Analisi
Nel Regno Unito post Boris Johnson la ricetta dei conservatori non cambia: meno tasse e meno welfare
I candidati che puntano a succedere al primo ministro sono tutti d’accordo sulle ricette economiche da adottare. Ma la politica dei tagli non aiuterà la crescita
Il Regno Unito ha assistito esterrefatto alle convulsioni degli ultimi giorni del governo Johnson. Dall’inizio di luglio fino alle sue dimissioni da leader del partito conservatore, 63 tra ministri e sottosegretari si sono dimessi, tra cui il ministro dell’Economia, Rishi Sunak, e quello della Salute, Saijd Javid. Johnson ha cercato di rimanere in sella fino all’ultimo, nominando ministri che si dimettevamo il giorno dopo l’investitura (come quello dell’Istruzione). Si è paventato un possibile intervento della monarca per sbloccare la situazione. Johnson ha comunque creato un cambiamento delle norme non scritte della politica inglese: è tradizione che dopo le dimissioni da leader del partito, seguano anche quelle dal governo e la immediata uscita di scena. Oggi non è più così: Johnson rimane primo ministro per gli affari correnti fino alla scelta del nuovo leader del partito ai primi di settembre. La sua strategia consiste nel cercare di influenzare il corso degli eventi e aiutare la sua candidata preferita, l’attuale ministra degli Affari esteri Liz Truss.
Tutte le principali figure politiche legate a doppio filo a Johnson hanno già espresso il loro appoggio per la ministra, come ha fatto il quotidiano dell’establishment The Times. Il candidato da battere sembrerebbe essere Rishi Sunak, eppure questi non sembra essere così benvoluto dalla base del partito (che dovrà ratificare la scelta fatta dai parlamentari). Penny Mordant, ministra del Commercio, molto critica verso Johnson e su posizioni abbastanza progressiste, appare come la preferita dei membri del partito in base ad un sondaggio pubblicato da Conservative Home. In ogni caso, i candidati, per ora, sono dieci, un gruppo foltissimo che mostra come il partito sia diviso su chi debba essere il futuro leader. Vi è qualcosa che però accomuna tutti i candidati, con la parziale eccezione di Rishi Sunak: tutti si dichiarano favorevoli ad abbassare le tasse e tagliare la spesa sociale da subito. Vogliono tagliare la national insurance, una tassa che pagano tutti i lavoratori che guadagnano più di 184 sterline a settimana; ridurre le tasse sulle imprese al 15 per cento; tagliare le tasse sul reddito, l’iva e l’accisa sul carburante delle auto; e ridurre le spese sociali. I candidati fanno a gara ad incorporare le proposte di tagli degli avversari e aggiungerne di nuovi.
L’impatto economico di tagli generalizzati alle tasse (come ha sostenuto l’economista Gemma Tetlow dell’Institute of government) avrebbero solo l’effetto di aumentare la domanda interna, generare inflazione e costringere la Banca d’Inghilterra ad alzare i tassi d’interesse. Non avrebbero quindi alcun impatto nel ridurre gli effetti della crisi. La maggioranza degli economisti ha ammesso che la riduzione generalizzata delle spese di per sé non aumenta la crescita. Si potrebbe avanzare una riforma del sistema fiscale, agendo ad esempio in maniera progressiva, tassando le rendite e tagliando le tasse per gli strati più in difficoltà, ma nessuno si sogna di adottare questa piattaforma. Inoltre, la popolazione del Paese sta invecchiando e le spese sanitarie e pensionistiche sono destinate a salire: gli uffici del governo predicono che le spese sanitarie in rapporto al Pil aumenteranno dal 9,1 per cento di oggi al 13,3 per cento nel 2061-62; i costi per la protezione degli adulti vulnerabili dall’1,2 per cento al 2,3 per cento, e le pensioni dal 5 al 7,3 per cento. Le spese totali per sanità e anziani aumenteranno dal 26,8 al 33,7 nello stesso periodo. Come sarà possibile pagare questo conto? Non dimentichiamo che anche le spese militari crescono.
Altri temi cruciali sono scomparsi. Il programma di “livellamento sociale” introdotto da Johnson per ridurre le diseguaglianze regionali e offrire opportunità alle aree più depresse, le stesse che hanno votato per i conservatori alle ultime elezioni nel nord del Paese, è stato dimenticato. Infine, nessun candidato mette in discussione la Brexit oppure le politiche illegali di deportazione degli immigrati, e nessuno spiega come intende risolvere il problema dell’Irlanda del Nord, o del cambiamento climatico.
Il partito conservatore insomma ignora del tutto le sfide che attendono il Paese e spera di fare presa sull’elettorato tradizionale del Sud. Riuscirà a convincere abbastanza elettori anche questa volta oppure andrà incontro ad una sconfitta elettorale? Watch this space, come dicono gli inglesi.