Il taglio delle forniture dalla Russia colpisce grandi aziende e centrali elettriche. Mentre le bollette aumenteranno ancora. In vista dell’inverno il governo conta su nuovi flussi dall’Algeria. Tutt’altro che sicuri

Tra falsi allarmi, sparate propagandistiche e ottimismo di facciata, in Italia impazza il toto gas. Ridotto all’osso, il quesito è il seguente. Riusciremo a superare la stagione fredda senza che la penuria di metano costringa il governo a razionare i consumi? Sul tema si esercita da mesi la politica e ai primi d’agosto è arrivata la professione di fede di Roberto Cingolani. Secondo il ministro della Transizione ecologica, le riserve accumulate nei depositi di stoccaggio e le nuove forniture in arrivo da qui alla fine dell’anno saranno sufficienti a garantire la sicurezza energetica del Paese anche se la Russia dovesse chiudere del tutto i rubinetti del gas. Con l’ennesimo taglio deciso da Mosca a fine luglio, da settimane ormai i flussi verso l’Europa non superano il 20 per cento della media dell’anno scorso, ma «la nostra posizione è decisamente migliore rispetto agli altri Paesi europei», si è sbilanciato anche Mario Draghi il 4 agosto, in una delle ultime conferenze stampa da presidente del Consiglio.

 

Insomma, tutto sotto controllo, sostiene Palazzo Chigi, ma i segnali che arrivano dal mercato vanno nella direzione opposta rispetto ai messaggi rassicuranti di Roma. Il timore che nei mesi invernali la situazione possa precipitare, imponendo tagli pesanti ai consumi anche di grandi impianti industriali, sta spingendo verso nuovi record al rialzo le quotazioni di gas ed elettricità. Poi c’è il caos contratti. Il governo ha infatti varato una norma che di fatto prolunga fino ad aprile 2023 gli accordi di fornitura di energia a prezzo fisso anche quando le modifiche sarebbero contrattualmente possibili. Il provvedimento punta a proteggere i consumatori che rischiano di veder crescere le bollette a livelli insostenibili.

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D’altra parte, però, molti grossisti e trader finiranno per trovarsi in gravi difficoltà finanziarie, visto che non potranno adeguare le tariffe di vendita ai prezzi correnti, aumentati anche di dieci volte rispetto all’anno scorso. Nel frattempo, come segnalano diversi operatori del settore, si moltiplicano i casi di aziende che non riescono a rinnovare gli accordi per approvvigionarsi di gas ed elettricità perché i fornitori sostengono di non avere disponibilità di materia prima oppure preferiscono non venderla perché temono nuove impennate del prezzo o addirittura un possibile razionamento.

 

L’eventuale taglio forzoso dei consumi minaccia innanzitutto l’industria, costretta a rallentare la produzione provocando un calo della crescita economica e quasi certamente una recessione. È questo lo scenario, uno scenario da incubo, con cui potrebbe essere chiamato a fare i conti il governo che uscirà dalle elezioni del prossimo 25 settembre. Nel frattempo, entro la fine di ottobre, Roma dovrà presentare all’Unione Europea un piano dettagliato sulle misure che verranno adottate se la situazione dovesse precipitare. Al momento, secondo indiscrezioni mai smentite da Cingolani, le misure allo studio dall’esecutivo uscente prevedono, tra l’altro, la riduzione di un grado nel riscaldamento degli edifici pubblici e privati e la diminuzione programmata dell’illuminazione pubblica delle strade. Interventi soft, tutto sommato, che dovrebbero consentire di tagliare del 7 per cento i consumi di gas entro il prossimo marzo, l’obiettivo minimo fissato dalla Ue in base a un accordo siglato a fine luglio dai ministri dei Paesi membri. Se però la Russia, che da mesi sta usando il gas come un’arma non convenzionale, dovesse dare un altro giro di vite alle forniture destinate all’Europa, c’è il rischio concreto che anche l’Italia sia costretta a provvedimenti ben più drastici. Quali? Il piano di emergenza può attendere, a quanto pare. E così, mentre si avvicina un autunno quanto mai carico di incognite, Cingolani prova a esorcizzare lo spettro di una crisi energetica aggrappandosi al salvagente delle riserve accumulate negli stoccaggi «che entro ottobre saranno pieni al 90 per cento». Oppure evocando l’arrivo della cavalleria, che nel caso specifico sarebbero forniture per miliardi di metri cubi di gas che andrebbero a sostituire quelle russe, ormai ridotte al lumicino oppure sparite del tutto.

 

Le speranze alimentate dal ministro ormai a fine mandato non sono però accompagnate da numeri e calcoli giudicati attendibili da molti esperti. Partiamo dagli stoccaggi, che, di norma, vengono riempiti da maggio a ottobre per poi attingervi nei mesi più freddi. Nei mesi scorsi le aste per il gas da destinare a riserva sono state quasi del tutto disertate dagli operatori, cioè grandi aziende come Eni, Enel, Engie, Shell. Nessuno voleva prendersi il rischio di destinare ai depositi il metano comprato a prezzi altissimi, che potrebbero calare di molto in inverno, quando quel gas verrà poi messo sul mercato. Il problema è stato risolto con l’intervento di due società pubbliche, prima Snam e poi Gse (Gestore dei servizi energetici), che si sono fatte carico degli acquisti su incarico del governo, che coprirà anche i relativi oneri supplementari. L’obiettivo dichiarato Cingolani sembra quindi a portata di mano.

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Problema risolto, allora? Pare proprio di no, a detta di molti esperti, perché anche gli stoccaggi pieni al 90 per cento non ci mettono al riparo dai rischi legati alla penuria di combustibile. Decisiva, piuttosto è la capacità di erogazione. In breve: nei giorni invernali, quando i consumi aumentano, i depositi devono essere in grado di immettere in rete il quantitativo di gas necessario per far fronte alla domanda non coperta da import (la gran parte) e produzione nazionale (una frazione minima). In altre parole, se in giornate particolarmente fredde il flusso proveniente dagli stoccaggi dovesse rivelarsi insufficiente a soddisfare alle richieste degli utenti industriali e da quelli domestici, il razionamento diventerebbe inevitabile.

 

A questo proposito l’ultima analisi trimestrale dell’Enea, istituto di ricerca pubblico in materia di energia, segnala che «in caso di disponibilità giornaliera di gas russo ridotta anche solo a un terzo di quella massima» diventerebbe «decisamente sfidante» il rispetto della regola N-1, uno degli indicatori principali utilizzato da molti anni dalla Commissione Europea per valutare il livello di sicurezza dei sistemi del gas degli Stati membri. Anzi, a fine inverno, la regola N-1 non sarebbe rispettata neppure «con massima erogazione dagli stoccaggi pari a 191 milioni di metri cubi al giorno. Il problema, si legge nell’analisi dell’Enea, potrebbe essere risolto grazie a nuove disponibilità di GNL, il gas naturale liquefatto trasportato via nave. Pare molto difficile, però, per non dire impossibile che almeno uno dei due rigassificatori galleggianti acquistati da Snam possa entrare in funzione entro il prossimo inverno. Secondo i piani fin qui annunciati, i due impianti, ciascuno con una capacità di 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, dovrebbero essere ormeggiati al largo di Piombino e di Ravenna.

 

Niente GNL supplementare, quindi. Ancora per molti mesi l’Italia potrà fare affidamento solo sui tre rigassificatori già in funzione a La Spezia, al largo di Livorno e di fronte a Rovigo. E allora, in vista dell’inverno, l’unica strada percorribile resta la ricerca di fornitori alternativi alla Russia. Il primo della lista è l’Algeria, di cui l’Italia è già grande cliente da anni, mentre gli accordi annunciati nei mesi scorsi dal governo con Paesi come Congo, Angola, Mozambico, Egitto, potranno dare frutti concreti non prima del 2024, quando saranno realizzate le infrastrutture necessarie a importare il gas fin sulle nostre coste. Algeri invece potrebbe aumentare in tempi relativamente rapidi i flussi in transito nel gasdotto Transmed, che attraversa la Tunisia e lo stretto di Sicilia per approdare a Mazara del Vallo. E in effetti, dopo le intese raggiunte con l’Eni nei mesi scorsi, con doppia visita di Draghi (ad aprile e a luglio) nella capitale algerina, già dalla scorsa primavera lo Stato nordafricano è diventato di gran lunga il primo fornitore dell’Italia.

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La partita decisiva però si giocherà il prossimo inverno, quando la domanda di combustibile arriva anche a triplicare rispetto a luglio-agosto. E qui è davvero difficile azzardare previsioni. Mancano dati certi sugli accordi appena siglati, di cui non sono stati resi noti prezzi, quantitativi e tempistica esatta delle nuove forniture destinate alla Penisola. È impensabile che Algeri non abbia approfittato della sua posizione di forza nei confronti di un cliente alla disperata ricerca di gas. E viste le quotazioni correnti sui mercati internazionali, la bolletta energetica dell’Italia è destinata ad aumentare di molto. La partita vale decine di miliardi di euro. La quota della Russia sul totale dell’import italiano l’anno scorso è stata pari al 40 per cento, cioè circa 29 miliardi di metri cubi su un flusso complessivo di 73 miliardi. L’Algeria è arrivata a 22 miliardi, il 30 per cento. Se nei mesi tra ottobre e marzo le forniture di Mosca dovessero azzerarsi (lo scenario peggiore) potrebbero venire a mancare fino a 18-19 miliardi di metri cubi. Vuol dire che anche ipotizzando una riduzione dei consumi (calati già del 2 per cento nei primi sei mesi del 2022) e maggiori contributi da stoccaggi e altri fornitori (Nord Europa, Azerbaijan, Qatar), dal nodo di Mazara del Vallo nei mesi invernali dovrebbero transitare almeno una decina di miliardi di metri cubi in più. Le uniche indiscrezioni fin qui filtrate da Algeri si fermavano a sei miliardi di metri cubi supplementari. Difficile stare tranquilli.