L’insegnamento delle pratiche green è previsto dalle norme. Che nessuno applica. Tra professori non formati e conflitti di interesse. Fridays for Future: «Bisogna far presto». L’ex ministro Fioramonti: «Quando mi sono dimesso il piano è finito nel cassetto per l’incapacità di mettere al centro il bene del Paese e non i giochi partitici

Il 5 novembre 2019 il New York Times parlava di noi. Dell’Italia che diventava il primo Paese al mondo a rendere obbligatorio l’insegnamento alla sostenibilità, inserendolo come concetto guida dell’educazione civica. Eravamo i primi della classe, con il mondo che ci osservava per replicare il modello. Modello che avrebbe potuto cambiare la società e il modo di fare scuola ma che ad oggi, se si fa una ricerca Google, sembra non aver generato molto oltre al boom della notizia iniziale. È davvero così?

 

Da cavallo di troia…
Come indicato dalla legge dell’agosto 2019, da settembre 2020 tutte le scuole hanno inserito un’ora/settimana di educazione civica. La legge sarebbe dovuta diventare realtà tramite un’implementazione sistematica, con decreti ministeriali, formazioni di insegnanti, sviluppo di curricula. «Avevamo un piano», spiega Lorenzo Fioramonti, ex Ministro del Miur. «Stavamo per avviare, a gennaio 2020, 6 mesi di formazione – ogni scuola avrebbe avuto un coordinatore per l’educazione civica. Stavamo creando linee guida per l’insegnamento alla sostenibilità, intesa come concetto sociale, ambientale ed economico – sfere interconnesse che richiedono interdisciplinarietà nell’insegnamento».

Tramite questa legge, Fioramonti aveva però un doppio obiettivo. Portare il concetto di sostenibilità nelle scuole e, allo stesso tempo, mettere gli studenti al centro, come portatori di idee e attività facilitate e non impartite dai docenti. Doveva essere una rivoluzione nel modo di insegnare: «Per me era un cavallo di troia da cui smuovere il sistema scuola in sé», continua.

 

…a dossier in un cassetto
«Ho però dato le dimissioni a fine 2019 e il piano è finito in un cassetto: niente decreti o formazioni», dice amareggiato Fioramonti. «Certo, c’è stato il Covid-19, ma c’è stata anche la volontà politica di chi è venuto dopo di me di discontinuare il progetto. Non perché non servisse, anzi, ma perché lo avevo fatto io. È intervenuta la solita incapacità di mettere al centro il bene del Paese e non i giochi partitici. L’incapacità che mi aveva spinto alle dimissioni».

 

E così, con il piano in un cassetto ma la legge approvata, le scuole hanno introdotto l’educazione civica senza il supporto e la visione che solo il Miur poteva (e doveva) dare – il tutto nel mezzo di Dad e quarantene.

 

«Non c’è stata fino ad oggi grande attenzione sui temi della sostenibilità», spiega Barbara Floridia che, diventata sottosegretaria del ministero dell’Istruzione (Mi) nel governo Draghi, ha rispolverato il piano. «Per questo ho strutturato Rigenerazione Scuola, un piano nazionale sistemico che dà strumenti, risorse e materiale didattico alle scuole e potenzia l’educazione ambientale prevista all’interno dell’educazione civica. Serviva accelerare questo processo, ormai improcrastinabile e chiesto dai giovani. Con questo piano abbiamo dato loro voce e messo a disposizione una rete di 300 esperti – la green community – a cui le scuole possono appoggiarsi per accelerare l’insegnamento alla sostenibilità mentre formiamo gli insegnanti», dice entusiasta. In base ai dati del Mi, 150 scuole hanno partecipato alla prima settimana della rigenerazione, oltre 3.000 hanno ricevuto finanziamenti verdi e sono nati 28 licei con la curvatura per la transizione ecologica. Insomma, il Mi ha ripreso in mano il dossier, ma i dati parlano chiaro: ci sono iniziative di scuole o insegnanti virtuosi, progetti pilota, ma non si tocca ancora il livello sistemico, delle 60 mila e non delle 150 o 3.000 scuole.

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Quello che serve? Una svolta sistemica e innovativa
«Per noi ragazzi è chiaro: manca una visione di insieme», dice Cecilia Savio, attivista di Fridays for Future e studentessa al liceo scientifico di Chieri. «Ogni prof fa come gli pare, mancano linee guida, un coordinamento della materia, e così l’educazione alla sostenibilità è dispersiva, ha poco impatto». In quanto membro della commissione ambiente della scuola, le chiedo se conosce Rigenerazione Scuola: «No, e non ne ho mai sentito parlare».


Parliamo degli ostacoli: «Gli insegnanti non sono abituati a pensare alla sostenibilità». Un esempio? «Noi studenti mettiamo distributori d’acqua e loro continuano a comprarla in bottiglia. Invece di supportare il blocco delle macchine davanti alla scuola si fanno dare l’eccezione per arrivare in macchina fino in classe. Ci scoraggiano ad andare alle manifestazioni. E poi hanno una visione limitata su cosa vuol dire sostenibilità: l’affrontano solo dal punto di vista scientifico quando invece bisogna discuterne da quello etico, politico, sociale. Sono i primi a non capire perché serve un approccio interdisciplinare».

 

Passiamo quindi alla visione di Fioramonti, del cavallo di troia per cambiare il modo di insegnare. «Magari fosse così!», dice netta. «Gli insegnanti non sono abituati a darci un ruolo attivo, vedono l’educazione civica come un’altra lezione al banco. Certo, ci sono le eccezioni, i prof che si formano e ci rendono protagonisti, ma lo dovrebbero fare tutti, non in pochi. A noi studenti, fatta così, non serve l’educazione civica, quando invece dovrebbe essere il fulcro della scuola». Se avesse la bacchetta magica per riformare il tutto, Savio partirebbe da qua: «Una figura formata per coordinare l’educazione civica di ogni classe. Un approccio multi-disciplinare, integrando lezioni, progetti e esperti anche esterni. Ma enti neutri – non l’Eni, che ad oggi forma insegnanti. Non capisco come possa essere accettato questo conflitto di interessi dalle istituzioni o da noi studenti», mi dice infastidita dal caso Eni, che in effetti pone un vero dilemma sull’indipendenza e la legittimità di chi controlla l’informazione. «E poi vorrei che noi giovani fossimo al centro: siamo più sensibilizzati rispetto ai prof ed è più facile parlarne tra ragazzi. Abbiamo lanciato a Chieri un’iniziativa di dibattito tra giovani. Serve che la scuola incoraggi e non osteggi iniziative simili».

 

Dalle interviste emergono due parole chiave: sistematicità e cambiamento culturale. Anche Floridia concorda sull’ostacolo del modello educativo. «Il Piano serve anche a questo: bisogna sganciare gli insegnanti dal vecchio modo di fare scuola, accompagnarli verso nuovi modelli didattici e aiutare i giovani a trasformare la loro sensibilità ambientale in competenze green».

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Nel contempo, le conseguenze del cambiamento climatico sono tangibili e i rischi per il futuro enormi - visti i ritardi della risposta politica: il tempo ci rema contro. Ogni anno che passa senza un focus sulla sostenibilità corrisponde a decine di migliaia di studenti a cui viene tolto il diritto di avere le competenze necessarie per la transizione ecologica. Ogni mese che passa si perde tempo prezioso per sensibilizzare insegnanti, studenti e, tramite loro, famiglie ad un modello di consumo diverso. Ogni giorno che passa è un giorno in più in cui troppi giovani continuano a soffrire, spesso in solitudine, di eco-ansia.

 

L’educazione alla sostenibilità è l’arma indispensabile per cambiare rotta. La volontà di accelerare c’è nelle istituzioni e tra i ragazzi, ma bisogna rendere questa svolta sistemica perché abbia un impatto. Formando gli insegnanti alla sostenibilità e ad un nuovo approccio pedagogico, perché diventino promotori e non un ostacolo al cambiamento. Rendendo tutte le 60 mila scuole verdi – a partire da (non, per arrivare a) quelle nelle periferie e aree interne, dimenticate dal sistema-Paese ma al centro della crisi climatica. Ribadendo l’importanza e le regole sull’indipendenza di chi sviluppa curricula o trainings. E dando centralità ai bambini e ai giovani, i veri leader di questa svolta, che solo partendo dai banchi potrà arrivare nelle nostre case, comunità, istituzioni e aziende.