I Radicali presentano un testo per riformare l’interruzione di gravidanza. «L’attuale norma è frutto di un compromesso al ribasso e rilega le donne dentro un labirinto di ostacoli e gentili concessioni»

Giovedì 22 giugno i Radicali, insieme ad altre realtà, hanno presentato in in Corte di Cassazione un testo di legge di iniziativa popolare per il superamento della legge sull’aborto. Una proposta che nasce da anni di iniziative e di mobilitazione che i Radicali hanno affrontato insieme a tante realtà femministe, prima fra tutte, Libera di abortire, che proprio su queste pagine ha denunciato la pratica dei cimiteri dei feti.

 

Negli anni in cui la battaglia sull’aborto si è spostata a livello regionale, nelle regioni in cui Fratelli d’Italia e Lega governano, il testo vuole superare la 194 che, attualmente, permette di aggiungere ostacoli: come far entrare i movimenti per la vita negli ospedali o rendere difficoltoso il servizio per colpa dell’alto numero di obiettori di coscienza.

 

«Siamo arrivati a questa legge come senso di necessità, ma anche come valutazione politica e culturale: nel ’78 decriminalizzare l’ivg arginava gli aborti clandestini ed ha salvato migliaia di vite, ma è stato frutto di un compromesso politico al ribasso, tant’è che i Radicali votarono contro - ricorda Giulia Crivellini, tesoriera dei Radicali - La 194 è un testo che rilega le donne dentro un labirinto di ostacoli e gentili concessioni: la parola autodeterminazione non compare mai, i diritti riproduttivi non sono al centro, in tutti gli articoli si trova una connotazione negativa».

 

Via l’obiezione di coscienza e la settimana di ripensamento
Il testo prodotto vuole scardinare la visione che mette al centro lo Stato, nella figura poi degli operatori medici, e poi a margine le donne: «Prima di tutto la legge deve rivolgersi a chi accede al servizio», spiega Vittoria Loffi, coordinatrice di Libera di abortire e una delle redattrici della legge. A partire dalla dicitura “aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.

 

L’obiezione di coscienza è il tema centrale: quella che nella pratica impedisce una piena attuazione della legge, nonostante le relazioni del ministero dicano il contrario (in Italia c’è un tasso di obiezione quasi del 70%, con numerosi ospedali al 100% obiettori e regioni con situazioni ancor più gravi). In altri paesi l’obiezione esiste, ma è bassa come in Francia, e non ostacola il servizio; ma il caso Italia è unico e la cancellazione sembra l’unica via percorribile: «Una società governa i conflitti tra coscienza individuale e diritto alla salute riproduttiva facendo prevalere i diritti considerati prioritari. E perché quello della donna prevale? - si chiede Crivellini - Perché l’obiezione di coscienza in ambito medico passa già tra tre scelte: iscriversi a medicina, specializzarsi in altro o operare nel privato. Oggi il diritto della donna non può essere minato da una coscienza individuale e il paragone con la leva militare non sussiste l’obiezione è tutelata costituzionalmente quando una legge è prevista come obbligo. Fare ginecologia non è un obbligo».

 

Il testo prevede comunque una norma transitoria per chi è già medico: entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge c’è l’obbligo di confermare o meno l’obiezione. Si aggiunge anche che ai fini di garantire il servizio, il personale obiettore non deve superare il 50% in ogni struttura.

 

«L’obiezione di coscienza da molto tempo non avviene più per motivi religiosi, ma per meccanismi di assunzioni e avanzamenti di carriera, è parte di un sistema. Con la legge apriremmo anche al privato, che rimane gratuito. Chi si inserirà in futuro, nel caso la legge passasse, lo fa con la consapevolezza che l’obiezione non esiste più», aggiunge Loffi.

 

Insieme alla cancellazione dell’obiezione, salta anche la cosiddetta “settimana di ripensamento”, obbligatoria prima dell’ottenimento del certificato per accedere all’interruzione di gravidanza. Una norma unica nel suo genere che infantilizza le donne nella loro scelta. La possibilità di richiedere l’aborto fino a 14 settimane, una revisione dei consultori in chiave laica e scientifica, relazioni al Parlamento aggiornate e dati pubblici e formazione e aggiornamento per il personale medico.

 

Novità su aborto farmacologico e terapeutico
Altri cambiamenti riguardano l’avanzamento medico avvenuto negli ultimi quarant’anni, aspetti che la 194 – approvata nel 1978, - non poteva prevedere. In particolare si parla di aborto farmacologico, inesistente all’epoca. «Con la legge vogliamo richiamare alle migliori pratiche internazionali che lo consentono la somministrazione fino a 14 settimane - spiega Francesco Mingiardi, avvocato di Radicali e uno dei redattori del testo - Le linee guida sulla RU 486 hanno aggiornato solo in modo parziale e oggi ci troviamo regioni in cui il ricovero per la pillola abortiva esiste ancora o le linee guida non sono state recepite».

 

Altro tema è quello dell’aborto terapeutico: «Dal punto di vista bioetico è stato il più difficile da affrontare - continua Mingiardi - c’è una norma che lo disciplina e poi c’è la prassi dei medici». Nella 194 l’aborto terapeutico può essere richiesto dopo i 90 giorni solo se la salute della donna o la sua vita sono messe in pericolo, anche quando il feto non ha alcuna possibilità di vita per via di gravi malformazioni o malattie che lo farebbero sopravvivere per poche ore dopo la nascita o che interromperebbero la gravidanza in anticipo.

 

«La nostra legge, che tiene anche conto della Costituzione che tutela il nascituro, toglie l’obbligo che debba essere in pericolo la donna, laddove il feto non possa sopravvivere alla nascita, per cui è sempre possibile richiedere l’aborto farmacologico. Consideriamo una tortura costringere una donna portare a termine una gravidanza per vedere un bambino nascere o poco dopo morire».

 

In Francia e in Belgio, dove è già così, si decide sul feto quando la malattia è incurabile e se ne occupa una commissione medica; la proposta dei Radicali si affida ai medici e agli esperti di neonatalità, che incarnano la figura dello Stato, e che già con il giuramento di Ippocrate sono obbligati a tener conto di tutte le possibilità.

 

Su questo viene stralciato anche il riferimento al tentativo di rianimare il feto e tenerlo in vita (art. 7): «Perché normare questo aspetto? I medici sanno già come agire sono portati a decidere per loro professione. Non si può esporre una donna a un grave rischio di fronte a una minima possibilità di vita del feto», conclude Mingiardi.

 

Al posto di “donna”, “persona gestante”
Tra le modifiche finali ce n’è poi una che riguarda il codice penale (e la stessa legge) che vuole la cancellazione della parola “donna” e la sostituzione con “persona gestante” per gli articoli che riguardano l’aborto. Una questione che animerà il dibattito pubblico, non solo a destra, ma anche a sinistra e nel mondo femminista: «Non vogliamo tracciare una linea per il politically correct, ma se parliamo di cambiamento culturale questo deve avvenire anche in termini linguistici, facciamo un lavoro nel riconoscere maggiori identità di genere, oltre quella canonica e binaria; il che non vuol dire togliere alla donna il suo potere riproduttivo, ma superare chi vuole rilegarla a questo stereotipo», spiega Loffi che continua: «Nell'ambito di questa discussione abbiamo anche affrontato che nella 194 si attribuisce un forte valore sociale della maternità, per chi non l’affronta è un disvalore. La scelta di “persona gestante” è anche l’intenzione di slegare il potere riproduttivo esclusivamente dalla donna», conclude Loffi che definisce “persona gestante” il termine più onnicomprensivo.

 

Il testo per essere sottoposto al Parlamento dovrà raggiungere 50mila firme in sei mesi, la campagna ha inizio proprio a luglio e c’è la possibilità di firmare online. «In tanti si chiederanno del perché proprio adesso, con un governo di destra, ma se non ora quando? Se passa la proposta vige l’obbligo di discutere quanto meno seria informata e pubblica sul diritto all’aborto da entrambe le parti e noi crediamo che la destra non voglia mettere mano alla 194 o peggiorarla, perché già ora ha permesso a livello regionale di portare indietro i diritti riproduttivi», spiega Loffi. Il tema è anche come la sinistra possa rispondere soprattutto sull’obiezione di coscienza vista la percentuale di dem di area cattolica: «La sinistra spesso si nasconde dietro un generico “non tocchiamo la 194”, ma noi chiediamo una discussione trasparente che attivi le posizioni dei partiti».