I militanti storici della Lega scrivono a Mattarella per svelare documentazioni inedite relative alla vicenda dei 49 milioni di euro truffati dal Carroccio. E inguaiano il leader già nella bufera per l'inchiesta sul suocero Verdini

La Befana infila carbone amarissimo nella calza di Matteo Salvini. Non bastasse la brutta storia dell’affare Verdini-Lega intorno agli affari Anas, in queste ore è stata recapitata al Quirinale una lettera, di cui L'Espresso ha preso visione, nella quale si racconta che nel 2014, mentre Salvini era già segretario della Lega Nord, il partito ha ricevuto 820mila euro di rimborsi elettorali per le elezioni del 2010, anno in relazione al quale la Lega era sotto la lente di ingrandimento della Procura a causa della truffa dei 49 milioni. Soldi ricevuti e che, in teoria, dovevano essere restituiti a Camera e Senato. In pratica non è successo.

 

La tegola, la seconda finita sulla testa di Salvini e dei leghisti salviniani nel giro di due mesi, è stata lanciata (nuovamente) dalla Lega per il Nord, un partito composto da leghisti della prim'ora, come Maria Teresa Baldini, segretaria federale, Roberto Ceresa, Giuseppe Leoni, Stefano Stefani, Giovanni Torri, Celestino Pedrazzini. Ora, gli ex deputati della Lega Nord sono rimasti positivamente colpiti dal discorso al Quirinale del Presidente della Repubblica del 20 dicembre, nel quale Sergio Mattarella ha cercato di rinfrescare la memoria alle alte cariche dello Stato – molte (troppe) di quelle alte cariche erano però assenti, tipo Matteo Salvini e Giorgia Meloni –  a proposito del valore e del senso proprio del Parlamento e delle Istituzioni. Gli ex leghisti hanno quindi deciso di indirizzare la lettera, firmata da Matteo Brigandì su incarico del partito Lega per il Nord, proprio al capo dello Stato, raccontandogli come i segretari della Lega Nord che si sono succeduti a Umberto Bossi, ovvero Roberto Maroni prima e Matteo Salvini poi, si siano intascati –  per conto del partito –  2,6 milioni di euro, pur sapendo che quel denaro avrebbe potuto essere oggetto della famosa truffa da 49 milioni commessa dalla Lega ai danni dello Stato. Ma andiamo con ordine.

 

Lorenzo Fontana

 

I giudici hanno accertato definitivamente che le appropriazioni indebite, commesse da parte dei dirigenti leghisti, risalgono al periodo compreso tra il 2008 e il 2012: i soldi dei rimborsi elettorali accordati da Camera e Senato alla Lega Nord sono stati utilizzati, per esempio, per pagare la laurea in Albania al figlio di Umberto, Renzo Bossi, detto il Trota; ma anche per pagare gli alimenti alla moglie dell’altro figlio di Umberto, che si chiama Riccardo Bossi; così come per ristrutturare la villa di Gemonio dello stesso Umberto Bossi. Alla fine, fatti i conti, i giudici hanno calcolato che complessivamente la truffa – fra danno patrimoniale e non patrimoniale, più le spese legali – ammonta a 66 milioni di euro, di cui 49 sono i soldi confiscati. Poi, dal momento che Camera e Senato hanno deciso di non presentare alcuna richiesta di risarcimento per i danni in sede civile, la somma che sarà rimborsata dalla Lega Nord, in comode rate da 600mila euro l'anno, spalmate in 80 anni, è di soli 49 milioni. La restante quota sta finendo in prescrizione e, a meno di un repentino risveglio dei due rami del Parlamento, lo Stato perderà 17,4 milioni di euro, più gli interessi (che quest'anno sono arrivati al cinque per cento). Insomma, un sacco di quattrini che potrebbero far comodo a un governo sempre a caccia di denaro: ma pare proprio che l'intenzione sia quella di continuare a scucirli dalle tasche dei cittadini comuni, non ai partiti politici.

 

A inguaiare i due segretari che si sono succeduti alla guida della Lega dopo Bossi, Maroni (scomparso nel novembre del 2022) e Salvini, è la normale dilazione dei rimborsi elettorali, che non venivano sganciati all'istante da Camera e Senato, bensì snocciolati in cinque rate annuali. Dunque, il periodo delle appropriazioni indebite che hanno portato alla truffa ai danni dello Stato identificato dai giudici si colloca fra il 2008 e il 2012, le indagini e le perquisizioni in via Bellerio scattano proprio nel 2012 – quindi, a partire da quella data, tutti sapevano che il denaro intascato dalla Lega era macchiato dall'inganno – ma Roberto Maroni e Matteo Salvini, in quanto segretari del partito, incassano ugualmente gli ultimi assegni della rateizzazione dei rimborsi elettorali: soldi non loro, per un valore che si aggira attorno ai 2,6 milioni di euro. Denaro di cui nessuno ha mai parlato e di cui oggi il nuovo partito della Lega per il Nord chiede conto, grazie a documenti inediti a proposito della vicenda dei 49 milioni.

 

Ignazio La Russa

 

Nella lettera a Mattarella la ricostruzione è dettagliata: «L'ufficio di ragioneria del Senato, in data 17 settembre 2015, ha avuto modo di precisare che il 31 ottobre 2012 (quindi dopo l'inizio delle indagini e quando c'era già stato il ribaltone di dirigenza nel partito), l'onorevole Roberto Maroni, in qualità di nuovo segretario federale della Lega Nord, ha ricevuto una rata del finanziamento ai partiti relativo agli anni al vaglio dell'autorità giudiziaria, per 1,833 milioni di euro. Questo documento è stato inviato all'Avvocatura dello Stato ed è stato prodotto nel processo di truffa. Analogo documento è stato inviato dalla Camera dei Deputati in data 21 settembre 2015. Da ulteriore documentazione risulta che il 31 luglio del 2014 sono stati rimborsati alla Lega Nord, sempre per gli stessi anni, 820mila euro, a titolo di quinta rata relativa alle elezioni regionali del 2010», si legge nel documento inviato a Mattarella, che L'Espresso ha visionato.

 

Una comunicazione molto simile a quella mandata a Mattarella, nella quale sostanzialmente si dice che al segretario Maroni erano finiti 1,8 milioni di rimborsi elettorali, e al successore Salvini altri 820mila euro, è stata inviata qualche giorno fa anche ai segretari di Camera e Senato, nonché ai rispettivi presidenti, ovvero il leghista Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, per sapere come mai i due rami del Parlamento non hanno mai interrotto i versamenti e non si sono mai preoccupati di chiederne conto a Maroni, che è stato segretario fino al dicembre del 2013, e a Salvini, che ha ricoperto quel ruolo fino al 2020. Per il momento nessuno ha fiatato, forse perché Fontana dovrebbe muoversi contro l’interesse del proprio partito, e la stessa segnalazione sarà inviata alla Procura della Repubblica a metà gennaio. «Eppure le Camere, al momento dell'erogazione, ben sapevano che il titolo che legittimava il pagamento era quantomeno dubbio (sotto indagine prima e oggetto di condanna poi). Perché allora le Camere si sono limitate a chiedere il risarcimento delle prime rate, ma non di quelle successive?», si legge nella lettera inviata a Mattarella.

 

La decisione di coinvolgere il presidente della Repubblica, risiede proprio nel tentativo della Lega per il Nord di fare «quanto in Suo potere per ristabilire la credibilità e la serietà delle istituzioni che rappresenta e che guida agli occhi della cittadinanza», perché se negli anni molti italiani hanno smesso di votare e di avere fiducia nella politica e nelle istituzioni è anche per come sono state condotte alcune vicende che hanno toccato l'intero Paese, in particolare quella dei rimborsi elettorali alla Lega, che in base ai nuovi documenti risulta essere una partita lasciata a metà, nella quale il perdente è lo Stato, ovvero i cittadini. «Come mai lo Stato, che dovrebbe essere imparziale, che dovrebbe garantirci libertà, democrazia ed eguaglianza, ha assunto un contegno di indifferenza che certamente non è suo costume adottare con interlocutori privati?», scrivono a Mattarella, e proseguono: «Un osservatore malizioso potrebbe pensare che il fatto che la Lega di Salvini (ovvero il partito che ha assorbito la Lega, che ha tratto vantaggio dal reato ai danni dello Stato, acquisendo in sé tutto: nome, simbolo, sede, esponenti, tutto tranne i debiti) sia ad oggi partito nella coalizione di maggioranza, che vanta fra gli altri un vicepremier, diversi ministri e un presidente della Camera, potrebbe aver incentivato le istituzioni a coltivare questa inerzia, a sollevare il tappeto per nasconderci sotto la spazzatura».

 

Nonostante ne abbiano piena facoltà, da quattro anni a questa parte (cioè dalla sentenza della Cassazione), Camera e Senato non hanno avviato alcuna azione esecutiva o civile – come disposto dalla sentenza – per entrare in possesso degli ulteriori 17 milioni di danni arrecati dalla Lega. E poi ancora, il finanziamento alla Lega è stato erogato senza contestazioni, né penali né civili per gli anni 2011 e 2012, nonostante le appropriazioni indebite della Lega riguardassero anche quegli anni e senza nessuna osservazione sull'accountability relativa a quei due anni. E poi ancora, perché ci si è arresi al fatto che, se all'inizio delle indagini i fondi presenti sui conti corrente della Lega Nord ammontavano a circa 44 milioni di euro, al momento del sequestro in cassa erano rimasti solo 115mila euro: detto altrimenti, «in sei anni spariscono quasi tutti i fondi della Lega Nord, oltre ai vari finanziamenti percepiti in quegli anni. Eppure i vari segretari federali e amministrativi ben sapevano che quei denari erano profitto di reato».

 

Fra i punti sollevati da Brigandì, c'è anche la richiesta di chiarimento sul perché sia stata concessa una così generosa dilazione del pagamento dei 49 milioni di euro sequestrati. In teoria i giudici hanno offerto questo beneficio per consentire al partito Lega Nord di continuare a vivere e non essere stroncato dal peso del debito, che non sarebbe riuscito a sostenere poiché nel frattempo le casse della Lega sono rimaste a secco. Dunque, la rateizzazione in ottant'anni, quella che tutti i condannati a risarcire importanti somme allo Stato si sognano, è stata concessa per consentire ai cittadini di votare la Lega Nord. Peccato che la Lega Nord, dopo che i pubblici ministeri hanno concesso la rateizzazione, ha smesso di svolgere qualsiasi attività politica.