Guidava i jet di linea, ora pilota un piccolo bimotore che è “l’occhio” di Sea Watch. Sorveglia dall’alto i viaggi dei barconi e gli interventi delle motovedette dei libici. Che ora gli negano l’accesso allo spazio aereo per agire indisturbati (foto di Alessio Mamo)

Tra le nuvole che vegliano distratte sul Mar Mediterraneo, un velivolo di piccole dimensioni (nove metri di lunghezza per tre di altezza) si aggira a bassa quota alla ricerca dei cosiddetti «target». Si chiama Seabird 2 e al suo comando, il pilota Olivier Wilmart, sfreccia a 1.500 piedi di quota, 450 metri di altezza. Per quarant’anni ha guidato molto più in alto, tra 30.000 e 40.000, come pilota Air France. Il suo compito era portare a destinazione centinaia di passeggeri ogni giorno. Adesso che è in pensione, indietro sull’isola di Lampedusa, deve riportare il suo co-pilota, la spotter (l’osservatrice) e una quarta persona della squadra (nell’aeroplano non possono salire più di quattro persone, pilota compreso). Ma è volando nel cielo del Canale di Sicilia verso la Libia che ha compiuto le sue missioni più difficili che l’intera carriera con l’Air France non gli aveva mai presentato: individuare barche in pericolo, ovvero salvare vite nel tratto di mare con il numero di morti più alto al mondo. Il Mar Mediterraneo.

«Ho iniziato a volare quando avevo vent’anni. Oggi ne ho sessantadue», racconta Olivier dopo il decollo, durante il quale ha chiesto ai compagni di viaggio a bordo di non fiatare per tenere alta la concentrazione. «Quando sono andato in pensione, sono entrato in contatto con Humanitarian pilot initiative (Hpi) che lavora in collaborazione con l’organizzazione Sea Watch nel Mediterraneo. Ho deciso di mettere le mie competenze a disposizione di una nobile causa». Pur avendo guidato in oltre 20.000 voli Air France per medie e lunghe distanze, ogni singola volta che lascia l’aeroporto di Lampedusa sul Seabird «è una grandissima sfida». «Devo stare attento a tutto: dalla parte amministrativa a quella tecnica, fino alla benzina da mettere a Malta prima della missione», continua, guardando il monitor al centro della cabina di comando.

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Nell’ultimo anno e mezzo Olivier ha volato nel Mediterraneo per trenta missioni, dieci settimane in totale tra Lampedusa, Malta e sopra le coste libiche. Come lui, altri piloti volontari da tutta Europa si sono alternati ogni settimana dell’anno per non lasciare solo alle navi di soccorso il compito di supportare i richiedenti asilo in viaggio, in fuga dalla Libia. Solo nel 2021 sono morte 1.553 persone in quel tratto di mare, secondo le Nazioni Unite. Dall’inizio del 2022 almeno altre 530 persone hanno perso la vita. La prima settimana di aprile, riporta Alarm Phone, il telefono di allarme per i migranti in viaggio in mare, ci sono stati quattro naufragi in quattro giorni. Si contano meno morti quando i dispersi sono molti di più e si riesce a stabilire un numero solo approssimativo mettendo insieme le testimonianze dei sopravvissuti e dei familiari che chiedono dei loro cari. Una strage che va avanti da decenni senza che venga riconosciuto il diritto a un viaggio sicuro e legale. Per questo Olivier non ha esitato un attimo.

All’inizio di marzo però, durante una missione di volo di Seabird 2, le autorità libiche hanno notificato via radio il divieto di proseguire nella loro «regione di informazioni di volo» o Fir secondo l’acronimo inglese, lo spazio aereo la cui competenza di ogni autorità è stata sancita dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile. In questo caso corrisponde alla zona di ricerca e soccorso libica in mare. Al momento in cui scriviamo, i piloti non sono riusciti a stabilire se con Seabird riusciranno ancora a volare di fronte le coste libiche, possono spingersi solo in area maltese.

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Fino a quel messaggio radio, Olivier e la sua squadra hanno seguito tutto da lassù, dirigendosi verso le barche in pericolo, secondo le segnalazioni ricevute. Chiedendosi ad ogni barca vuota: sono stati respinti illegalmente dalla Guardia costiera libica? O è la prova dell’ennesimo naufragio? In ogni caso, al pilota sembra di arrivare sulla scena di un crimine. Mentre fa dei giri intorno al target (le barche individuate) dietro di lui una delle spotter a bordo, Sophie, per un attimo scosta dagli occhi il binocolo e impugna la macchina fotografica. Dai giubbotti di salvagente visibili sulla barca e attorno tra le onde, pare che siano stati portati via. Non soccorsi, altrimenti viaggerebbero sicuri verso la Sicilia. Portati indietro in Libia, a tutta velocità.

 

Ed è dal cielo che Seabird ha testimoniato questi respingimenti illegali. «A volte cerchi una barca per ore, poi la trovi, sembra in buone condizioni, poco dopo la cosiddetta Guardia costiera libica è già arrivata per portarli indietro: è la perdita della speranza», dice Olivier. Come vedere un ladro che corre via col proprio bottino: una motovedetta grigia che viaggia a tutta velocità. «Superano il limite di velocità consentito in mare», aggiunge Eike, co-pilota e volontario di Seabird. «Questo fa parte dei trattamenti inumani e degradanti che sappiamo compiersi in Libia, non vengono risparmiati neanche in mare: i migranti dopo giorni in una barchetta in pericolo stanno malissimo viaggiando a quella velocità, aumenta la paura, è ancor più traumatico. Uno dei piloti ha definito i libici in mare come degli squali: veloci ed efficienti». Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), la guardia costiera libica ha già intercettato e respinto più di 3.000 migranti quest’anno. L’anno scorso, più di 32.000 migranti sono stati riportati indietro. Una volta in Libia, sono sottoposti ad abusi e maltrattamenti nei centri di detenzione gestiti dal governo e dalle milizie.

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Nel cielo si apre e chiude il sipario delle nuvole sul sole. A tratti il sole dora la distesa di mare. Poco oltre cambia la luce: la tavola di mare sembra una enorme coperta termica argentata. Proprio come quelle che dovrebbero indossare le persone soccorse, i salvati. Dai finestrini del Seabird 2, la schiuma prodotta dalle onde, osservata per ore da dietro il binocolo, ad un certo punto diventa braccia. Ogni onda potrebbe essere un uomo che si sbraccia: è un’illusione ottica, ma ogni dubbio di una possibile barca va segnalato. Anche un puntino nero, quasi impercettibile. Vale la pena avvicinarsi e verificare. Quel minuscolo puntino nero è effettivamente una barca: otto persone, sembrano viaggiare senza problemi. Ma meglio tenere d’occhio la loro posizione, cominciare a lanciare la segnalazione. Potrebbero essere presto in pericolo. Eike, come Olivier, è stato testimone di un numero enorme di naufragi, persone in acqua che scompaiono. È per questo che raccomanda sempre a tutti di pulire perfettamente i finestrini dell’aeroplanino: «I nostri occhi sono necessari per salvare potenzialmente centinaia di persone».

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Grazie al nuovo Seabird 2 con due motori, la missione può durare fino a sette ore e mezza e riesce a coprire un’area di circa 27.000 km², il doppio rispetto a Moonbird, il precedente aeroplano gestito da Hpi e Sea Watch che volava da Malta. Mentre continua il volo e la ricerca spostandosi sempre più a sud, Olivier racconta le sue prime missioni. «Durante la prima missione nessun caso, abbiamo volato per ore e siamo tornati indietro. Nella seconda invece ce n’erano dodici. È stato difficilissimo». Uno shock che ha colpito il pilota in pensione. «L’impatto emotivo è più forte di quello che potessi immaginare. Tu sei in alto, protetto, ti avvicini, a 150 metri di altezza. Ma le persone sono in mare. Cosa possiamo fare?»

Per fortuna però quest’ultima barca con otto persone avvistata viene raggiunta da Sea Watch che è riuscita ad arrivare prima dei guardacoste libici. Sono poche persone, il trasbordo dalla barca al battello gonfiabile, il rhib, dura una decina di minuti. Seabird 2 sa che adesso saranno in buone mani, può volare oltre. Di fronte, c’è l’orizzonte di cielo sabbioso della Libia, sulla costa da cui partono i migranti. Dietrofront verso nord, si incroci in direzione opposta un’altra motovedetta libica che sbatte sulle onde violentemente, carica di circa sessanta persone. Come sempre, oltre i limiti di velocità. «Forse la nostra presenza previene dei possibili massacri. Lo scorso giugno siamo arrivati sopra una barca e abbiamo visto che i libici sparavano ai migranti. Appena ci siamo avvicinati hanno smesso», dice Olivier, di ritorno verso Lampedusa. Forse per questo le autorità libiche non vogliono più sulle loro teste gli occhi indiscreti dei piloti umanitari. «In questi anni mi sono convinto che la parte fondamentale del nostro lavoro è la documentazione, raccogliere prove dei crimini. Sento che ogni singolo volo può fare la differenza».

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Seabird 2 lascia il cielo e riscende verso Lampedusa. Di nuovo il pilota chiede il silenzio in cabina per l’atterraggio. Toccata terra, Olivier esclama: «Un’altra giornata miracolosa». Una vecchia battuta tra piloti, spiega, che dopo decenni in volo si stupiscono della meraviglia di volare e ritornare sani e salvi. Oggi spera di vedere sani e salvi i migranti in mare. A dispetto di tutta la sua carriera, questa volta Olivier è serio.