un inedito indebitamento comune con cui finanziare la ripresa delle economie più colpite dal virus aggiungendo altri 250 miliardi di euro ai 500 messi sul tavolo da Angela Merkel e Emmanuel Macron. Poi ha gestito in semiautonomia sia l’acquisto e la distribuzione dei vaccini, coadiuvata dalla responsabile della direzione generale sanità, l’italiana Alessandra Gallina, sia l’implementazione del Green pass, il cui algoritmo è stato sviluppato da un altro italiano, Roberto Viola, direttore generale della direzione generale Connect. Il tutto sebbene i Trattati non dessero deleghe a Berlaymont in materia di sanità.
Ma l’emergenza (e il successo nel risolverla) ha creato de facto la funzione e stabilito un precedente. Non ancora chiusa quella che fino all’anno scorso era considerata la crisi peggiore dell’Europa contemporanea, la Russia ha invaso l’Ucraina, provocando il più grande sconvolgimento all’architettura della sicurezza europea dalla Seconda guerra mondiale. Ancora una volta la Commissione si è incaricata di gestire la situazione, mediando e coordinando otto pacchetti di sanzioni economiche contro la Russia e l’assistenza militare all’Ucraina, mentre gli Stati membri organizzavano un riarmo concordato.
Ursula von der Leyen, ex ministra tedesca della Difesa, con il suo caschetto biondo pulcino e le giacchette monocolore strette intorno alla figura minuta, è così diventata non tanto il volto della Vecchia Europa ma addirittura quello della “Zeitenwende”, della “Svolta epocale” dell’Europa. Una svolta di proporzioni ben maggiori di quella già enorme che lei si era imposta a inizio mandato con gli obiettivi della transizione ecosostenibile e digitale.
Quando nelle ultime settimane, con lo scoppio del caos sul mercato dell’approvvigionamento energetico e con la fiammata dell’inflazione, l’attivismo della Commissione è sembrato venire meno, anche le sorti dell’Italia hanno preso una piega poco felice. Il tanto atteso tetto al prezzo del gas proposto in primavera dal premier Mario Draghi è stato prima snobbato, poi deriso, infine rallentato. E nonostante le riserve di gas al 90 per cento, l’Italia soffre. Troppo alti i prezzi del gas, insopportabile l’inflazione, solo parzialmente compensata dagli interventi consentiti da un debito pubblico che ha superato il 150 per cento della ricchezza nazionale.
Il coordinamento comune europeo a Roma sembrava l’unica, indispensabile soluzione. Ma Bruxelles nicchiava mentre questa volta la Spagna, scollegata energeticamente dal resto d’Europa e campione delle rinnovabili, seguiva regole e modalità a noi lontane. Con il volgere dell’estate, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si era messo di traverso: lui il tetto al gas proprio non lo voleva, in nessuna sua forma. Avrebbe messo a rischio il rifornimento certo di una Germania gas-dipendente che ad agosto era stata disposta ad acquistarlo anche a 300 euro al megawattora (un prezzo che probabilmente non rivedremo più) e magari l’avrebbe ancora una volta costretta a sussidiare le esigenze dei suoi vicini. Forte di un’economia-formica, Scholz ha invece varato all’inizio di ottobre, tra lo sconcerto generale, un piano di sussidi domestici da 200 miliardi di euro, lo stesso valore del Pnrr italiano: un’impresa finanziariamente impossibile per il resto d’Europa. Von der Leyen, che ormai guarda con fiducia ad un secondo mandato nel 2024, a contrariare uno Scholz alle prese con due alleati di governo, i verdi e i liberali, in perenne scontro su tutto, e con le elezioni regionali alla porte, non ci pensava proprio.
Ha bisogno di lui per una rielezione che non è scontata, visto che lei è di credo popolare e lui socialista, e non di un Mario Draghi che, pur essendo stato fin qui cruciale nelle decisioni europee, sta imboccando la porta d’uscita dalla politica.Le critiche non si sono fatte attendere: se durante la gestione del Covid erano dirette alla sua mancanza di trasparenza nelle decisioni, prese dentro la cerchia dei suoi collaboratori capeggiati dall’analista politico tedesco Bjorn Seibert, e alla scarsa condivisione istituzionale, adesso sono dirette all’eccessiva “germanofilia” di una presidente che dovrebbe essere di tutti, e non solo del Paese più grande ed economicamente più forte.
«Lei ha subito Scholz, più che esserne la lunga mano, e ha dovuto congelare le sue politiche attive», smorza i toni una fonte del Consiglio europeo. In ogni caso, alla fine perfino la Germania non può permettersi di decidere in completa autonomia. «Per un Paese europeo è cruciale sapere gestire le interdipendenze», sottolinea Carlo Altomonte, professore di economia all’Università Bocconi. E infatti il giorno dopo le elezioni regionali, il cancelliere ha aperto alla costruzione comune di un tetto al prezzo del gas.
Von der Leyen ha immediatamente fatto sapere che nei prossimi giorni presenterà le proposte (già pronte) della Commissione su come ottenere quel tetto tenendo conto delle differenze enormi tra i mercati energetici europei, senza mettere in pericolo i rifornimenti e disincentivando al contempo il consumo, così che i capi di Stato possano riuscire a concretizzare almeno una parte della soluzione nel Consiglio europeo del 20-21 ottobre.«L’Unione e i suoi Stati membri devono fare una scelta: scegliere un futuro comune o osservare il continente mentre scivola nell’irrilevanza e nella frammentazione, perdendo la capacità di difendere i propri interessi», scrivevano in giugno gli analisti dello “European Policy Center” a proposito della prima metà del mandato della Commissione von der Leyen: «Ma andare avanti sarà possibile solo se la Commissione avrà il coraggio di mettere sul tavolo proposte che fino al giorno prima erano tabù». Per la gioia dell’Italia.