«In questi due anni la pandemia è stata una pena aggiuntiva per chi l’ha passata negli istituti penitenziari. Per questo servirebbe aumentare i giorni di liberazione anticipata». La proposta del garante nazionale

Si è chiusa alla fine del mese di marzo la fase di emergenza pandemica. Due anni pesanti per tutte e tutti noi e ancor più pesanti per chi li ha passati ristretto in luogo di privazione della libertà. Nelle carceri italiane il Covid-19 è stata un’emergenza che si è sommata ad altre criticità, rendendo la quotidianità ancor più difficile da sostenere. È stato a tutti gli effetti un aggravio dell’afflizione della pena detentiva che è essenziale riconoscere. La pena, infatti, consiste nella privazione della libertà e ogni eventuale elemento aggiuntivo, se impropriamente inflitto, deve essere interrotto e perseguito, se invece motivato da circostanze e legalmente attuato, deve prevedere opportune compensazioni.

 

Da qui la necessità di prevedere, per periodi trascorsi in particolari condizioni di maggiore afflittività, quali quelle vissute nell’ultimo biennio, un aumento dei giorni di liberazione anticipata previsti per i semestri, valutati positivamente dal magistrato di sorveglianza rispetto alla «partecipazione all’opera di rieducazione».

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Partiamo col dire che in carcere l’isolamento sanitario è stato ed è ancor più difficoltoso a causa della situazione di affollamento che affligge le strutture del nostro Paese, in modo disuguale anche all’interno dello stesso Istituto e spesso con picchi di difficile vivibilità. Distanziare e separare le persone detenute ha significato l’utilizzo di aree dismesse e non adeguate, con tutti i disagi del caso. Tutto ha pesato enormemente sulle spalle del personale penitenziario – in modo particolare della Polizia penitenziaria – che si è dovuto sobbarcare una situazione di estremo disagio e difficoltà, soprattutto nelle fasi più severe del contagio: si pensi che al 30 gennaio 2022 i detenuti positivi erano 4.060 su 54.372 (circa il 7,5 per cento). 

 

In più, l’emergenza sanitaria, oltre a limitare le occasioni di socialità, ha drasticamente ridotto i colloqui con i familiari nel corso dei due anni appena trascorsi. Occorre soffermarsi un attimo su questo punto: i colloqui in carcere sono la vita, un indispensabile momento di continuità con gli affetti e con tutto ciò che sta fuori dal carcere. Negarli significa infliggere al detenuto un pena aggiuntiva, anche se va dato atto della positività dell’impiego di smartphone e di altre ipotesi di collegamento visivo remoto che certamente dovrà continuare a esistere anche passato questo periodo.

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In ultimo, ma non per importanza, la pandemia ha reso vuoto il tempo dei detenuti e delle detenute. Sono mancati i volontari, spesso gli insegnanti, gli educatori; sono mancati i colloqui diretti con i magistrati di sorveglianza e il prosieguo dei progetti faticosamente avviati. Le figure che riempiono i corridoi del carcere e le giornate delle persone ristrette: quell’interscambio tra dentro e fuori fatto di corsi di formazione, momenti di confronto, arte, teatro, cultura. Le limitazioni dovute all’emergenza pandemica hanno innalzato muri invisibili che si sono sommati a quelli fisici e si sono rarefatte le essenze costituzionali del ruolo rieducativo delle pene, perdendo spesso anni di lavoro e di progressi. Il tempo vuoto è una condizione tanto odiosa quanto illegittima per chi si trova in carcere.

 

Per questi due anni di aggravio dell’afflizione detentiva è dunque necessario riconoscere a chi ha sofferto carenze strutturali e di organico elementi di ristoro in termini di benefici. Questo tempo vuoto che i detenuti sono stati costretti a trascorre deve in qualche modo compensato, la proposta del Garante nazionale è quella di corrispondere un adeguato aumento dei giorni di liberazione anticipata. Ciò allevierà indirettamente anche il lavoro di chi in carcere ha continuato a operare in questo difficile periodo, proprio per la conseguente e pur limitata riduzione di numeri che potrà determinare.

 

*Mauro Palma è garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale