I Centro di permanenza per il rimpatrio sono gestiti da privati che puntano a un tesoretto di 56 milioni di euro, lasciando i reclusi spesso in condizioni vergognose. «C’è gente che specula sulla pelle di queste persone e non gente qualsiasi. Parliamo di lobby rappresentate in Parlamento. Tutto questo avviene nell’indifferenza generale», spiega la senatrice Ilaria Cucchi

Il 22 ottobre 2009 Stefano Cucchi, geometra di 31 anni, arrestato perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti, moriva nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini dopo una settimana nelle mani dello Stato. Per la sua morte il 4 aprile 2022 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva a dodici anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Per i depistaggi altri otto militari dell’Arma – compreso il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma – sono stati condannati in primo grado a scontare complessivamente 22 anni di carcere.

 

L’anno scorso Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, si è candidata alle elezioni politiche con la lista Alleanza Verdi e Sinistra ed è stata eletta al Senato. In questi mesi ha avuto modo di continuare il suo impegno per il rispetto dei diritti civili e umani visitando due volte – a marzo e aprile – il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, nella periferia di Roma.

 

I Cpr sono luoghi di detenzione amministrativa in cui vengono reclusi i cittadini non comunitari sprovvisti di un regolare documento di soggiorno oppure già destinatari di un provvedimento di espulsione. Il governo di Giorgia Meloni, nell’ambito delle norme contro l’immigrazione irregolare, ha deciso di innalzare a 18 mesi il limite massimo di trattenimento in questi centri. Cucchi ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla somministrazione di psicofarmaci all’interno della struttura di Ponte Galeria. «C’ero già stata nel 2013 – spiega – Ricordavo un luogo terribile, ma non ai livelli in cui l’ho trovato pochi mesi fa. Sembra di essere in un giardino zoologico, perché quelle che vedi sono delle vere e proprie gabbie. Corpi abbandonati, spesso buttati a terra senza fare assolutamente nulla per tutto il giorno, nella sporcizia e nel disordine. Mi è stato riferito che il 90% degli ospiti, così vengono chiamati, anche se io utilizzerei il termine detenuti, fa utilizzo di metadone senza alcun piano terapeutico».

 

La testimonianza
«Dentro i Cpr non ci sono diritti. Stiamo adottando il modello libico in Italia»
03-10-2023

 

Ma le criticità legate a questi centri non sono soltanto di tipo sanitario. Secondo quanto segnalato dalla Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) sono 56 i milioni di euro previsti nel periodo 2021-2023 per affidare la gestione dei Cpr a soggetti privati.

 

La possibilità che sulla privazione della libertà personale qualcuno possa trarre ingenti profitti è uno degli aspetti più controversi di questa forma di detenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattere di eccezionalità, come denuncia Cild in un rapporto dall’eloquente titolo “L’affare Cpr. Il profitto sulla pelle delle persone migranti”. Il dossier della Coalizione descrive il passaggio dalla gestione pubblica a quella privata dei centri e ricostruisce in maniera dettagliata le attività delle multinazionali Gepsa e Ors, della società Engel s.r.l. e delle Cooperative Edeco-Ekene e Badia Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia. Una storia segnata da continue violazioni dei diritti delle persone detenute e interessi economici che preoccupano anche Cucchi, e hanno innescato anche un conflitto di poteri tra la magistratura di Catania, che ha respinto dieci convalide di trattenimenti di migranti, e il ministero dell’Interno, con il contorno di polemiche che hanno investito il pm Iolanda Apostolico. «C’è gente che specula sulla pelle di queste persone e non gente qualsiasi. Parliamo di lobby rappresentate in Parlamento. Tutto questo avviene nell’indifferenza generale e sotto gli occhi dei vari governi che si sono avvicendati in questi anni», dice la senatrice Cucchi.

 

Ilaria Cucchi

 

Il riferimento è al Gruppo Ors Ag, con sede centrale a Zurigo e attivo da oltre trent’anni in tutta Europa. Sulle modalità repressive adottate in alcuni centri svizzeri e austriaci sotto responsabilità della multinazionale (che attualmente gestisce il Cpr di Ponte Galeria) esistono inchieste giornalistiche e rapporti di Amnesty International e Medici senza frontiere. In Italia Ors si è affidata al lavoro di lobby svolto da Telos Analisi e Strategie, uno «studio professionale che aiuta i propri committenti a comprendere l’ambiente nel quale si posizionano ed operano e ad interagire con tutte le istituzioni e gli stakeholder in modo efficace». L’accordo tra la multinazionale svizzera e Telos risale a un documento del 2020 firmato da Lutz Hahn, direttore della comunicazione di Ors Management Ag, nel quale si delega la lobby per l’organizzazione di incontri con rappresentanti istituzionali. Nulla di illegale, ma è interessante osservare come Ors sia l’unica tra le cooperative e società che hanno gestito o gestiscono un Cpr ad avere consulenti che la rappresentano alla Camera dei deputati. «È una situazione di cui nessuno parla perché evidentemente le responsabilità politiche sono di tutti», afferma la senatrice. «Il concetto – aggiunge – è molto semplice: più migranti ci sono, più ci si guadagna sopra. È questo il vero business e adesso avviene sotto gli occhi della destra che ne ha fatto oggetto della sua perpetua campagna elettorale. Quanto costa allo Stato finanziare dei luoghi che ricordano i lager libici? La gestione di questi centri è tutt’altro che trasparente». E secondo Ilaria Cucchi il filo che unisce vicende come quella di suo fratello a quelli delle persone recluse nei Cpr è «la violenza di Stato nei confronti di chi non può difendersi».