L'indagine
Le molestie sessuali nelle Università sono un problema molto più diffuso di quanto si creda
Uno studente su cinque dichiara di non sentirsi sicuro dentro l'ateneo. E tanti non denunciano per paura di ritorsioni. È quanto emerge da uno studio dell'Udu: «Dobbiamo cambiare la cultura dominante», spiegano gli studenti
«Non mi sento sicura». A dirlo non sono solo gli studenti dell’Università Sapienza di Roma, dopo che l’indagine condotta dall’associazione studentesca Sinistra Universitaria ha svelato che le molestie nel 2023 all’interno dell’ateneo sarebbero state almeno 130. Ma sono gli universitari di tutto il Paese.
Così dimostra l’indagine condotta dall’Udu, l’unione degli universitari, presentata alla sala stampa della Camera dei deputati per l’8 marzo, secondo cui un intervistato su cinque è convinto che le università non siano spazi sicuri. Mentre quasi una persona su tre dice di aver sentito parlare di molestie o violenze all’interno degli atenei. Sia fisiche, sia verbali, si capisce le testimonianze: «Il prof mi fa i complimenti dicendomi "si vede che sei brava a tenere in mano i cazz*, quanti ne hai presi, sembri esperta". Rispondo che è fuori luogo, ribatte dicendomi che sarebbe stato più opportuno parlarne a pranzo e mi invita a pranzare con lui. Rifiuto e lui sottolinea "guarda che pago io”», racconta una studentessa.
«Un uomo appartenente al personale dell’università ha allungato le mani sul mio sedere (più di una volta) durante un giro dell'ateneo», scrive un’altra. Mentre da una terza testimonianza si legge: «Una professoressa che insegna a infermieristica dà spesso delle pacche sul didietro agli studenti maschi durante i tirocini», a dimostrare che a essere vittima di violenze non sono solo le donne.
Dalla analisi di Udu, la cui raccolta dati è ancora aperta con l’obiettivo di creare una panoramica più completa possibile della situazione nelle università d’Italia, emerge anche che per quasi la metà di chi ha risposto, il territorio in cui studia non è per niente o abbastanza attrezzato a ricevere e gestire segnalazioni di violenza o molestia. Oltre il 60 per cento sono quelli che non sanno rispondere alla domanda: «All’interno dell’ateneo frequentato sono presenti presidi antiviolenza?».
La grande disinformazione che emerge, dimostra quanto sia ancora grande il lavoro da fare a proposito di formazione sulla violenza di genere e di educazione sessuo-affettiva. E l'importanza che ha farlo: «Vanno anche creati dei percorsi aula per aula dove si parli di cosa significa subire una molestia e cosa rappresenta. Perché purtroppo, a causa della cultura patriarcale in cui viviamo, molte di noi non sono consapevoli di cosa subiscono» scrive uno studente tra le risposte al questionario.
Come emerge sempre dal report, infatti, il livello di percezione di sicurezza interna agli spazi dell’ateneo aumenta con l’esistenza dei presidi antiviolenza dentro le università. Ed è anche chiara la correlazione tra la presenza di presisi antiviolenza e la sicurezza che le persone percepiscono nel denunciare la molestia subita: dove i presìdi sono presenti, la sicurezza a denunciare supera il 45 per cento mentre dove non ci sono cala al 19: «Inutile dire che non sono stata mai in grado di reagire, era il professore coordinatore del corso da cui dipendeva la mia laurea», racconta uno studente. «Purtroppo, nessuna ragazza è disposta a parlare, per paura di ritorsioni, visto che è un docente molto affermato in ambito accademico», si legge sempre tra le testimonianze.
«La sicurezza dei soggetti in formazione viene posta in secondo piano rispetto alla centralità del ruolo di potere e della protezione della reputazione dell’ateneo», commentano gli studenti dell'Udu, secondo cui per contrastare e prevenire violenze e molestie all'interno delle università è necessario cambiare la cultura dominante: la figura della Consigliera di Garanzia dovrebbe diventare obbligatoria in ogni ateneo. Così come la presenza di presidi antiviolenza dotati di supporto sia legale che psicologico. E percorsi di prevenzione, sensibilizzazione e formazione sul tema del consenso e dell’educazione sessuo-affettiva dovrebbero essere obbligatori non solo per la componente studentesca ma per tutto il personale interno all’ateneo: «Indubbiamente oggi è necessaria una riflessione più ampia rispetto al modello di società che vogliamo vivere e costruire, riteniamo però che un cambiamento possa avvenire solo a partire dai luoghi del sapere. Scuole e università devono essere spazi sicuri se realmente vogliono rispondere a quello che dovrebbe essere il loro ruolo».