Le contraddizioni sulle disparità tra Regioni abbondano e le conseguenze saranno incertezza e discussioni a non finire

La legge sull’autonomia differenziata (Ad) è stata appena approvata ed è già partita la raccolta di firme per abrogarla. Che effetti avrà la legge? Una sola cosa è certa: aumenterà la confusione e la burocrazia nel nostro Paese.

 

Faccio un passo indietro. L’articolo 117 della Costituzione già prevede che, per un elenco di materie, Stato e Regioni abbiano una responsabilità «concorrente», cioè comune. L’articolo 116 dice che, per queste materie e per qualche altra che è responsabilità dello Stato, le Regioni possono avere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». La legge sulla Ad crea una procedura per arrivare a questo risultato.

 

Un primo problema è che tra le materie oggetto dell’Ad ce ne sono alcune che sono l’essenza dello Stato (rapporti internazionali, commercio con l’estero) e altre per cui, per esigenze di economie di scala, è meglio che restino accentrate (ricerca scientifica e tecnologica; grandi reti di trasporto e di navigazione). Ovvio che in queste aree l’autonomia non potrà mai essere completa. Ma avere in queste aree 20 Regioni e lo Stato con qualche forma di potere legislativo, più pregnante di quello attuale, non può che aumentare la confusione.

 

Poi c’è una serie di materie che, in tanti Stati federali, sono di principale responsabilità dei componenti della federazione. Qui la logica del decentramento è più chiara. Primo, delegando la gestione delle risorse, si possono avere servizi più adeguati a quello che vogliono i cittadini. Secondo, cedendo una parte delle tasse pagate dai cittadini di una regione alla Regione stessa si incentiva un buon uso delle risorse: se i soldi che spende una Regione arrivano dalla Capitale, i cittadini chiederanno sempre migliori servizi perché tanto paga qualcun altro. Questo decentramento potrà piacere (a chi vuole responsabilizzare di più i territori) o no (a chi pensa che sia necessaria piena solidarietà tra chi è parte dello stesso Stato). Ma almeno è una cosa chiara.

 

Il problema è che la nostra Ad vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Da un lato si riteneva essenziale stabilire il principio per cui una parte delle tasse pagate, per esempio, dai lombardi resta in Lombardia. Da qui l’articolo 5 della legge sulla Ad che assegna alla Regione che la chiede una quota delle tasse pagate in quella Regione. Dall’altro, si voleva evitare che le maggiori risorse (rispetto alla situazione attuale) che potrebbero andare alla Lombardia, vadano a scapito delle altre Regioni. Da qui l’articolo 8 che dice che la quota di compartecipazione potrà variare di anno in anno su proposta di una commissione paritetica Stato-Regione. Da qui anche il vincolo, incluso nella legge, che tutte le Regioni debbano comunque garantire livelli essenziali di prestazione (Lep) in aree di rilevanza sociale. Ma questo può valere solo se lo Stato mette almeno le maggiori risorse che saranno trattenute in Lombardia.

 

Eppure, la legge non prevede nuove risorse per l’Ad. Tutto è rinviato al futuro. E poi la finalità dei Lep è quella di «scongiurare disparità di trattamento tra Regioni». Ma l’obiettivo di un decentramento che responsabilizza è proprio quello di premiare le Regioni che si sforzano di più nel gestire le proprie risorse, creando disparità. Insomma, le contraddizioni abbondano. Ne deriveranno un’enorme incertezza e discussioni a non finire se mai dovesse essere implementata. Meglio abrogarla.