Con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, 3.623 colpevoli hanno ora diritto di chiedere la revoca delle sentenze. E di reclamare la carica pubblica da cui sono stati allontanati. O di ricandidarsi

La carica dei Nordio’s. L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio promette di produrre effetti spettacolari sulla gestione della cosa pubblica, paragonabili alla scena-madre di un film disneyano: l’apertura delle gabbie. A beneficiarne non saranno i famosi 101 poveri cani che una crudele megera teneva imprigionati per odiose questioni di razza. I miracolati della nuova legge sono molti di più, almeno 3.623, e sono esseri umani di puro ceppo italico: politici e funzionari che hanno abusato dei poteri pubblici, per vergognosi interessi privati, commettendo plateali violazioni delle norme di legge. Nessuno di loro può dirsi perseguitato: quella cifra comprende solo gli accusati che sono stati dichiarati colpevoli in tutti i gradi di giudizio, con sentenze definitive, negli ultimi cinque lustri. Sono tutti pregiudicati, insomma, ma lo resteranno per poco. Ora che il reato non c’è più, hanno diritto di chiedere la cancellazione, in gergo revoca, delle loro condanne. E di farne cessare gli effetti. Se il bottino non è stato ancora confiscato, salvano pure quello. I più spregiudicati potrebbero reclamare anche il diritto di tornare a occupare, nei limiti del fattibile, la carica pubblica di cui hanno abusato. E candidarsi pure alle elezioni, ignorando la legge Severino (che nei loro confronti diventerà inapplicabile), magari per governare la stessa amministrazione da cui erano stati cacciati, interdetti per via giudiziaria o licenziati per giusta causa. 

 

La legge Nordio: conseguenze sulla pubblica amministrazione
Entrata in vigore il 25 agosto scorso, la normativa intitolata al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ex magistrato, cancella l’articolo del codice penale che per quasi un secolo è stato alla base di tutti i reati contro la pubblica amministrazione. La nuova legge è stata propagandata come una svolta necessaria a proteggere i governanti onesti e capaci, ma paralizzati dalla «paura della firma», cioè di vedersi inquisire per un’accusa infondata. Per confermarlo, la relazione governativa cita i dati giudiziari del 2021 (solo in parte aggiornati al 2022): le Procure hanno aperto 4.745 indagini per abuso d’ufficio, ma ne hanno archiviate 4.121, mentre le condanne si sono fermate a 62. Quindi quel reato, secondo il ministro, aveva «un’applicazione minimale», però spaventava migliaia di amministratori innocenti, per cui è giusto abolirlo. La relazione non precisa che la media delle archiviazioni, per tutti gli altri reati, è quasi altrettanto alta, 62 per cento, con punte di oltre 90 per i furti, che nessuno ha mai proposto di legalizzare, almeno per ora. 

 

Le obiezioni del CSM e i casi di abuso più gravi
Il Consiglio superiore della Magistratura, nella sua contro-relazione, rimasta ignorata, ha obiettato che l’abuso d’ufficio era stato già modificato più volte, a partire dal 1997, in senso sempre più restrittivo. Dal 2020, in particolare, si applicava solo ai casi più gravi di «violazioni intenzionali di una precisa norma di legge»: atti pubblici vistosamente illegittimi, approvati solo per procurare «arricchimenti illeciti e favoritismi» o, al contrario, per causare «vessazioni e discriminazioni». Il documento del Csm elenca decine di condanne con fermate dalla Cassazione dopo il 2020, dunque per i fatti più seri, che ora diventano annullabili. C’è il sindaco-avvocato che ottiene per via politica la vittoria in una lite: requisisce un immobile a un cittadino che è in causa contro una società difesa proprio da lui, per quella stessa proprietà. C’è un caso testuale di nepotismo: il dirigente comunale che fa vincere a sua nipote un concorso su misura, di cui ha scritto il bando e presieduto la commissione. C’è il direttore del parco che assume con chiamata diretta, senza alcuna selezione, una donna che risulta essere la sua convivente. Non manca l’assessore che regala un bel contratto alla moglie del sindaco, violando i limiti di spesa previsti dal bilancio. E c’è pure il primo cittadino che demansiona un funzionario che ha avuto l’ardire di candidarsi come sindaco in una lista rivale. 

 

Gli effetti della legge Nordio sul conflitto di interessi e la sanità
Molti magistrati e giuristi di gran nome hanno denunciato (inutilmente) i danni dell’abrogazione. «Si è creato un vuoto legale che riguarda tutti i cosiddetti abusi di vantaggio e di danno», spiega a L’Espresso il professor Gian Luigi Gatta, giurista che collaborò con l’ex ministra Marta Cartabia: «Inoltre, non sono più punibili i conflitti d’interesse personali o familiari». Gli effetti più disastrosi riguardano proprio il familismo negli appalti pubblici: non è più perseguibile il politico o il funzionario che assegna un contratto pubblico alla ditta di cui è socio un suo parente o lui stesso. Questo specifico colpo di spugna lascia prevedere una straordinaria fioritura di società intestate a consorti, cognati, cugini, zii, nonni e altri familiari di ogni grado. Come ipotesi di scuola, mai arrivata a sentenza, si può immaginare pure il caso di un ministro che offrano mine o altri benefici all’amante: potrà forse essere bocciato, ma solo politicamente. Grazie alla legge Nordio, infatti, non può più essere indagato e tantomeno sanzionato nei tribunali. 

 

Il rischio di una sanatoria per la pubblica amministrazione
Tra le oltre 3.000 condanne definitive per abuso d’ufficio registrate negli ultimi 25 anni («Sono i dati ufficiali del casellario giudiziale dal 1997 al 2022», precisa il professor Gatta), spiccano decine di sentenze per concorsi truccati, nelle università, negli ospedali, nella pubblica amministrazione. Invece dei migliori per merito, vincono i raccomandati. In questo campo ci sono processi in corso con decine di «baroni» sotto accusa, ad esempio a Firenze, che con la nuova legge sono destinati a vedersi archiviare o assolvere. La Cassazione, infatti, ha stabilito da tempo che ai concorsi universitari non si può applicare il reato di turbativa d’asta, ma solo l’abuso d’ufficio. Cioè il reato sparito. A rischiare una condanna, dunque, è solo il docente che dovesse commettere altri reati, ad esempio un falso, per favorire un suo protetto. Nella massa dei processi per abuso d’ufficio, una ricercatrice della Statale di Milano, Cecilia Pagella, ha analizzato le circa 500 sentenze più importanti, quelle inserite nel massimario della Cassazione, lanciando l’allarme (inutilmente) sui verdetti di colpevolezza che ora diventano annullabili. Sono casi allucinanti. Ci sono undici appartenenti a forze di polizia condannati per «arresti illegali, prevaricazioni e altri abusi» ora depenalizzati. C’è il carabiniere che trattiene due ragazze a un posto di blocco per ore, «per ritorsione, solo perché rifiutavano le sue avance sessuali». Ora anche lui può rimettersi la divisa e magari rifarlo, tanto non è più reato. Tra i condannati per abuso d’ufficio ora in via di riabilitazione politica ci sono moltissimi protagonisti di storie di mala sanità. Le sentenze raccontano di decine di medici e dirigenti sanitari, in quasi tutte le Regioni, che dirottano verso cliniche private plotoni di pazienti, convincendoli a spendere una fortuna, anche se potrebbero essere curati negli ospedali pubblici. Abbondano anche i dottori che privilegiano sistematicamente certe case farmaceutiche o industrie di tecnologie mediche. E dalle indagini salta fuori che alcuni di questi signori della medicina hanno parenti stipendiati da quelle aziende. Oppure sono loro stessi collaboratori o addirittura soci delle cliniche. Con la legge Nordio il problema è risolto: il conflitto non c’è più, l’interesse privato può prevalere impunemente su quello pubblico. Nell’ampia casistica della Cassazione, la sanità è al secondo posto per numero di abusi. Al primo c’è l’edilizia, con circa un quarto delle condanne totali: permessi di costruire rilasciati ad amici e parenti in aree verdi o zone pericolose; e mancate demolizioni di fabbricati fuori legge. 

 

Un vuoto legale nel sistema
L’ondata di riforme varate in questi mesi dal governo per colpire le toghe, in particolare i pubblici ministeri, ha invece subìto una battuta d’arresto proprio con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Sono almeno cinque i magistrati condannati in via definitiva per questo reato. Il caso tipico è il giudice che s’inventa un processo o che nasconde prove per incastrare un nemico personale. Ma adesso anche l’abuso giudiziario è diventato lecito. Tra i precedenti a rischio di evaporazione, ad esempio, c’è la sentenza della Cassazione che nel 2021 ha confermato la condanna di un pubblico ministero che, dopo aver archiviato un’indagine, la riaprì all’improvviso per chiedere il rinvio a giudizio di un imputato speciale: l’ex compagno della sua attuale convivente. Due cuori e una Procura. I dati oggettivi della Cassazione smentiscono la teoria, assai diffusa, per cui l’abuso d’ufficio sarebbe una croce che pesa sui sindaci: nemmeno un quarto delle sentenze riguarda primi cittadini, che in realtà risultano indagati nella stessa misura dei semplici assessori e molto meno dei funzionari. Anche la pretesa persecuzione degli innocenti non risulta confermata, almeno quando si va a processo: in più di metà dei casi, la Cassazione conferma la colpevolezza degli imputati di abuso d’ufficio. Che in un quarto dei processi se la cavano per prescrizione. Mentre buona parte delle assoluzioni è dovuta, a ben guardare, alle tante riforme che hanno via via ridotto l’area di applicazione del reato. Come molti magistrati, anche diversi studiosi (che preferiscono non essere nominati) osservano che la nuova legge è stata fatta di corsa e male. La fretta è evidenziata da una lacuna. Il ministro si era dimenticato che l’Italia è obbligata dalle direttive europee a punire un certo tipo di abuso, il «peculato per distrazione»: un furto di fondi pubblici, commesso per arricchire altri. Dopo l’altolà del Quirinale, il governo ha inserito proprio e solo quel reato in un decreto legge, quello sulle carceri. Ma la norma di riserva punisce solo il peculato di «denaro e beni mobili». Se invece è un immobile, ad esempio un palazzo o un terreno, a essere assegnato illegalmente ad amici, parenti, cognati, amanti o magari a partiti o a movimenti politici collegati, il fatto resta «irrilevante». 

 

Traffico di influenze e mediazione illecita
Le norme europee obbligherebbero l’Italia a reprimere anche il «traffico d’influenze illecite», dove a incassare una tangente è un mediatore, in grado di spingere un pubblico funzionario a favorire un’azienda (o a danneggiare una sua concorrente) pur senza corromperlo. In Italia non esiste alcuna legge che regoli l’attività di lobby, per cui ogni trafficante di favori può difendersi sostenendo di avere preso i soldi come lobbysta. Diversi magistrati, però, contestano questo alibi, in particolare se il mediatore incassa contanti in nero o se è lui stesso un pubblico ufficiale, come nel caso dell’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, condannato in via definitiva proprio per traffico d’influenze. Ora la legge Nordio lancia a tutti i mercanti di favoritismi un altro prezioso salvagente: la mediazione è illecita solo se «finalizzata a far commettere un reato». Ma in quasi tutti i casi finora emersi, il trafficante incassava la tangente per spingere il funzionario a realizzare proprio un abuso d’ufficio. E così l’impunità raddoppia: con l’abuso sparisce anche il reato del mediatore. L’intera legge è piena di «lacci» e «capestri» di questo tipo, come li definiscono i giuristi, che soffocano le indagini e i processi. Tra i tanti cavilli, merita di essere citata una modifica che limita la versione italiana del reato europeo ai soli casi in cui il trafficante di favori incassa una «utilità economica», cioè denaro o beni equivalenti. Conclusione tecnica del professor Gatta: «Con la legge Nordio non è più punibile il mediatore che si fa dare o promettere, per sé o per altri, un’utilità non economica, come ad esempio un rapporto sessuale oppure vantaggi sociali o benefici di natura politica». Nella Prima Repubblica la classe di governo si limitava a varare amnistie e condoni, in media uno ogni quattro anni, per evitare la galera ai condannati. Ora si fa molto di più: si legalizzano i reati.