Lutti
Bonifacio Pontonio, l’artista che ha regalato il suo entusiasmo al mondo visivo
Creativo, graphic designer e maestro, “Boni” si è spento a 74 anni. Il ricordo di chi è stato formato dai suoi insegnamenti, di arte e di vita
Bonifacio Pontonio, creativo e graphic designer dai mille talenti, è morto all’ospedale di Perugia nella notte tra sabato e domenica.
Nato nel 1948 in provincia di Foggia, Bonifacio Pontonio - “Boni” per tutti - lasciò presto la Puglia assecondando uno spirito curioso che non lo abbandonerà mai e che riuscirà a trasmettere a intere generazioni di grafici che ha formato attraverso le sue lezioni. Insegnamenti professionali ma anche - soprattutto, per molti di noi - di vita. L’amore per la grafica, per l’arte e per la sperimentazione era alla base del suo lavoro e della sua esplosiva personalità.
Esordì nel mondo dei fumetti - con “Supergulp” - alla fine degli anni ‘60. Poi spostò la sua attenzione sulla grafica pura e sull’identità visiva delle aziende. Divenne un grande esperto in questo campo della comunicazione e a lui si affidarono multinazionali come il Gruppo Engineering o come l’agenzia di stampa Ansa, di cui creò e curò l’immagine per tre decenni. E ancora Eni, Confindustria, Alitalia, Rai. Nel 1979 progettò il primo quotidiano a colori in Italia, “Il Giornale del Sud”, diretto da Giuseppe Fava.
Visse l’avvento dei computer Apple nel mondo della grafica con enorme entusiasmo e seppe da subito trarne i vantaggi e le nuove, infinite possibilità di applicazione e sperimentazione creativa. Di natura dolcissima, sul lavoro era decisionista e chirurgico, pronto a difendere fino allo stremo le sue scelte grafiche senza mai scendere a facili compromessi.
L’accostamento di colori forti e la convivenza di caratteri graziati e bastoni - ricordo che per alcuni anni il Bodoni insieme all’Helvetica Black divennero la sua inequivocabile firma - hanno reso il lavoro di Bonifacio Pontonio potente e riconoscibile.
Alla fine degli anni ‘80, quando cominciai a studiare grafica, Boni fu mio professore e il rapporto proseguì anche dopo gli anni di formazione, quando sulla carta eravamo colleghi ma dentro di me lui era sempre il maestro e io il suo eterno studente.
Le lezioni di Bonifacio non finivano allo scadere dell'orario scolastico. Subito dopo ci si spostava nel mitico studio di via Farini a Roma dove era capace di tirare fuori dai suoi archivi - mentali e reali - ricordi, disegni, progetti stampati o mai realizzati che ti facevano credere che avesse il doppio dell’età, per quanti erano. Le giornate terminavano alla Trattoria “Nuova Stella”, sotto lo studio, dove tutti lo conoscevano e dove si lasciava andare alle memorie più intime e giovanili. I viaggi a Londra negli anni ‘70, il festival della poesia di Castel Porziano, i primi film del suo amico e conterraneo Fernando Di Leo, regista di “Milano Calibro 9” e di tanti “poliziotteschi”.
Amava i suoi studenti tutti, quasi fossero un’entità unica che aumentava di anno in anno, di decennio in decennio, e a loro si dava senza riserve. Insegnava il rigore e la serietà professionale: tutto andava progettato al meglio, che si trattasse di un calendario (quanti ne ha creati, l’ultimo per il 2021), di un logomarchio o di un magazine. E insegnava soprattutto l'entusiasmo per una professione in cui si era imbattutto quasi per caso e che poi era divenuta parte fondamentale e imprescindibile della sua natura.
Negli ultimi anni, oltre all’immancabile insegnamento, Bonifacio si è dedicato alla fotografia e all’arte creando opere digitali dai colori forti - ispirate all’amato artista Derek Jarman - a chiudere un percorso che ha contemplato tutti i mezzi della comunicazione visiva e che ha vissuto con anarchia e poesia.