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L’astensione è il fantasma bipartisan alle prossime Europee. Le notizie del giorno
Biden e Trump vincono la candidatura alle presidenziali. Volkov dopo l'aggressione: «Non ci arrenderemo». In Basilicata per Pd-M5s si pensa a Valluzzi. I fatti da conoscere
Usa, Biden e Trump vincono la nomination dei propri partiti
Joe Biden e Donald Trump hanno ottenuto ciascuno abbastanza delegati per aggiudicarsi le nomination del loro partito nella corsa presidenziale del 2024. Sono le proiezioni dei media a sancire ciò che era già previsto da tempo, al termine di quattro elezioni. Biden ha superato la soglia dei 1.968 delegati necessari per vincere in Georgia, uno stato oscillante degli Stati Uniti in cui Trump è sotto processo per una presunta cospirazione. Secondo i calcoli fatti da Associated Press, che ha assegnato la vittoria delle primarie Democratiche in Georgia a Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti e' arrivato adesso a quota 1972 delegati. La vittoria di Trump a Washington lo ha aiutato ad assicurarsi i 1.215 delegati necessari per guadagnarsi la nomination repubblicana e a spingere lui e il suo movimento Make America Great Again nella corsa presidenziale. I delegati parteciperanno alle convenzioni nazionali dove selezioneranno formalmente il candidato presidenziale del loro partito. «Sono onorato - ha detto Biden - che l'ampia coalizione di elettori che rappresentano la ricca diversità del Partito Democratico in tutto il Paese abbiano riposto ancora una volta la loro fiducia in me per guidare il nostro partito e il nostro Paese in un momento in cui la minaccia rappresentata da Trump è più grande che mai».
Georgia, Mississippi, Washington e Hawaii offrivano un totale di 161 delegati per la parte repubblicana, e Trump senza opposizione aveva bisogno di 137 di questi per mettere la corsa matematicamente al sicuro. «Ora - ha scritto sulla sua piattaforma di social media Truth - siamo sotto il Crooked Joe Biden, una nazione del terzo mondo, che usa il sistema dell'ingiustizia per perseguire il suo avversario politico, ME!. Ma non temete, non falliremo, ci riprenderemo il nostro Paese, un tempo grande».
L'alleato di Navalny dopo l'aggressione: «Non ci arrenderemo»
«Lavoreremo e non ci arrenderemo». È quanto ha detto in un videomessaggio Leonid Volkov, alleato del leader russo d'opposizione Alexei Navalny morto lo scorso 16 febbraio in una colonia penale nell'Artico, dopo essere stato aggredito a colpi di martello vicino casa sua a Vilnius, la capitale della Lituania. Secondo quanto riferito dalla portavoce di Navalny, Kira Yarmysh, l'aggressore ha rotto il finestrino dell'auto in cui si trovava Volkov, gli ha spruzzato gas lacrimogeno negli occhi e ha iniziato a colpirlo con un martello. Volkov è stato poi portato in ospedale. L'aggressione è avvenuta quasi un mese dopo la morte in carcere di Navalny per motivi ancora non chiariti. Volkov, in passato responsabile degli uffici regionali e delle campagne elettorali di Navalny (che si è candidato a sindaco di Mosca nel 2013 e ha cercato di sfidare Putin alle elezioni presidenziali del 2018), ha lasciato la Russia diversi anni fa su pressione delle autorità. L'anno scorso, Volkov e il suo team hanno lanciato un progetto chiamato 'Navalny's Campaigning Machine', con l'obiettivo di parlare con quanti più russi possibile, per telefono o online, e metterli contro Putin in vista delle elezioni presidenziali dei prossimi 15-17 marzo. La testata indipendente russa Meduza ha riferito che aveva intervistato Volkov alcune ore prima dell'attacco e gli aveva chiesto quali fossero i rischi per il team di Navalny: «Il rischio principale è che tutti noi veniamo uccisi», ha detto Volkov. La notizia dell'aggressione a Volkov è "scioccante", ha dichiarato il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis su X, aggiungendo che «gli autori dovranno rispondere del loro crimine».
Gaza. Wsj: «Paracadutare aiuti non contribuisce a risolvere la crisi umanitaria»
Il quotidiano "Wall Street Journal" contesta la decisione della Casa Bianca di paracadutare aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza, nel tentativo di ovviare agli ostacoli opposti da Israele all'ingresso degli aiuti via terra. Gli Stati Uniti e altri Paesi hanno deciso di ricorrere al trasporto aereo degli aiuti per tentare di alleviare la catastrofe umanitaria in corso in quel territorio dopo l'inizio della campagna militare delle Forze di difesa israeliane (Idf) lo scorso ottobre. Tuttavia, secondo il quotidiano, paracadutare alimenti e generi di prima necessità è un processo "costoso, pericoloso e inadeguato", e solo il massiccio trasporto di aiuti via terra, tramite convogli di autotreni, «potrebbe davvero prevenire la fame nella Striscia».
ll quotidiano spiega nel dettaglio il funzionamento del ponte aereo intrapreso dalle forze Usa domenica, quando un aereo da trasporto tattico quadrimotore C-130 decollato dalla Giordania ha sganciato su Gaza 3,2 tonnellate di aiuti. Come evidenziato dal quotidiano, il volo è durato due ore, è costato 30mila dollari e ha richiesto un equipaggio esperto di nove militari statunitensi sottoposti a rischi significativi, il tutto «per paracadutare aiuti appena sufficienti a sfamare 4mila persone nel territorio assediato, dove l'intera popolazione di 2,2 milioni di persone necessita di assistenza da cui dipende la loro vita, come affermato dalle Nazioni Unite e da gruppi di soccorso non profit».
Lo scorso fine settimana i paracadute di alcuni dei pellet sganciati dal velivolo statunitense non si sarebbero aperti, e precipitando al suolo avrebbero causato la morte di cinque persone: un episodio che conferma ulteriormente i gravi rischi e gli scarsi benefici dell'iniziativa intrapresa dalla Casa Bianca. Il "Wall Street Journal" sottolinea inoltre che gli aiuti trasportati da un C-130 sono meno di un quarto delle 16,5 tonnellate trasportate da un singolo camion attraverso il confine tra l'Egitto e Gaza, a un decimo del costo. Già prima della guerra la popolazione di Gaza dipendeva per il proprio sostentamento da una media di 500 camion di aiuti ogni giorno.
L'astensione è il fantasma bipartisan alle prossime europee
L'astensionismo si accinge a essere il primo partito, anzi la prima coalizione, anche alle Europee, almeno stando alle rilevazioni di alcuni istituti di ricerca; il che conferma quanto avvenuto domenica in Abruzzo, dove il tasso di partecipazione è sceso nonostante la politicizzazione del voto. Un astensionismo, tuttavia, che non colpisce tutti i partiti e gli schieramenti allo stesso modo ma che, come ha sottolineato l'Istituto Cattaneo per il il voto di domenica scorsa, penalizza il centrosinistra e in particolare M5s.
L'Istituto bolognese di ricerca, diretto dal professore Salvatore Vassallo, ha condotto una analisi dei flussi elettorali in Abruzzo rispetto alle politiche del 2022: la partecipazione al voto è scesa dal 63,99% al 52,19%. Tuttavia mentre l'elettorato di centrodestra non si è astenuto, quello di centrosinistra sì. "L'elettorato di quest'area - si legge nell'analisi - è attraversato da varie linee di frattura al suo interno: da una reciproca ostilità deliberatamente coltivata dai leader verso i leader e i "simboli" dei partiti oggi potenziali alleati, da una diversità di posizioni su vari temi più profonda rispetto all'elettorato di centrodestra. Non a caso, le due componenti più volatili di questa area elettorale sono rintracciabili, attraverso le nostre analisi dei flussi, da un lato tra gli elettori del M5S e dall'altro tra gli elettori della componente "liberale ed europeista"", cioè Azione e Iv. "Nel primo caso, prevale la tendenza ad astenersi in occasione di elezioni locali. Nel secondo, la tendenza a ricollocarsi o a tornare verso il centrodestra, soprattutto quando, come nel caso abruzzese, i partiti dell'area "liberale ed europeista" sono alleati con il M5S".
Alle europee si corre con un sistema proporzionale ma da un sondaggio dell'Istituto Ixè emerge che solo il 51% dei cittadini ha un "elevato orientamento al voto" e solo il 43% voterà "sicuramente". Ma questa volta l'astensionismo potrebbe colpire anche il centrodestra alla luce del ribasso dell'indice di gradimento del governo registrato da Ixè: in un mese il governo Meloni scende dal 44 al 39% e vanno giù anche la premier (40%, -3%) e Salvini (22%; -3%). Anche le intenzioni di voto verso Fdi e Lega sono in calo, sia per Ixè che per Swg: entrambi gli Istituti rilevano un trend per i due partiti di quattro rilevazioni consecutive in discesa, compensate in parte da un trend di crescita di Fi. Nel centrosinistra entrambi gli istituti rilevano un ulteriore aumento della forbice tra Pd e M5s, in favore dei Dem che è ormai di cinque punti: per Ixé i due partiti sono al 20,2% e al 15,2% e per Swg rispettivamente al 20,2% e al 15,4%.
In Basilicata Chiorazzo resiste, ma Pd-M5s trattano su Valluzzi
Angelo Chiorazzo non molla e con il suo movimento civico Basilicata Casa Comune va avanti nella campagna elettorale per le Regionali del 21 e 22 aprile. Con il Pd e il Movimento cinque Stelle "il dialogo è sempre aperto", ma dem e pentastellati sembrano vicinissimi all'accordo sul nome di Nicola Valluzzi, sindaco di Castelmezzano, piccolo comune in provincia di Potenza. «Per me uniti si vince o si perde ma divisi non si gioca nemmeno la partita», ha ribadito ieri la segretaria del Pd, Elly Schlein, rivendicando nuovamente la necessità del campo largo anche per la sfida lucana. Anche se, in realtà, rumors danno pezzi del centrosinistra, in particolare di Azione e Italia Viva, pronti a far parte delle liste a sostegno del governatore uscente, Vito Bardi (Forza Italia). «La sinistra lucana - ha detto Bardi, che nel 2019 vinse con il 42,2% dei voti contro il 33,1 di Carlo Trerotola (centrosinistra) e il 20,3 di Antonio Mattia (M5S) - come al solito si divide sui nomi, sugli interessi e sulle poltrone. Non c'è una proposta per la Basilicata, una regione che la sinistra da sempre ritiene di serie B».
A proposito di centrodestra, la coalizione è pronta ad accogliere a Potenza la premier Giorgia Meloni, che lunedì 25 marzo sarà nel capoluogo per firmare i Patti di coesione. E invece fissato per le ore 12 di sabato 23 marzo il termine per presentare le liste: da eleggere, oltre al presidente della Giunta, i 20 componenti del Consiglio regionale. Tempi stretti, quindi, soprattutto per il centrosinistra. Nel campo largo, però, la giornata odierna pare aver dato l'accelerazione decisiva. Le trattative romane, infatti, hanno raggiunto l'obiettivo di aver trovato un nome, alternativo a quello di Chiorazzo, proposto dal Pd nazionale e accettato (seppur in maniera tiepida) dal Movimento: quello di Valluzzi. Più volte sindaco di Castelmezzano - comune di circa 700 abitanti, incastonato nelle Dolomiti lucane e famoso per il Volo dell'Angelo che lo unisce a Pietrapertosa attraverso un filo d'acciaio - Valluzzi è stato anche presidente della Provincia di Potenza e candidato non eletto nell'Assemblea lucana. E nello scorso autunno è stato tra i primi a puntare sulle candidatura di Chiorazzo. «Valluzzi - ha risposto l'imprenditore ai giornalisti - è unanimemente riconosciuto come uno dei migliori amministratori di questa terra», anche se lo stesso fondatore della cooperativa Auxilium ha smentito di essere stato lui ad aver fatto "nomi" per chiudere l'accordo con Pd e M5S. Ancora più netto è stato Chiorazzo quando - a margine di un'iniziativa sulla disparità di genere che si è tenuta nel suo comitato elettorale, aperto da mesi, a Potenza - gli è stato chiesto se fosse ancora in corsa: «Certo - ha ribattuto, mettendo in evidenza che - negli ultimi mesi, mentre Basilicata Casa Comune si è occupata dei problemi di questa terra, i partiti sono stati distratti». Per Chiorazzo, tuttavia, l'accordo con Pd e M5S è ancora possibile: «Se tutti saranno responsabili - ha sottolineato più volte - il risultato sarà raggiunto». Ma è ormai evidente che, a meno di sorprese dell'ultimo momento, il partito presieduto dall'ex premier Giuseppe Conte non darà l'ok al suo nome. «Il veto dei Cinque Stelle? Incommentabile», ha risposto Chiorazzo, che, a questo punto, potrebbe tentare anche la corsa in solitaria contro Bardi e Valluzzi (o un altro candidato scelto al fotofinish dal campo largo).
Dossieraggio. Meloni: «Si lasci lavorare l'Antimafia, poi vedremo»
Ora lavori la commissione Antimafia, poi si valuterà "se servono altri strumenti". La linea di Giorgia Meloni ricalca quella espressa ventiquattro ore prima dai capigruppo della sua maggioranza. E di fatto affonda l'idea di una commissione parlamentare ad hoc sui presunti dossieraggi emersi dall'inchiesta di Perugia, sostenuta dalla Lega e, prima ancora, da Iv e Carlo Nordio. Il guardasigilli è stato inserito nella lista delle persone che saranno audite dai commissari dell'Antimafia. Per ora una quindicina, a quanto pare, forse più. Fra questi il ministro della Difesa Guido Crosetto, il direttore del Domani Emiliano Fittipaldi e il suo editore Carlo De Benedetti. Non c'è invece Federico Cafiero De Raho, deputato del M5s ed ex procuratore nazionale Antimafia, su cui è stato fatto un sondaggio informale con i presidenti di Camera e Senato: il motivo del 'no' - chiarito in un parere tecnico degli uffici della commissione letto in ufficio di presidenza - è che non si può audire uno dei commissari, come sancito anni fa da un precedente nella commissione Moby Prince.
Mentre più politica sarebbe la ragione dietro l'intenzione del centrodestra di non ascoltare Matteo Renzi, seppure una richiesta riguardante il leader di Italia Viva non sarebbe ufficialmente arrivata per ora. Fra l'inchiesta di Perugia e le prime audizioni del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e di quello di Perugia Raffaele Cantone, «sta emergendo» un quadro «obiettivamente incredibile e vergognoso per uno stato di diritto», secondo Meloni, che auspica si arrivi «fino in fondo». Per la premier «bisogna vedere dove riesce ad arrivare la commissione Antimafia, poi valutare se c'è bisogno di qualcos'altro». Oltre alla magistratura, in campo ci sono Copasir, commissione Antimafia e «se ne potrebbe occupare anche il Csm. Ci manca solo - conviene dal Pd Andrea Orlando - un quinto soggetto che se ne occupi per confondere ulteriormente le idee a chi segue questa vicenda e probabilmente anche a chi sta indagando».