Analisi
Il piano Mattei di Giorgia Meloni non piacerebbe a Enrico Mattei
Il programma del governo sull’Africa evoca il patron dell’Eni, senza però capire davvero chi egli fosse. Perché di Mattei, in questo documento, manca del tutto la visione. Per non parlare del mancato coinvolgimento dei Paesi
Il Piano Mattei ha l’ambizione di essere un nuovo piano di cooperazione internazionale non «predatorio» tra l’Italia e l’Africa. Per ora è un contenitore di progetti già avviati al quale si è voluto dare un nome che potesse fare da garanzia sui buoni intenti: Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni con un passato da partigiano, l’uomo che capì che l’indipendenza politica è collegata a quella economica. E che, per questo, fece della politica energetica la politica estera.
Perché Enrico Mattei? Perché in alcuni Paesi dell’Africa, come l’Algeria, è considerato ancora una figura amica. «Amico della rivoluzione algerina, difensore tenace e convinto della libertà e dei valori democratici, impegnato a favore dell’indipendenza del popolo algerino», c’è scritto all’ingresso del giardino dedicato a lui nel 2021 a Hydra, nella provincia di Algeri, a pochi chilometri dall’Ambasciata d’Italia.
E non solo, l’uomo di cui The Guardian scrisse che «era una delle personalità più eccezionali del dopoguerra, con un grande orgoglio di italiano», ha alcune caratteristiche viste come congeniali, se usate in modo retorico, per la narrativa del governo Giorgia Meloni: il suo anti-intellettualismo, la sua identificazione con il sentire del popolo, l’ambizione di un’Italia protagonista che si fa, per dirla con le parole della premier, «promotrice». Un nome per far leva sull’amore di patria, usando quel sentimento di rivalsa di Mattei che non voleva un’Italia povera, nella quale si immedesimava, e sottomessa, ma con il giusto rilievo internazionale, non più uno Stato considerato inferiore.
Ma c’è un ma: Enrico Mattei ha fatto di questi sentimenti una strategia imprenditoriale e politica audace, creando nel 1953 un’impresa a partecipazione pubblica, l’Eni, al servizio del Paese, e non delle compagnie petrolifere che, come diceva, «erano abituate a considerare i mercati di consumo come riserve di caccia per la loro politica monopolistica». Inseguire il sogno di un’Italia libera dal ricatto economico, solidale e indipendente è costato nel 1962 la vita a Enrico Mattei, vittima di un attentato, come ha dimostrato l’inchiesta del magistrato Vincenzo Calia, anche se nel dossier dello scorso 21 novembre sul sito della Camera, “Disposizioni urgenti per il Piano Mattei”, si parla di un «incidente aereo per cause mai chiarite».
Al piano del governo guidato da Giorgia Meloni è mancata fino a oggi la base dell’azione di Enrico Mattei: una visibile negoziazione politica, con un diretto e immediato coinvolgimento nella stesura, alla pari nei fatti, di leader africani ed esperti di e da quel Continente. Il dialogo, dove voleva sempre avere l’ultima parola, è stato centrale in Enrico Mattei, assieme allo studio, l’inclusione delle competenze già esistenti e la ricerca delle potenzialità. Qui, invece, siamo di fronte a un monologo di Palazzo Chigi, con alcuni rappresentanti africani seduti in una platea con molte sedie vuote. «Sul Piano Mattei avremmo auspicato di essere consultati»: ha dichiarato, nel vertice Italia-Africa, Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione africana, sottolineando «la necessità di passare dalle parole ai fatti».
I fatti: Mattei ha siglato accordi diretti con i nuovi governi locali africani espressione di un progetto di indipendenza da lui stesso appoggiato, come in Algeria dove ha sostenuto la Rivoluzione che ha portato alla Repubblica nel 1962. Il suo piano era il risultato di tavoli di discussione con cui cercava un terreno comune d’intesa, nell’interesse primario dei Paesi che avevano le risorse petrolifere di cui l’Italia aveva bisogno. Ha saputo infrangere le regole che impoverivano ingiustamente l’Africa, come quella in vigore fino alla fine degli anni Cinquanta di una divisione del 50% con le compagnie petrolifere, corrispondendo ai Paesi produttori il 75% degli introiti.
Tra i principali obiettivi dichiarati del Piano Mattei del governo c’è quello di creare condizioni economiche per non far emigrare i giovani africani. In Italia l’anno scorso ne sono arrivati via mare 157.600. Dall’Italia, intanto, continua la diaspora: dal 2006 la presenza degli italiani all’estero è cresciuta del 91%, nel 2023 quelli iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani all’estero) sono quasi sei milioni. Si abbandona un Paese economicamente fragile, senza contratti che tutelano i diritti di chi lavora, che penalizza spesso il merito a favore di dinamiche del favore e dell’appartenenza a circoli di politica e potere. Si batteva contro questo Enrico Mattei, soffriva nel vedere l’Italia perdere risorse, rinunciare ai propri talenti per cecità manageriale e politica. Eppure di questo non c’è traccia: non potrebbe l’Africa essere anche un’opportunità per attrarre talenti italiani, persone e competenze, già persi o a rischio di esserlo?
Ha investito nel fattore umano, Mattei: il suo primo, vero, capitale sono stati gli uomini, del Sud e del Nord del mondo, il potere dei saperi che si uniscono. «Anch’io ero povero e ho dovuto emigrare perché il mio paese non mi dava lavoro, sono andato al Nord e adesso dal Nord stiamo tornando al Sud con tutta l’esperienza acquistata», ha detto nel suo ultimo discorso. Per questo ha puntato sulla formazione di una nuova classe dirigente, in Italia e nei Paesi con cui cooperava, una squadra di manager illuminati, tecnici con elevate conoscenze, dando vita a un incubatore di talenti nell’ingegneria, nell’economia e nell’impresa pubblica.
Sarebbe utile, invece che sbandierare a vuoto, studiare Mattei, morte compresa, per capirne metodo e finalità. E provare, poi, a declinare concretamente alcune sue intuizioni geniali nella realtà e complessità geopolitica di oggi.