Giustizia e affari
«Le frodi coi fondi Ue sono il business dei clan di camorra»
Alberto Pioletti, procuratore europeo, spiega che cos'è la nuova istituzione che investiga sui reati lesivi degli interessi finanziari, come funziona e quali sono gli illeciti più comuni
Dottor Pioletti che cos'è la Procura europea? Di che cosa si occupa in particolare? Qual è il suo ambito?
«La Procura europea è un'istituzione nuova il cui mandato è quello di investigare sui reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea esercitando l'azione penale davanti ai tribunali nazionali. I miei processi, per quanto istruiti all’interno di un ufficio di Procura unica, indipendente e sovrannazionale, vengono celebrati davanti ai tribunali italiani ordinari come mi accadeva quando svolgevo le funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica. La stessa cosa accade in tutti gli altri Stati che hanno aderito al sistema di cooperazione rafforzata della Procura europea».
Quali sono i reati di cui si occupa?
«Sono reati che fanno riferimento al bilancio dell'Unione europea. Quindi tutti i fatti che (anche potenzialmente) sono lesivi del bilancio dell'Unione europea sia con riferimento alle entrate che alle spese. L'ipotesi tipica è l'evasione fiscale, ma soltanto un certo tipo di evasione, cioè le tasse che vanno all'Europa. Quindi in primo luogo i dazi doganali ma anche l'Iva (una parte del cui gettito va infatti all’Unione europea) quando la soglia di evasione supera i 10 milioni di euro e la frode si consuma nel territorio di almeno due Stati membri. Per quanto riguarda invece le uscite, quindi le spese dell'Unione europea, è chiaro che la parte del leone la fanno i finanziamenti. Tutte le frodi commesse dall’anno 2017 che riguardano i finanziamenti erogati (anche in parte) con denaro europeo sono di nostra competenza».
Perché secondo lei si è resa necessaria l'istituzione di una Procura europea?
«Perché i reati di nostra competenza sono particolarmente tecnici, richiedono un’elevata competenza e, soprattutto, una cooperazione rafforzata tra gli Stati. Mi riferisco, in particolare, all'evasione e alle frodi Iva che di norma vengono consumate sfruttando il sistema di Iva vigente nello scambio di merci intracomunitario. Il Regolamento istitutivo ci consente, in questi casi, di svolgere le indagini più rapidamente ed efficacemente col supporto dell’ufficio centrale che ha sede a Lussemburgo molto attento a segnalarci i possibili collegamenti tra i vari casi e a prestarci assistenza su vari aspetti come l’acquisizione delle prove e il rintraccio dei proventi illeciti. Noi siamo un ufficio unico composto da circa 150 magistrati ubicati in 24 Paesi europei, ma il collega francese piuttosto che quello bulgaro è come se fosse il mio vicino di stanza in ufficio di Procura nazionale».
La Procura europea è un organo indipendente?
«Assolutamente si. La nostra nomina avviene secondo gli ordinamenti giudiziari dei singoli Stati ma definitivamente confermata dal collegio di Eppo. Noi 17 Procuratori europei delegati italiani (ma il numero a breve sarà portato a 20), siamo stati designati dal Consiglio superiore della magistratura che ha compiuto la prima valutazione sulla sussistenza dei requisiti e delle capacità per poter ricoprire l’incarico, ma è poi stato l’ufficio centrale che ha sede in Lussemburgo (proprio di fronte alla Corte di Giustizia) che ci ha nominato. Ogni Stato, dei 24 che attualmente aderiscono alla Procura europea, ha localizzato al proprio interno uno o più uffici territoriali. Alcuni Stati, come la Francia e la Spagna, hanno optato per un ufficio unico nella capitale, altri invece, come la Germania e l’Italia, hanno preferito una distribuzione sul territorio più capillare. Per quanto ciascun Procuratore europeo delegato abbia una competenza nazionale (che si estende anche al secondo grado di giudizio), in Italia sono attualmente in funzione sette uffici: Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Napoli e Palermo. A breve sarà operativo l’ottavo, quello di Bari. È evidente che avere una distribuzione così capillare sul territorio permette un contatto più diretto con le forze di polizia che indagano e, quindi, una maggiore incisività delle indagini. Il ruolo di Procuratore Capo europeo è attualmente ricoperto da una collega rumena, Laura Codruta Kovesi. A livello centrale, a Lussemburgo, vi è poi un Procuratore europeo proveniente da ciascuno Stato membro col compito di supervisionare i casi dei Procuratori europei delegati connazionali e, nel contempo, di comporre le 15 Camere Permanenti, gli organi collegiali che connotano tutta l’attività della Procura europea».
Con quale criterio viene scelto lo Stato dove si svolgerà il processo?
«Il Regolamento istitutivo prevede dei criteri estremamente rigorosi e specifici per decidere il luogo di celebrazione del processo: di norma è davanti a un Tribunale dello Stato in cui l'indagine è iniziata. Tuttavia, trattandosi di reati che si caratterizzano per la transnazionalità, è possibile che il processo possa essere celebrato in uno Stato membro diverso, ovviamente non con una scelta discrezionale, in quanto sarà comunque necessario che quantomeno una frazione o una parte della condotta si sia consumata all’interno di quello Stato o comunque sussista un requisito per radicare lì la giurisdizione. In sostanza non possiamo scegliere il “nostro” giudice in base a ragioni di convenienza».
I diritti degli indagati e degli imputati sono gli stessi che per gli indagati e gli imputati dei processi nazionali?
«Assolutamente sì. Il processo si celebra applicando le regole dell'ordinamento del singolo Stato quindi, per l’Italia, in gran parte le regole del nostro codice penale e di procedura penale che disciplinano l’indagine e riconoscono le garanzie difensive. Vi è però una considerazione importante da fare: nel Regolamento istitutivo è più volte richiamato il concetto della proporzionalità, principio che noi non abbiamo nel nostro codice penale e di procedura penale. Che cosa significa proporzionalità? Significa che tutta la nostra azione, dal momento in cui espletiamo l'attività investigativa al momento in cui esercitiamo l'azione penale, deve essere riportabile all’interno del perimetro della proporzione. Questo, ad esempio, è determinante quando si deve decidere se compiere un sequestro o una perquisizione».
Quali sono i settori merceologici ed economici più permeabili ai delitti di competenza della Procura europea?
«I più vari. Le posso dire che le indagini più importanti che sino a questo momento abbiamo svolto hanno riguardato il settore dell'elettronica, ma per una semplice ragione: sono oggetti particolarmente ridotti nello spazio che hanno un valore economico estremamente elevato. Di conseguenza consentono a chi compie questo genere di frodi di realizzare fortissimi guadagni con spese limitate. Non dimenticherei, però, tutti gli altri settori in cui abbiamo avuto ottimi risultati come il food and beverage e il tessile. Per quest’ultimo, il grosso problema è rappresentato da ciò che arriva in Europa dai mercati orientali, come la Cina, sfruttando le maglie piuttosto larghe di alcuni porti che consentono di evadere i dazi più facilmente».
Quali sono gli Stati più a rischio?
«Diciamo quelli dove i controlli sono sostanzialmente un po’ meno pressanti e meno efficaci. Non voglio citarne uno in particolare, ma sostanzialmente è chiaro che maggiori sono i controlli, minori sono le possibilità di successo della frode».
Che rapporti avete con le Direzioni distrettuali antimafia?
«Ottimi. Sin da subito si è compresa la necessità di un coordinamento delle competenze soprattutto nei casi che riguardano il reato relativo all’articolo 416 bis, cioè l'associazione di stampo mafioso. Quando questa è finalizzata esclusivamente o prevalentemente alla commissione di reati di competenza della Procura europea, se cioè è questo il focus, ossia lo scopo principale dell’associazione, sia essa mafiosa o non mafiosa, la competenza è della Procura europea. A questo proposito mi piace ricordare quanto dichiarato da un collaboratore di giustizia detenuto per omicidio durante un interrogatorio. Mi ha detto testualmente che attualmente le frodi Iva e quelle con i fondi europei sono il maggior business dei clan camorristici campani, non solo poiché il traffico di droga è troppo rischioso per il numero di anni di carcere cui si può essere condannati ma anche perché quello delle frodi fiscali viene considerato un business “pulito”, perché non si rischia nulla. Basta trovare un commercialista, un buon avvocato e una persona che sa parlare bene l'italiano e si fanno grandi affari. Naturalmente il coordinamento con la Procura nazionale antimafia e con le Direzioni distrettuali è assolutamente necessario. Quello che c'è stato in questi primi tre anni di esperienza a mio avviso è stato eccellente. Io personalmente in diversi casi mi sono incontrato coi colleghi della Direzione distrettuale antimafia di Roma dalla quale ho ricevuto e alla quale ho trasmesso diversi procedimenti».
Che bilancio fa di questi primi tre anni?
«Assolutamente positivo per l'Unione europea e per la Procura europea in generale. I dati parlano chiaro: nel 2023 il numero delle notizie di reato ricevute è stato di 4.187, con un aumento del 26% rispetto al 2022. Il numero di procedimenti aperti è aumentato del 58% rispetto all'anno precedente. È ovvio che sono tutti numeri che determinano la necessità di un maggiore supporto di carattere economico perché evidentemente avere più procuratori europei, avere più personale, anche di tipo amministrativo che ci supporta, costa. A questo riguardo mi preme formulare un sentito ringraziamento al corpo della Guardia di finanza che, da subito, ci ha assistito distaccando presso i nostri uffici il proprio personale più qualificato in questo genere di indagini. Più recente, ma altrettanto importante, è l’assistenza che ci viene data dal personale dei carabinieri, della Polizia di Stato e dell’Agenzia delle dogane.
Avete trovato anche delle frodi relative anche ai fondi del Pnrr?
«Assolutamente sì. C’è da dire che i fondi del Pnrr ammontano a circa 200 miliardi per l'Italia e vanno a coprire una varietà di settori molto ampia. I settori in assoluto dove abbiamo verificato maggiori possibilità di frode sono quelli delle infrastrutture, dell’informatica e dell'elettronica».
Si parla tanto in Italia della riforma della magistratura che introduce la separazione delle carriere. Qual è la sua opinione?
«Non mi voglio esprimere a proposito delle iniziative di riforma del governo anche perché derivano da valutazioni di tipo politico (o anche politico) che non spettano ad un Procuratore europeo delegato. Sarà, eventualmente, la Procuratrice capo europea a farlo. Quello che, però, tengo a sottolineare è che col Regolamento istitutivo della Procura europea si assegna al Procuratore europeo delegato un ruolo di garante del diritto. In Italia si è sempre considerato il pubblico ministero non come un avvocato dell'accusa ma come il primo garante dei diritti dell'indagato. Svolgere indagini significa svolgere necessariamente indagini anche a favore della persona indagata. Prevedere nel Regolamento istitutivo della Procura europea il dovere per il Procuratore europeo delegato che fa le indagini di svolgerle a tutto tondo, a 360 gradi, a mio avviso significa porre chiaramente ben distinto il suo lavoro da quello del potere esecutivo e della polizia giudiziaria. Questi sono principi a cui la cultura del pubblico ministero italiano è sempre stata ispirata, per cui non abbiamo avuto alcuna difficoltà ad adattarci. Sono certo che anche il principio della proporzionalità, a cui facevo precedentemente riferimento, è frutto di una mentalità, di un'ideologia che è tipica dell’ordinamento italiano. Ecco, quello che vorrei è che il mio Stato, l’Italia, che sicuramente è stato uno dei maggiori, se non il maggiore contribuente di questa impostazione, continui ad essere un modello per l’Europa e per il diritto penale europeo».