Date le ridotte previsioni di crescita e l'aumentare del debito pubblico, è necessario adottare misure straordinarie perché il Paese non collassi. Come aggredire il tax gap. Eppure il governo fa il contrario

Ad agosto è aumentata l’occupazione, dopo la diminuzione di luglio. Il governo rivendica il miglioramento dei dati sul mercato del lavoro, che ha raggiunto la cifra di 23.590.000 occupati, la più alta di sempre. Dopo la pandemia, tuttavia, l’aumento dell’occupazione è stato generato dall’espansione “spontanea” dell’economia, dovuta a sua volta alla domanda estera e al turismo, che non ha prodotto una crescita del valore aggiunto delle attività produttive, come dimostra la revisione al ribasso dell’andamento del Pil.

 

Appare sproporzionato attribuire l’aumento di 523 mila occupati in un anno agli interventi governativi e alla riconquistata fiducia dei cittadini in un esecutivo eletto. Qualora fosse stato così, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) avrebbe confermato l’incremento del Pil dell’1,2 per cento previsto in aprile, in luogo dello 0,8 per cento. Lo stesso per le ridotte previsioni di crescita per la durata del documento.

 

Nel 2025 il debito pubblico sfonderà il tetto dei 3.000 miliardi di euro e l’onere degli interessi quello dei 100 miliardi. Nel 2026 la cifra sarà di 105 miliardi, superiore alla percentuale degli investimenti. L’aumento della spesa per le pensioni è stimato in 44 miliardi, superiore alla crescita economica nominale. Il finanziamento viene assicurato dalla riduzione della spesa pubblica. Quindi, l’equilibrio del bilancio si basa sull’entrata di 20 miliardi dalle privatizzazioni (difficili da realizzare) e sulla diminuzione della spesa pubblica di 88 miliardi. Diminuzione pontificata da tutti i governi dalla crisi del 1992, ma mai raggiunta.

 

Il programma della Nadef risulta più che inadeguato a invertire l’aumento del debito pubblico e a rendere proporzionale l’aumento a quello del Pil. Il rapporto debito/Pil nel 2026 è previsto al 139,6 per cento, inferiore di pochi decimi di punto a quello del 2023. Senza provvedimenti straordinari l’Italia rischia di collassare e di entrare nel buio del risanamento finanziario obbligato. I guai sarebbero seri, per abbienti e meno abbienti. Non possiamo restare prigionieri della mole del debito pubblico, pena il dissesto del Paese.

 

Per uscire da questa situazione al limite della rottura, si rende indispensabile aggredire la montagna dell’evasione fiscale. Il governo, invece, fa il contrario. Nella delega fiscale, infatti, non è stato inserito l’obiettivo della riduzione del tax gap (evasione), concordato dal governo di Mario Draghi con l’Europa, come parte integrante del Pnrr. Il nodo sta nei contribuenti che pagano l’Irpef in base alla dichiarazione e non con la ritenuta alla fonte, come i lavoratori dipendenti e i pensionati. Si tratta di un fenomeno di evasione di massa che, in una pluralità di fattispecie, è problematico da contrastare con le norme in vigore sulla determinazione dell’imponibile Irpef.

 

L’evasione fiscale non va combattuta solo per ottenere risorse finanziarie da destinare alla riduzione del debito. Sarebbe una battaglia persa in partenza. Da tale azione dovranno, infatti, scaturire i fondi per la riforma della Pubblica Amministrazione allargata, imprescindibile per modernizzare la struttura operativa dello Stato. È auspicabile che una riforma fiscale, nell’ambito della progressività dell’imposta, abbia i mezzi per perequare gli effetti della nuova realtà tributaria.